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Algoritmi ed esperienza indigena per il ripristino delle mangrovie

Il modello intergenerazionale della non profit Ceriops in Kenya

Josephine Condemi
una storia scritta da
Josephine Condemi
 
 
Algoritmi ed esperienza indigena per il ripristino delle mangrovie

Dare alle comunità gli strumenti tecnologici per prendersi cura delle mangrovie e trarne vantaggi economici: due giovani keniani hanno sperimentato un modo per avvicinare scienza e tradizione. Ecco come 

Che fine fanno le mangrovie piantate nei programmi di riforestazione? Chi si occupa del monitoraggio? La soluzione più semplice sarebbe: le persone che abitano quei luoghi. Ma «I progetti sono spesso calati dall’alto, i finanziatori sono degli intermediari: arrivano, si occupano degli aspetti tecnici, non sempre ascoltano chi vive i territori» racconta Levis Sirikwa. «Quando si torna sul posto, dopo un anno, a volte ci si chiede: dov’è il nostro sito? Dove avete piantato? E non è facile individuarlo». 

Levis Sirikwa è un acquacoltore che con l’amico Derrick Muyodi, biologo marino, condivide la passione per la natura, per il proprio Paese, il Kenya, e per le possibilità di fare insieme aperte dagli ecosistemi costieri e marini. Freschi di laurea triennale, tra il 2016 e il 2018 hanno svolto attività di volontariato con l’organizzazione Big Ship in progetti di ripristino delle mangrovie nella contea di Mombasa, la seconda città del Kenya per numero di abitanti dopo la capitale Nairobi. «Le comunità vicine alle foreste di mangrovie avevano creato vivai di mangrovie come fonte di sostentamento alternativo» racconta Sirikwa. «Il modo migliore per rimboschire il paesaggio è proprio partire da un vivaio fatto da persone vicine che possano prendersi cura degli alberi: perché quindi non fare in modo che questi vivai diventassero direttamente fornitori del progetto?» 

Ne è nato il programma “Adotta un sito”, in cui Sirikwa e Muyodi hanno sperimentato le potenzialità dell’unione tra esperienza locale e tecnologia: «Abbiamo sentito l’impatto prodotto dall’abilitare le comunità alle attività scientifiche di base come raccogliere dati, mappare il proprio territorio, essere sostenute dalla creazione del vivaio fino al ripristino attivo delle mangrovie, che comprende il monitoraggio» ricorda Sirikwa. Da questa esperienza, in pieno lockdown da Covid-19, è nata la loro scommessa, l’organizzazione non profit Ceriops. 

L’organizzazione non profit Ceriops è stata fondata nel 2020 in Kenya da Derrick Muyodi e Levis Sirikwa. Opera nelle contee di Mumbasa e Kwale. Si occupa di avvicinare linguaggi diversi di conoscenza per favorire il capacity building delle comunità e creare opportunità di sviluppo nella green and blue economy. Tra i progetti, “Greening the Blue Initiative”.

Scopri l’organizzazione

Mappare le mangrovie in digitale

«Se siete stati nelle mangrovie, sapete che è molto difficile navigare nel fango che spesso caratterizza la maggior parte dell’ecosistema di Mombasa» sorride Sirikwa. «Immaginate di raccogliere i dati e di registrarli su fogli con penne e matite e poi di scivolare e cadere nel fango e perdere tutto! Quindi è più facile usare questionari automatizzati ospitati da telefoni cellulari e computer e altre tecniche che stiamo esplorando». 

Ceriops utilizza il Sistema Informativo Geografico (GIS) per gestire il monitoraggio forestale, sia in termini di tracciamento che di analisi dei cambiamenti della copertura della vegetazione. «All’inizio etichettavamo ogni albero con il “Tree stand model” ma abbiamo smesso per mancanza di risorse» ricorda Sirikwa. «Ci volevano abbonamenti onerosi per ottenere le migliori immagini satellitari. Ma possiamo comunque utilizzare facilmente piattaforme open source e applicazioni GIS mobili sia per la raccolta dei dati che per geolocalizzare storie: abbiamo una funzione chiamata “story map” che ci serve a raccontarci attraverso video, immagini, testo e mappe interattive, tutto in un unico ambiente». 

