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Altre economie delle foreste

Tre storie da Ghana e Indonesia per rigenerare agricoltura e turismo

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
Altre economie delle foreste

Il Ghana sta sperimentando progetti sulla produzione di cacao e burro di karité a partire dall’autonomia femminile. Bali prova a salvare le proprie foreste dai troppi turisti, aggregando artisti, fotografi e giornalisti per raccontarne le sofferenze. Il finale dello scontro tra economia estrattiva e rigenerativa è tutto da scrivere

Per pneumatici, guanti chirurgici, stivali da pioggia e dispositivi medici, ma anche per tappi antirumore e giocattoli: sono solo alcuni degli usi della gomma naturale. Tra il 1993 e il 2016 sono stati distrutti 4,1 milioni di ettari di foresta per avere la linfa lattea dell’Hevea Brasiliensis1 da cui ricavarla. Una strage globale, ma più evidente in Thailandia, Indonesia e Vietnam, dove le piantagioni sono piccole e sparse, gestite da agricoltori spesso senza diritti e senza altra scelta che rispondere alle richieste del mercato.

In Europa, dal 29 giugno 20232, chi esporta o immette nel mercato continentale la gomma deve dimostrare di non aver contribuito alla deforestazione. Un passo positivo, ma che rischia di non bastare: entro il 2030, serviranno dai 2,7 ai 5,3 milioni di ettari di piantagioni aggiuntive per soddisfare la domanda. Lo afferma a chiare lettere lo studio della Bangor University (UK) pubblicato su Conservation Letters3 e intitolato L’inclusione della gomma nella legislazione UE anti-deforestazione è necessaria ma non sufficiente per ridurre gli impatti sulla biodiversità, suggerendo di «supportare i milioni di piccoli coltivatori coinvolti a mantenere o aumentare la produzione dalle piantagioni esistenti, senza degradare la terra o l’acqua». Quello della gomma è solo un caso di risorsa forestale in cui i modelli di economia rigenerativa ed estrattiva si fronteggiano. Il finale è ancora tutto da scrivere.

Il cacao che nasce dall’autonomia femminile

Tra le fronde e le notizie drammatiche, esistono storie di altre foreste del mondo salvate dalla logica della rigenerazione, fatta prevalere su quella del solo profitto economico.

La prima viene dal Ghana e riguarda due risorse-chiave: il cacao e il burro di karité. Entrambe sono al centro di progetti nazionali, realizzati nell’ambito del programma REDD+ – Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation4 della Banca Mondiale (Forest Carbon Partnership Facility, FCPF) con l’obiettivo di «ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nell’arco di vent’anni (2016 – 2036) e promuovere la gestione sostenibile delle foreste, la conservazione degli stock di carbonio nelle foreste e il potenziamento dei pozzi di carbonio per conservare la diversità biologica».

Nel caso del cacao, ci si è focalizzati sulla High Forest Zone (HFZ) e su alcune altre specifiche aree di coltivazione di questo albero, «lavorando con il Ghana Cocoa Board sullo sviluppo socio-economico, aumentando la resa dei terreni agricoli con l’introduzione di pratiche più adeguate dal punto di vista climatico e prevenendo l’espansione delle piantagioni di cacao nei terreni forestali» spiega Tessia Ama Boatemaa Boateng, membro del segretariato nazionale REDD+ (NRS), l’organo che dirige le iniziative per il cambiamento climatico della Commissione forestale ghanese.

Tessia Ama Boatemaa Boateng è la responsabile della misurazione, della rendicontazione e della verifica del Segretariato nazionale REDD+ (NRS), che funge anche da Direzione per il cambiamento climatico della Commissione forestale, ente responsabile dello sviluppo sostenibile delle risorse forestali e faunistiche del Ghana. Ha partecipato ai numerosi progetti in corso di attuazione presso l’NRS, acquisito esperienza in materia di coinvolgimento delle comunità, organizzazione di eventi, accordi di condivisione dei benefici, stima delle riduzioni delle emissioni. Si è laureata in Geografia e Sviluppo delle risorse presso l’Università del Ghana e attualmente sta conseguendo un master in Foreste tropicali presso la Bangor University. È anche iscritta all’elenco degli esperti del Ghana e ha conseguito un certificato di competenza in materia di silvicoltura e altri usi del suolo e di introduzione alle questioni trasversali presso il Greenhouse Gas Management Institute.

