Città a lume di lucciole e batteri
Bioluminescenza e elettro-attività batterica per un’illuminazione sostenibile
Le bioluminescenti lucciole e i biorimediatori batteri possono ispirare nuovi modi di illuminare le nostre città: lo dimostra lo sguardo di due artisti che hanno tratto ispirazione dalla natura per creare opere d’arte luminose
«Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. […] Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”»1
Da quasi quarant’anni, in Italia, la scomparsa delle lucciole è il segno del boom economico del dopoguerra, quindi dell’industrializzazione e delle sue conseguenze sul piano politico e sociale. Al tempo della «grande accelerazione»2 dell’Antropocene, l’immagine delle lucciole è ancor più attuale ma acquista una forza evocativa positiva: le lucciole non sono scomparse del tutto, sono ancora presenti e possibili nella nostra società, seppure a lampi e a tratti. Occorre cercarle, sfuggendo all’abbagliante luce del faro che le rende obsolete3.
José Manuel Berenguer è un medico, compositore e chitarrista. Insegna “Psicoacustica e Musica Sperimentale” al Master in “Sound Art” dell’Università di Barcellona ed è direttore dell’Orquestra del Caos.
Scopri il suo sito
L’arte che, come afferma l’artista e medico José Manuel Berenguer, «non è solo un modo di raccontare ma anche un modo d’essere», in tal senso è un potente strumento per ritrovarle lì dove brillano e ci aiutano a ricostruire un nuovo immaginario per le nostre città.
Il ritmo sincronizzato delle lucciole
«Le lucciole che ho visto producevano lampi, scintille e flash, illuminazioni momentanee che hanno attirato la mia attenzione: quei lampi erano ritmici. Mi è piaciuto molto vedermi circondato da quei bagliori nel mezzo della giungla».
José Manuel Berenguer, medico, compositore e artista durante gli anni ‘90 in Malesia, nel sud-est asiatico, ha intercettato uno dei luoghi che ancora brillano. «Ho visto delle lucciole che emettevano dei lampi. Quando è arrivata la notte e la luce ambientale è scomparsa, molte lucciole hanno iniziato a lampeggiare in modo sincronizzato una accanto all’altra. Questo si poteva verificare in un accumulo di acqua, in una laguna, a volte anche in una intera palude di mangrovie ed è così che ho deciso di studiare il fenomeno della sincronizzazione delle lucciole».
Nella palude di mangrovie, infatti, quando il maschio della lucciola lancia un segnale intermittente, la femmina risponde con un segnale simile: le emissioni di luce prima si somigliano e, poi, coincidono completamente. «La sincronizzazione delle lucciole» Berenguer sottolinea «può essere più o meno forte in base al tempo in cui il bagliore è attivo. Se questo tempo supera la metà del tempo di spegnimento, la sincronizzazione tende a essere più forte».
Le lucciole sono quindi un esempio di sistema che tende a stabilizzarsi in determinati stati di sequenza periodica, i cosiddetti sistemi di oscillatori accoppiati, i quali possono costituire vere e proprie “lucciole artificiali”. Da questa suggestione è nata Lucy. Sin nombre y sin memoria, l’installazione artistica che riproduce un gruppo di 64 lucciole artificiali4.
«Ogni artista sceglie i suoi elementi per creare il rapporto tra arte e tecnologia e, infine, con la scienza» dice Berenguer. L’elemento scelto, in questo caso, è il circuito elettronico 555, presente nelle 64 unità di Lucy e che funziona un po’ come un orologio: aumenta o diminuisce la pulsazione (cioè il ticchettio) a seconda della tensione introdotta.
Come funziona, quindi, Lucy? Ogni “lucciola” è formata da quattro sensori e quattro emettitori di luce a infrarossi. I sensori sono disposti ad angolo retto: all’arrivo della luce infrarossa, la tensione all’interno del circuito aumenta e così la pulsazione che viene trasmessa agli emettitori», in un gioco di rimandi tra emettitori e sensori di una unità a loro volta orientati verso i sensori di altre unità-lucciola. «Quando la luce esce da una delle lucciole, stimola il ricevitore dell’altra e ne aumenta la frequenza» spiega Berenguer. «Entrambe si alimentano fino a che non si arriva a un punto in cui il gioco dei rimbalzi si stabilizza. Nel caso di due lucciole, il momento di stabilizzazione è prevedibile: più aumentano le unità-lucciole e più diventa difficile».
Non solo, Lucy è anche in grado di simulare le perturbazioni che avvengono in natura. «Quando un visitatore si avvicina a una lucciola-unità, provoca un cambiamento nell’emissione di luce dell’intera struttura» spiega Berenguer. Accade che il visitatore «alteri la luminosità ambientale e stimoli una nuova comunicazione tra i componenti e, quindi, un nuovo percorso di rimbalzi e rimandi tra emetittori e sensori. Sebbene gli schemi di sincronizzazione, i percorsi e i punti di partenza stimolati dal visitatore non siano sempre uguali, si arriva sempre a una stabilizzazione. Così come accade in natura».
In questo modo Lucy diventa uno studio su «come le informazioni passano da un luogo all’altro e su come le informazioni vengono trasmesse in una rete» spiega Berenguer. «La città stessa è una rete in cui le informazioni viaggiano da un nodo all’altro». Reticoli complessi5 in cui, anche se i collegamenti tra i vari nodi possono cambiare, l’insieme (o il sistema) si autoregola e resta sempre stabile nel tempo. «In una città ci sono tendenze che rimangono stabili per centinaia di anni, oserei dire millenni, come le strade» spiega Berenguer. «Le strade di Barcellona sono rimaste le stesse dal XVI secolo, per non dire dal XV secolo, ma le attività collegate sono cambiate, così come la loro percorrenza. Anche queste si autoregolano: se una strada non è più percorribile, subisce un danno o è troppo trafficata, si passa da un’altra parte. E il traffico continua a funzionare».