Se la mappatura avviene in open source, i dati vengono aggiornati attraverso popolari suite cloud, private ma gratuite, che consentono di effettuare il monitoraggio in tempo reale via web, quindi da remoto. «Abbiamo lavorato per supportare le comunità a capire come avere un account, una mail, e come accedere, vedere e tenere traccia insieme dei dati» spiega Sirikwa. 

L’analisi, a cura di Ceriops, si basa su algoritmi programmati in casa. «Queste sono le tecnologie di base che stiamo utilizzando per supportare le piccole operazioni, perché non siamo ancora diventati una grande azienda ma stiamo solo sostenendo le comunità e cercando di crescere professionalmente» precisa Sirikwa.   

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Fonte: Levis Sirikwa. Tutti i diritti riservati. Riprodotto con il permesso dell’autore

I progetti Ceriops Mikoko na Jamii e Greening the Blue Initiative

Due i progetti di rimboschimento portati avanti in questi quattro anni: uno è Mikoko na Jamii, cioè, in Swahili, Mangrovie e Comunità, tra i progetto-modello nel Paese, incentrato sul ripristino delle funzioni ecologiche degli ecosistemi marini degradati. «Questi progetti sono stati trasformati nelle One Million Tree Campaign, che richiedono l’intervento di altri partner per sostenere il lavoro di ripristino», spiega Sirikwa. «I siti sono geo-localizzati e si possono monitorare i progressi a distanza. Dopo questi anni, le comunità sono diventate autonome nella raccolta dei dati: ora siamo nella seconda fase, con la formazione all’uso di applicazioni di modellazione grafica», dice Sirikwa.

Il secondo progetto Ceriops è Greening the Blue Initiative, supportato nel 2023 dal Kenya Forest Service e finanziato dal Global Landscapes Forum (CIFOR-ICRAF), la più grande piattaforma globale di conoscenza sul paesaggio, e selezionato come buona pratica nella guida LEK1 della Global Mangrove Alliance, il forum guidato, tra gli altri, da World Wildlife Fund e The Nature Conservancy

Il modello Greening the Blue è composto da pratiche come la valutazione del sito prima della piantumazione, il rispetto di una distanza minima tra le piantine o i propaguli piantati, e il monitoraggio continuo per almeno dodici mesi: 2000 piccole mangrovie rosse sono state piantate dal vivaio comunitario di Mwakirunge, nella contea di Mumbasa, e mezzo ettaro di foresta è stato ripristinato grazie al lavoro retribuito di venti uomini e donne del gruppo comunitario Amani Jipange. Oltre il 93% delle piantine è sopravvissuto. «Oltre alla fase di monitoraggio, il modello incorpora altri mezzi di sussistenza per migliorare le iniziative di conservazione, come l’apicoltura: vogliamo conservare la popolazione di api negli ecosistemi di mangrovie per migliorare gli aspetti di ripristino ecologico attraverso l’impollinazione» spiega Sirikwa. 

«Ma questi risultati non sarebbero stati possibili senza la condivisione delle antiche conoscenze degli anziani della comunità: queste persone incredibili conoscono i loro luoghi, hanno una storia e un legame con l’ecosistema. Hanno pescato, estratto legna da ardere e persino cacciato granchi dal fango. Queste esperienze aiutano la comunità a orientarsi nell’ecosistema durante i programmi di ripristino dell’ecosistema, a identificare i fattori che causano il cambiamento delle mangrovie, a migliorare la sicurezza alimentare». 

«L’antico vale oro nell’era della digitalizzazione»

La collaborazione tra scienza ed esperienza

Oggi Ceriops collabora con sei comunità in due contee diverse: Mumbasa e Kwale. «In Kenya le comunità che lavorano su progetti con le mangrovie devono essere legalmente registrate e riconosciute dal Kenya Forest Service (KFS) attraverso la Community Forest Association (CFA)» spiega Sirikwa. «Quindi una comunità con un solo gruppo può avere da 20 a 450 membri, a seconda delle iscrizioni». 