Scopri di più sulla Forestry Commission Ghana

«Il Ghana Cocoa Forest REDD+ Programm» continua «è la prima iniziativa climatica al mondo basata sui prodotti alimentari di base. L’abbiamo lanciata nel 2019: prevediamo di ricevere in totale circa 21,8 milioni di dollari per ridurre le emissioni di quasi 4,4 tonnellate di CO2. Nel 2023 abbiamo distribuito il primo pagamento di 4,8 milioni di dollari, utilizzandone il 69% per il supporto alla produzione agricola e lo sviluppo di progetti per sensibilizzare le comunità locali sull’importanza della conservazione delle foreste». Dietro a questi numeri, ci sono il riconoscimento di un problema e un programma per risolverlo, sviluppato ascoltando con attenzione chi vive nelle foreste, senza limitarsi a rispondere alle sue necessità primarie, ma abbracciando la complessità socio-culturale che presenta. «Gli impatti della crisi climatica spesso colpiscono in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili ed emarginate, come donne, bambini e poveri, spesso escluse anche dai processi decisionali e dall’accesso a risorse e informazioni relative ai progetti climatici» spiega Boatemaa Boateng. «La società ghanese segue logiche patriarcali che rendono ancora più difficile il coinvolgimento delle donne: la nostra è stata quindi una vera sfida. Per affrontarla abbiamo riservato loro delle posizioni nel Consiglio di gestione degli hotspot del programma, garantendo anche una partecipazione femminile di almeno il 40% alle riunioni e alle attività. Questo ha fatto sì che la maggior parte delle attività di sostentamento introdotte in alternativa a quelle legate alla deforestazione abbiano rafforzato la capacità soprattutto delle donne di guadagnare un reddito extra, per esempio attraverso l’apicoltura o la coltivazione di lumache e di ortaggi».

Milestones del programma REDD+ Ghana. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore e di REDD+ Ghana.

Formazione e supporto per un burro di karité differente

L’attenzione per la popolazione locale e la consapevolezza che un suo coinvolgimento attivo sprigioni energie progettuali concrete e potenti, sono anche alla base del Ghana Shea Landscape Emission Reductions Project (GSLERP) 5 dedicato al burro di karité e ai quasi 400 milioni di alberi da cui lo si ricava, che si trovano principalmente nell’area settentrionale del Ghana. Qui sono fortemente minacciati dai cambiamenti climatici, come da spregiudicate pratiche di produzione agricola e dalla crescente dipendenza dal legno per la produzione di carbone ed energia.

«Con questo programma miriamo a ridurre le emissioni di CO2 di 6,13 tonnellate in 7 anni di progetto e di 25,24 tonnellate nei successivi» spiega Boatemaa Boateng. Anche in questo caso, al centro delle attività messe in campo dal 2022 ci sono quelle per supportare le popolazioni locali, non in logica assistenziale ma generativa, per tracciare insieme nuove strade che rispettino sia la foresta che i loro bisogni. Un esempio per tutti è l’innovativo sistema Taungya che prevede il ripristino agroforestale attraverso l’affido di porzioni di terreno degradato, da coltivare seguendo il ritmo dettato dalle chiome degli alberi stessi.

Un approccio partecipativo e partecipato al ripristino dei parchi di karité, «che migliora fattivamente le capacità di adattamento della flora, della fauna e della popolazione, e potenzia le risorse comunitarie esistenti, attraverso una efficace raccolta delle noci, molto richieste dal settore della cosmesi» spiega Boateng.

Per tutta la regione rappresentano una fonte di sostentamento fondamentale, ma lo sono soprattutto per le donne che, grazie a questo progetto, dispongono di tante piantine di karité e imparano anche a lavorarlo e commercializzarlo.

