La fotografa Vittoria Lorenzetti è stata in Amazzonia a documentare il rapporto con l’acqua di alcune delle popolazioni che vivono sul Rio delle Amazzoni. Dall’altra parte dell’oceano, l’architetta Sara Formery ha focalizzato il proprio progetto di ricerca e riqualificazione urbana su quattro siti, due svizzeri e due francesi, che sorgono lungo il Rodano. Le abbiamo incontrate
I fiumi mitigano le temperature. Allo stesso tempo, sono tra i primi vettori di inondazioni. Il cambiamento climatico ci sta spingendo a riconsiderare entrambi i fenomeni, che incidono da sempre sul rapporto altalenante tra le città e i corsi d’acqua. Se nell’antichità ha prevalso “l’abbraccio”, per le necessità di muoverci, difenderci, approvvigionarci, già nel Medioevo si è imposto “il rifiuto”, per la paura delle alluvioni, delle inondazioni, del rischio igienico che vivere vicino a un fiume può comportare.
Ci siamo riavvicinati ai fiumi durante le rivoluzioni industriali, considerandoli utili fornitori di energia, e li abbiamo nuovamente quasi abbandonati con l’esplosione del terziario e dei servizi. E adesso?
L’equilibrio proposto da Rhodanie Urbaine
«Anche sul Rodano il rischio di inondazione è stato molto forte» racconta Sara Formery «Ci sono dei precedenti storici che hanno portato, da una parte, a costruire le città un po’ “girando la schiena” al fiume, dall’altro a imbrigliare la sua potenza attraverso le dighe e gli interventi di “correzione1” dell’alveo». Il Rodano è il più importante fiume francese per volume d’acqua: nasce in Svizzera, attraversa il lago di Ginevra e arriva in Francia, passando per Lione, Avignone e Arles, dove si divide in due rami prima di sfociare a delta nel mar Mediterraneo con una portata alla foce superiore ai 1800 metri cubi al secondo. I suoi numerosi affluenti formano un bacino idrografico di oltre 95.000 chilometri quadrati.
Sara Formery è architetta. Dopo la laurea all’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne nel 2008, ha diviso la sua attività professionale tra la pratica indipendente (formerykössler Sàrl) e l’insegnamento della progettazione architettonica. Nel 2024 concluderà il percorso dottorale iniziato nel 2018 sotto la supervisione del prof. Emmanuel Rey all’interno del Laboratorio di Architettura e Tecnologie Sostenibili (LAST) dell’EPFL: i risultati del suo progetto di ricerca “Quartiers rhodaniens en transition” sono in corso di pubblicazione.
Scopri il progetto Rhodanie UrbaneTra i quasi 1.400 siti lungo il Rodano, per il proprio progetto di dottorato Formery ha individuato quattro quartieri a Sion, Ginevra, Givors (Lione) ed Avignone, uno per ogni diverso regime idrografico del fiume2, per indagare un nuovo equilibrio tra le città e il fiume. «Sono quartieri molto diversi tra loro ma hanno tutti un rapporto di vicinanza molto forte col Rodano, almeno uno dei lati del loro perimetro è a contatto con l’acqua» spiega. «Tutti sono inoltre in relazione a infrastrutture di mobilità importanti come ferrovie o autostrade e hanno una densità per ettaro che oscilla tra i 150 e i 200 residenti».
In parallelo all’elaborazione dei progetti architettonici, Formery ha elaborato una “matrice di sostenibilità”, uno strumento di supporto alle decisioni con cui valutare il rapporto tra il sito e il fiume basata su sei componenti3: positivizzazione del rischio, transizione energetica, dinamiche ambientali, risorse fluviourbane, gestione partecipata e agilità fluviali. «A propria volta, ogni componente è stata suddivisa in tre specifici indicatori da rapportare su tre scale diverse: la regione, la città e il quartiere» spiega la ricercatrice. «Riflettere sulle questioni legate a un fiume implica guardare l’impatto a diversi livelli». Ad esempio, per valutare la “positivizzazione del rischio”, si possono analizzare le pratiche di gestione presenti a livello regionale, ma anche la cultura al rischio degli abitanti della città e l’indice di “porosità” del quartiere, ovvero quanto gli spazi, costruiti e non, riescano ad assorbire le precipitazioni fungendo da spugna.
Allo stesso modo, la transizione energetica può essere valutata confrontando la strategia energetica regionale con la mobilità sul fiume cittadina e la carbon-neutrality del quartiere. Un nodo particolarmente importante sul Rodano, usato massicciamente sia come fonte di energia idroelettrica che come risorsa di raffreddamento delle centrali nucleari francesi.
Per le pratiche di gestione partecipata, Formery ha approfondito percorsi come Appel du Rhône4, la mobilitazione cittadina transnazionale per il riconoscimento di una personalità giuridica al Rodano. Esiste quindi una identità comune delle persone che abitano lungo il fiume? «Sempre di più, anche grazie a questo processo» afferma Formery «La petizione ha permesso di capire che in realtà le persone cominciano ad interessarsi al fiume e anche a rendersi conto che appartiene a un sistema geografico più grande, che è necessario preservarne tutta una serie di qualità e anche che è qualcosa che ti lega a una popolazione relativamente lontana ma che sta sulla stessa linea blu».