Ma più che collaborare, in passato comunità indigene e scienziati erano antagonisti sui progetti di ripristino: «C’era un enorme divario tra le percezioni degli esperti esterni e delle persone sul territorio: gli scienziati pensavano di sapere tutto e di non dover consultare le comunità locali. D’altra parte, le persone della comunità si sono deliberatamente ritirate e non hanno condiviso le loro conoscenze durante questi progetti». Di conseguenza, questi problemi hanno portato ad una massiccia mortalità degli alberi piantati in varie località.

 

«Solo di recente si è scoperto che entrambe le parti possiedono conoscenze preziose sull’ecosistema. Per esempio, le persone non chiamavano le Rhizophora Mucronata con il nome scientifico ma Mkoko, in lingua locale. Abbiamo quindi cercato di essere parte della comunità, imparare insieme: una volta che siamo stati accolti, è stato più facile condividere le informazioni, senza complessi di inferiorità e fornendo feedback costruttivi quando necessario. Darò sempre credito alla gente del posto, sono lì da prima che noi nascessimo e hanno qualcosa che non si può comprare con i soldi: l’esperienza». 

Ne è nato un modello collaborativo per cui «ciascuno fa quello che sa fare e prova a integrare il linguaggio dell’altro» spiega Sirikwa. Le persone imparano a raccogliere dati in digitale e gli scienziati a inserire elementi di tradizione locale. «Sia per la pianificazione che per l’attuazione di un progetto facciamo delle tavole rotonde per far partecipare più persone possibile» racconta Sirikwa. «Condividiamo ogni pubblicazione, quelle scientifiche, per favorire la condivisione e comprensione delle conoscenze».  

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Fonte: Levis Sirikwa. Tutti i diritti riservati. Riprodotto con il permesso dell’autore

La sfida di un business model sostenibile

Ceriops è, in questo momento, una non profit, sostenuta da sovvenzioni governative o aziendali. «Riusciamo a garantire che venga pagato il lavoro delle comunità, non interamente il nostro» spiega Sirikwa. «In questi due anni mi sono trasferito in Vietnam per conseguire la laurea magistrale e, anche se non ero a budget, ho vinto un premio grazie al lavoro fatto con l’organizzazione. Noi giovani dobbiamo trovare un modo per sopravvivere, nel frattempo che l’associazione resta a galla: lo stiamo facendo con consulenze basate sulla nostra esperienza ma l’obiettivo è che Ceriops diventi sostenibile e in grado di funzionare anche senza di noi». 

La sorpresa è stata scoprire in questi anni che la preoccupazione non sia trovare persone talentuose ma riuscire a trattenerle: «Derrick e io abbiamo cercato di formare persone giovani e condividere le nostre competenze in modo che loro diventassero utili alla comunità e ci aiutassero a guidare la visione dell’organizzazione» racconta Sirikwa. «Ma quello che abbiamo scoperto è che, una volta affinate le loro competenze, non riuscivamo a sostenerli economicamente e quindi sono stati assorbiti da organizzazioni con più risorse finanziarie. L’aspetto positivo inaspettato, viceversa, sono proprio alcuni di questi ragazzi e ragazze straordinarie che ci continuano a supportare fuori dal team per puro spirito di squadra». 

Nei prossimi due o tre anni, l’obiettivo sarà sviluppare investimenti abilitanti per poi, raggiunta una soglia di ripristino delle mangrovie, sperimentare i “crediti d’albero”: «Non sono crediti di carbonio ma pagamenti per i servizi ecosistemici resi attraverso le mangrovie, come, ad esempio, l’ecoturismo, su cui contattare le aziende e farsi pagare una commissione per il lavoro svolto» conclude. «È qualcosa che stiamo ancora esplorando». La collaborazione intergenerazionale potrà aiutare? 


  1. Grimm, K. E., Spalding, M., Leal, F. (2024). Including Local Ecological Knowledge (LEK) in Mangrove Conservation & Restoration. A Best-Practice Guide for Practitioners and Researchers. In Global Mangrove Alliance. ↩︎

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