Che si tratti di cacao o di karité, i progetti generativi contro la deforestazione avviati dal Ghana pongono al centro le donne ma coinvolgono le comunità locali nel loro complesso, fornendo le competenze e le conoscenze necessarie per gestire i progetti legati alla crisi climatica. «Spesso sono conoscenze mancanti e ciò le rende ancora più fragili e impotenti, ma abbiamo superato anche questo ostacolo» spiega Boatemaa Boateng, raccontando di numerose iniziative di sensibilizzazione e formazione, anche di taglio tecnico, per acquisire competenze sulla resilienza climatica pratiche e “pronte all’uso”.

Lo stesso è previsto anche nel programma Forest and Farm Facility realizzato nell’ambito della Divisione forestale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e ormai giunto alla Fase II. In questo caso, si sostengono i produttori forestali e agricoli rendendoli i principali agenti di cambiamento, capaci di creare paesaggi resistenti al clima” nelle zone di transizione, alta foresta e savana in cui vivono. Per massimizzare le possibilità di successo, le iniziative di sensibilizzazione e formazione sui cambiamenti climatici “classiche”, sono state affiancate anche da incontri intersettoriali tra più soggetti, sia a livello locale che nazionale, per creare le necessarie sinergie.

 

L’overtourism che minaccia Bali

Per salvare la biodiversità delle foreste servono quindi ascolto e collaborazione, sia che siano minacciate dalla crisi climatica, che dalla produzione sconsiderata di cacao e noci di karité, oppure dal sovraffollamento turistico, meglio conosciuto come overtourism. Questo fenomeno in molte aree si accompagna agli eventi estremi, a volte diventando addirittura la preoccupazione primaria. Lo si nota molto bene a Bali: in questa località da cartolina è in corso da secoli una lotta contro il turismo di massa da parte delle comunità native, soprattutto nell’Alas Mertajati Forest e vicino al lago Tamblingan che hanno la sfortuna di trovarsi a tre ore scarse d’auto dal complesso di SPA, centri yoga, resort marini e tourist shop di Bali sud.

In quest’area, solo nel 2023, sono arrivati 4,5 milioni di ospiti internazionali, tanti quanto gli abitanti nativi dell’isola, incoraggiando la distruzione di altre foreste e mangrovie e il prosciugamento di nuove aree umide, per fare spazio a nuovi alberghi, resort e centri commerciali. Questo tipo di turismo viene definito dai locali “turismo delle 4 esse”: sea, sun, sand and self (mare, sole, sabbia e se stessi, n. d. r.), perché non contempla la “c” di cultura locale, di “conoscenza reciproca”. O di “convivenza rispettosa”.

L’Indonesia lo conosce bene: la sua foresta tropicale, la terza più grande del mondo, ha perso infatti 4,12 milioni di ettari di copertura forestale dal 2001 al 2022, secondo Global Forest Watch, soprattutto a causa di questo fenomeno che spinge gli abitanti nativi a chiedere a gran voce un ruolo nel disegnare il presente e il futuro delle proprie terre ancestrali. Vedendoli inascoltati, due categorie apparentemente laterali alla scena hanno unito le forze per provare ad amplificare il loro messaggio.

Arte e giornalismo per creare consapevolezza

Con il progetto Kisah Rimba (Storia della giungla)6 realizzato nell’ambito del “Food Estate Program Destroying Indonesia’s Small Islands” grazie al supporto del Pulitzer Center Rainforest Journalist Fund (RJF), giornalisti internazionali e artisti balinesi hanno collaborato alla creazione di opere d’arte per richiamare l’attenzione sulle attuali minacce a cui sono sottoposte le foreste e la sicurezza alimentare delle comunità locali.

Scatti della mostra del progetto Bali Kisah Rimba curata da Made Bayak. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore.