Come tutti i corsi d’acqua transfrontalieri, di cui l’esempio emblematico è il Mekong, anche il Rodano pone questioni di gestione transnazionale: l’erogazione dell’acqua del fiume è gestita principalmente dalla diga sul lago di Ginevra, in Svizzera. Il negoziato con la Francia iniziato nel 2015 continua.
Dal momento che la risorsa diminuisce, evidentemente ci sono degli attriti che emergono e ci si rende conto che non è sufficiente avere degli accordi ma che bisogna proprio avere dei veri scenari di gestione comune.
Continua Formery: «Lo studio più recente stima in futuro una diminuzione del 20% della portata rispetto ad oggi, a cui bisogna affiancare le anomalie dei picchi di pioggia e di siccità. Occorrerà gestire questa grande oscillazione in cui ci stiamo avventurando».
I progetti elaborati dalla ricercatrice-architetta, sulla base del materiale emerso dagli atelier curati per quattro anni con studenti e studentesse dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne, rappresentano tre scenari per ciascun sito. Tra questi, il “parco subacqueo” ad Avignone: «Invece di avere un parco come lo intendiamo oggi ovvero pubblico, accessibile, abbiamo pensato a una serie di edifici appoggiati su due dighe, sollevati da terra, cosicché in caso di inondazioni o risalite del livello dell’acqua questa possa essere accolta senza mettere a rischio gli abitanti e senza compromettere il funzionamento del quartiere» spiega Formery. «La vegetazione sottostante che può essere sommersa può essere usata per fitodepurazione, quindi depurazione del suolo». Una sorta di palafitte del Terzo Millennio. Se in Europa possono costituire una novità, in altre parti del mondo sono la regola.
Vivere sulle palafitte in Amazzonia
«Ho vissuto in alcune comunità della zona al confine tra Colombia, Brasile e Perù, la zona delle tre frontiere, dove i tre paesi si incontrano sul Rio delle Amazzoni. E ho vissuto sulle palafitte»: la fotografa Vittoria Lorenzetti ha trascorso in Amazzonia sei mesi, da marzo ad agosto 2022, per documentare il rapporto con l’acqua degli abitanti che vivono sul Rio delle Amazzoni. «Su questo confine transfrontaliero ho visitato almeno 30 comunità, visibili lungo il fiume» spiega «ciascuna composta da un minimo di 10-15 persone a un massimo di 100. Ma camminando dentro la selva ce ne sono sicuramente di più».
Vittoria Lorenzetti è una fotografa freelance, specializzata nella fotografia di reportage. Dopo la laurea in “Scienze Politiche” conseguita nel 2014, ha scelto di dedicarsi alla sua passione. Dal 2017 al 2019 ha documentato le storie delle persone sopravvissute alla violenza sessuale con il reportage “Unsafe: behind India’s rape crisis”, realizzato in collaborazione con diverse ong. Dal 2020 il suo lavoro si è focalizzato sul dialogo tra l’ambiente e gli esseri umani e sulla sostenibilità socio-ambientale e dal 2022 documenta la relazione tra l’ecosistema amazzonico e i popoli che lo abitano. Le sue fotografie sono state esposte in mostre personali e collettive. Ha vinto l’Italian Sustainability Photo Award (2021) ed è stata finalista dello Julia Margaret Cameron Award (2023).
Da Bogotà, in Colombia, a Leticia, la porta della foresta amazzonica, al confine col Brasile. «Da lì dopo 5-6 ore di navigazione siamo arrivati a Puerto Nariño, dove ho fatto base e ho preso la barca per proseguire lungo il fiume» racconta Lorenzetti. «Partivamo in barca, dopo 4-8 ore di navigazione ci fermavamo in una comunità un paio di giorni, in base a ciò che succedeva. All’inizio non tiro mai fuori la macchina fotografica, cerco di entrare in connessione con il luogo e le persone, mi do il tempo di capire. Non faccio scatti in posa, fotografo quello che vivo: fare fotografie è un po’ entrare in casa, ed è brutto arrivare senza permesso. Prima è bello instaurare un rapporto che ti consenta di vivere situazioni autentiche, intime».
Il Rio delle Amazzoni, primo fiume al mondo per portata d’acqua, ha un’oscillazione del proprio livello tra stagione secca e stagione delle piogge di oltre dieci metri. Le palafitte sono quindi un’utile soluzione per non farsi sommergere. «Ciascuna palafitta è alta da cinque metri in su» spiega Lorenzetti «Le case sono fatte di una tipologia di legno molto resistente all’acqua, lo stesso legno con cui fanno le barche, che si chiamano peke-peke. Quando l’acqua sale, la selva si inonda: immagina gli alberi per metà sottacqua. Quando scende, per salire a casa si utilizzano le scale, sempre in legno, e si costruiscono dei pontili improvvisati per connettere le diverse palafitte, come un villaggio» racconta Lorenzetti. «Questi ponti si possono attraversare anche in bicicletta, in motorino… invece durante i momenti di piena si viaggia in barca».
Ad ogni piena, il paesaggio cambia: «Un loro proverbio dice che “la giungla cambia alle tue spalle” perché segue il movimento dell’acqua» spiega Lorenzetti. «Una foto col drone nello stesso punto dopo un anno rappresenterà un paesaggio diverso: dipende se sono nati nuovi alberi, se il corso d’acqua principale è andato a destra o a sinistra. È davvero un posto magico». Stagioni diverse corrispondono anche a tempi di percorrenza differenti:
L’innalzamento o abbassamento dell’acqua cambia completamente le loro vite.
«Una ragazza mi ha raccontato che per andare a scuola ci mette dai 20 ai 30 minuti in barca e 45 minuti a piedi, e ogni anno le zone prima raggiungibili non lo sono più e viceversa».
Non mancano le strutture che galleggiano sul fiume, i flottanti: «Possono essere case private, bar, ristoranti, distributori di benzina» racconta Lorenzetti. Eppure, in Amazzonia manca l’acqua potabile: «le acque del Rio sono spesso contaminate e i periodi di siccità stanno aumentando» spiega Lorenzetti «per questo la relazione con l’acqua è ancora più importante». Nella foresta non c’è elettricità: per bere si usano le bottiglie di plastica acquistate a Puerto Nariño o l’acqua piovana. «Il Governo distribuisce delle taniche nere con diversi diametri, l’acqua piovana cade sui tetti di lamiera e viene reindirizzata da una canalina nella tanica» spiega Lorenzetti «Sopra c’è una zanzariera in modo tale da non far entrare insetti o animali e quest’acqua viene utilizzata per tutto, per lavarsi, cucinare e per qualsiasi altro uso. Ovviamente queste taniche di plastica vanno pulite periodicamente sopra le palafitte su cui sono posizionate, poco sotto il tetto delle case». E quando l’acqua si ritira, si vede meglio cosa c’è sotto: «C’è tanta, tantissima plastica in Amazzonia, ma anche resti di caramelle color evidenziatore» racconta Lorenzetti «Poi esistono anche comunità che raccolgono tutta la plastica e la usano come vaso per le piante». L’alternarsi tra stagione secca e piena incide anche sull’agricoltura: «le donne si occupano della lavorazione della Yuka, una sorta di tubero che non può essere mangiato crudo e che in due-tre giorni fanno diventare farina da conservare» spiega Lorenzetti «Se cambia il ritmo della stagionalità, il terreno viene sommerso di molti metri e hanno perso tutto».
L’introduzione di beni di consumo occidentali, e del turismo nelle comunità più grandi, non si accompagna alle pratiche di smaltimento dei rifiuti e coesiste con le pratiche tradizionali: «I popoli indigeni che ho conosciuto sono sostenibili per l’animismo con in cui concepiscono la vita e la natura che sta loro intorno» racconta Lorenzetti «Ad esempio, una delle prime volte che sono entrata nella selva, il ragazzo indigeno che mi accompagnava mi ha chiesto di presentarmi e chiedere permesso. “La madre è viva, non ti conosce ed è importante che tu lo faccia”, mi ha detto. Un altro esempio è il rapporto con l’acqua, visto come un elemento sacro: quando pioveva e mi innervosivo, mi veniva detto di ringraziare per la pioggia, che arriva da dove arriva tutto ed è segno che la foresta funziona» ricorda Lorenzetti «E poi c’è il rapporto col confine: dicono che i confini esistono solo sulle mappe, perché se sono l’acqua e le piante che si muovono in continua trasformazione, non possono esistere nella realtà». Cosa porteremo di queste esperienze per vivere meglio grazie, e non nonostante, i nostri fiumi?
- Sulla correzione del Rodano si veda: https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1758669/progetto-correzione-rodano-fiume-vallese ↩︎
- Più precisamente, i quattro regimi idrografici analizzati sono: Rodano Alpestre (dalla sorgente al lago di Ginevra), Alto Rodano (dal lago di Ginevra a Saone), Medio Rodano (da Saone a Isère), Rodano Inferiore (da Isère ad Arles) e Delta (da Arles al Mar Mediterraneo) ↩︎
- Per approfondire le sei componenti determinanti un rapporto bilanciato tra città e fiume si veda Formery S., Laprise M., Rey E. (2023).
Promoting a city-river balance within neighborhoods in transition along the Rhone,
City and Environment Interactions, vol. 17. https://rhodanieurbaine.ch/wp-content/uploads/2022/12/article-ru.pdf ↩︎ - Il sito ufficiale https://www.appeldurhone.org/la-demarche ↩︎