L’esposizione delle opere7 si è svolta a Denpasar, Bali, nel dicembre 2023, e ha permesso a molti turisti di prendere consapevolezza dell’ingiustizia subita dagli agricoltori indigeni locali, che amplifica la disuguaglianza sociale già storicamente presente sul territorio. «Si doveva svolgere a Giacarta, ma ho proposto di spostarla a Bali, vera porta d’accesso internazionale, per attirare un numero maggiore di visitatori» racconta il curatore dell’iniziativa Made Bayak, artista balinese. «Per coinvolgerli in modo coerente, abbiamo anche organizzato una serie di eventi, workshop e occasioni di confronto con le comunità di Bali stessa». Bayak cerca di spiegare a parole quello che sta vedendo con i propri occhi, nella propria terra:

Sempre più terreno viene eroso dal turismo di massa, continuamente all’opera per creare nuovi edifici che danneggiano le nostre foreste, per noi anche preziose fonti di acqua pulita.

Made Bayak ha studiato all’Istituto d’Arte Indonesiano di Denpasar. Suo nonno e il suo bisnonno erano lettori e scrittori di lontar (antichi manoscritti balinesi) e autori di molti rajah (disegni mistici balinesi). Dal 2010 con il gruppo Sanggar Anak Tanguh (Costruire bambini forti) organizza corsi per potenziare la creatività innata dei bambini e rispondere alle carenze del sistema educativo pubblico di Bali. Nel 2011 durante la sua personale alla Galleria Griya Santrian (Bali), ha organizzato visite per le scuole, con dibattiti a tema sulle questioni ambientali rappresentate. Nel 2023 è stato finalista del Sovereign Art Prize di Singapore. Espone regolarmente le sue opere a Bali, in Germania e in Polonia e sviluppa progetti artistici per le scuole e le comunità, realizzando anche eventi di sensibilizzazione su temi ambientali. In futuro spera di pubblicare un libro e di creare un museo sulla plastica che invade Bali. (Foto di Kartika Dewi)

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Cambiando tono ed espressione, poi, racconta anche ciò che è riuscito a realizzare con gli altri artisti: «Abbiamo informato i visitatori su ciò che sta accadendo attraverso le nostre opere, conquistando anche una buona copertura mediatica internazionale e suscitando discussioni vivaci e coinvolgenti sui temi che ci stava a cuore trasmettere. Mi ha fatto piacere sentire le molte domande che le opere hanno suscitato nei visitatori».

Nelle opere dell’artista Gennetik la foresta compare come una risorsa di acqua, da preservare per la comunità, mentre nei fumetti di Gus Dark ne è sottolineata l’importanza per la produzione di cibo e per la vita delle scimmie. Nei quadri di Damar x Bayak c’è un resort che minaccia la foresta della piccola Pari Island, rappresentata con molti simbolismi forti e coinvolgenti, mentre in modo totalmente diverso colpiscono potentemente anche gli scatti di Ulet Ifansasti, fotografo reporter che ha documentato fedelmente l’impatto impressionante che la crisi climatica sta avendo sulle foreste. Sempre con la fotografia, Hafidz Mubarak ha dato invece voce alle popolazioni indigene, lasciando che i visi ne raccontino la vita nelle foreste che stanno perdendo anno dopo anno. A questi scatti si uniscono quelli del collettivo Gfja e dei suoi progetti foto-educativi, dedicati alle comunità, mentre Slinat ha “urlato” la sofferenza del proprio territorio realizzando grandi murales con le tante mangrovie distrutte dall’avanzare del turismo. Con toni più delicati, ma non per questo meno incisivi, l’artista Aqil Reza ha deciso di raccontare il valore simbolico delle foreste, come custodi di culture e simboli antichi, gli stessi che risuonano anche nei versi della poetessa scrittrice Pranita Dewi.

«Nella cultura balinese gli esseri umani nascono dal grembo di una madre creata dagli elementi della foresta, nota come Banaspati Raja» spiega Bayak. «La pioggia cade dal cielo in modo che il terreno diventi fertile e che i vari semi possano vivere e svilupparsi fino a diventare una foresta (boma). Questo è il concetto universale di foresta a Bali, che illustra la relazione tra la conservazione delle fonti d’acqua e il mantenimento della cosmologia e dei cicli vitali di uomini, animali e piante».

Come artista, Bayak si impegna ogni giorno a trasmettere «il danno ambientale che sta causando una forte disuguaglianza sociale. La pittura e la musica, il teatro e altre forme artistiche dovrebbero supportare e schierarsi con le comunità locali per salvare assieme il nostro ambiente e la nostra cultura: queste popolazioni giocano un ruolo fondamentale per il futuro di questo territorio e, per assurdo, sono proprio quelle che pagano il prezzo maggiore nel proteggere le loro aree» spiega Bayak, che invita tutti a guardare Bali per capire davvero «cosa significano le foreste per chi ci vive e ci ha sempre vissuto. Qui ogni area del villaggio ha la sua foresta, vi crescono vari tipi di piante per soddisfare i diversi bisogni e possono essere utilizzate anche dalle comunità circostanti. Chi come me è nato qui, ha un rapporto forte con la foresta, ci ha giocato tutta l’infanzia, passandoci intere giornate e imparando nella natura. E la natura mi ha insegnato molte cose fino ad oggi».

Il suo, precisa, non è un aut-aut nei confronti del turismo ma «si deve fare chiarezza sull’idea che abbiamo della Bali del futuro. Quello che sta succedendo oggi è molto preoccupante: solo l’1% della popolazione di Bali beneficia di questo fiorente settore e le comunità locali sono solo attori secondari nel grande teatro del turismo di massa».

Il futuro si può ancora disegnare, però, e Bayak ha già iniziato a farlo, assieme ad alcuni colleghi. Questi progetti dimostrano che c’è fermento e la direzione da prendere: quella della co-progettazione consapevole. Ora non resta che procedere, assieme, per generare un cambiamento e rigenerare la foresta, come lei per prima ci ha insegnato a fare.


  1. Nome scientifico dell’albero della gomma, originario della foresta pluviale amazzonica ma molto coltivato in Asia, a partire dall’800. Per un approfondimento si veda https://www.monaconatureencyclopedia.com/hevea-brasiliensis/ ↩︎
  2. Per consultare il testo della legge dell’Unione Europea relativa alla messa a disposizione sul mercato di talune merci e prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale, gomma naturale compresa, si veda https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=uriserv%3AOJ.L_.2023.150.01.0206.01.ENG&toc=OJ%3AL%3A2023%3A150%3ATOC ↩︎
  3. Per approfondire lo Studio scientifico pubblicato su Conservation Letters che mostra come la legge UE sui prodotti legati alla deforestazione non basta a salvare le foreste e rigenerarla, si veda Warren‐Thomas E., Ahrends A., Wang Y., Wang M. M. H., e Jones J. P. G. (2023). Rubber’s inclusion in zero‐deforestation legislation is necessary but not sufficient to reduce impacts on biodiversity. Conservation Letters, 16(5). https://conbio.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/conl.12967 ↩︎
  4. Per visitare la piattaforma del REDD+ in Ghana, con dettagli e progetti avviati: https://reddsis.fcghana.org/ ↩︎
  5. Sul Progetto di Riduzione delle Emissioni legato alla produzione di Karité in Ghana, si veda https://www in.greenclimate.fund/project/fp137 ↩︎
  6. Sul progetto supportato dal Pulitzer Center Rainforest Journalist Fund (RJF) che unisce artisti di Bali e giornalisti di tutto il mondo, attorno al destino delle foreste indonesiane, si veda Duangdee V. (2024). Artists, Grantees Reflect on Bali Exhibition That Focused on Indonesia Forests, Pulitzer Center. https://pulitzercenter.org/blog/artists-grantees-reflect-bali-exhibition-focused-indonesia-forests ↩︎
  7. Per avere una panoramica delle opere create ed esposte dagli artisti per il progetto dedicato alle foreste indonesiane, curato da Made Bayak, si veda https://acrobat.adobe.com/id/urn:aaid:sc:AP:5ce359d6-53f6-4b81-a83a-14a3c41d00c9 ↩︎

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