Electtricità dai batteri: il progetto GEO-LLUM
Samira Allaouat è un’artista transdisciplinare, affascinata dalle vecchie tecnologie con nuove e contemporanee applicazioni. Ricerca e sperimenta soluzioni low-tech per un futuro più etico, sostenibile e resiliente.
Scopri il suo sito
Se Lucy si ispira alla bioluminescenza6 delle lucciole, il progetto GEO-LLUM7 dell’artista Samira Benini Allaouat sfrutta il lavoro di biorimediazione, ossia la decontaminazione di terreni o acque attraverso tecniche organiche naturali come l’attività batterica, per produrre elettricità. GEO-LLUM, però, non trae ispirazione solamente dal sapere biologico ma strizza l’occhio anche all’arte, all’elettrochimica, all’ingegneria bioelettronica, al biodesign e alle scienze dell’educazione.
GEO-LLUM è composto da due parole: “geo” che dal greco significa “terra”, e “llum” che in catalano significa “luce” e «più che essere un’opera è un’idea di re-immaginare qualcosa che ancora non esiste» racconta Samira Allaouat. «GEO-LLUM è il risultato di un percorso iniziato tra 2014 e il 2015, quando in occasione della mia prima installazione artistica8, mi sono chiesta: “è possibile fare musica elettronica senza l’elettricità convenzionale?” Ho quindi costruito questo strumento musicale con una batteria idrolitica che usava i metalli per creare elettricità: indagando più a fondo le varie fonti di elettricità nella natura, mi sono imbattuta nelle ricerche del professor Derek Lovley9 dell’Università di Amherst, lo scopritore dei Geobacter».
Chiamati anche i “PR della terra” per la loro capacità di attirare altri batteri, i Geobacter metallireducens sono innocui per la salute umana e anaerobi: non avendo bisogno di ossigeno, vivono in terreni umidi così come nel fondo degli oceani, e sono in grado di produrre elettricità decontaminando il suolo.
Questi microrganismi sono diventati la base del funzionamento di GEO-LLUM, concepito come un vero e proprio organismo vivente. «GEO-LLUM è stato pensato seguendo un approccio di design estetico e funzionale basato sulla biomimesi: ne è un esempio la forma a fungo delle luci, che serve anche per la raccolta dell’acqua» spiega Samira Allaouat. «Partendo dall’alto, la parte superiore del “fungo” è appunto un imbuto che canalizza l’acqua attraverso lo stelo e riempie il contenitore che annaffia la terra sottostante e fa prosperare i geobatteri».
Ma come si crea l’elettricità? La batteria di GEO-LLUM, chiamata Microbial Fuel Cell (MFC), è formata da varie cellule: ciascuna è composta da un anodo di granuli di coke all’interno e un catodo di feltro di carbonio all’esterno. Il feltro è quindi a contatto con la terra: i geobatteri, attratti da materiali conducenti, lo colonizzano, ovvero gli si attaccano, e cominciano a produrre una pellicola biologica o biofilm, formata da veri e propri nanocavi elettrici, i pili. Da questa attività i batteri escorporano elettroni e tra l’anodo e il catodo della cellula si crea la differenza di potenziale e quindi l’elettricità. La MFC è formata da 14 cellule in grado di produrre circa 3-4 volt di energia, questa viene immagazzinata da un accumulatore così da avere una corrente fluida e senza gli sbalzi dell’attività organica.
«Ogni volta che si accende la luce» confessa Allaouat, «è un momento magico».
Nel circolo energetico di GEO-LLUM, in cui tutte le parti sono interconnesse e interdipendenti, l’essere umano si prende cura dei batteri, anziché cercare di debellarli. Un bacterial turn che Allaouat sostiene perché «noi abbiamo più batteri che cellule umane: viviamo già in simbiosi con loro. Nella storia della scienza c’è stato un attacco diretto a questa parte fondamentale della natura, a questa parte invisibile che noi ignoriamo ma che è proprio alla base del nostro ecosistema. Sono contenta che GEO-LLUM mi stia dando la possibilità di fare divulgazione sulla loro importanza e sul nuovo modo di pensare i batteri confrontandomi con persone provenienti da diversi ambiti: scientifico, artistico, scolastico».
Attualmente il prototipo è in via di implementazione a Barcellona, in collaborazione con il gruppo di ricerca Bioe dell’università di Alcalà de Henares, ma punta ad essere un modello scalabile, con design differente, in varie città del mondo.
L’arte che illumina nuovi percorsi
«Io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola» scriveva Pasolini. Le lucciole non sono scomparse del tutto e Lucy. Sin nombre y sin memoria ci dimostra che il sistema urbano, pur restando stabile nel tempo, può cambiare i suoi percorsi interni per favorire una visione più ecosistemica e sostenibile in cui le lucciole, e ciò che esse rappresentano, ritrovino il proprio spazio.
L’arte, come afferma Berenguer, «nel suo ruolo di espressione di libertà ha il compito di trasmettere l’idea che abbiamo delle opzioni e ha la funzione di essere uno spirito critico nei confronti del potere costituito».
Lo sguardo artistico ci aiuta così ad abbandonare le strade non più percorribili per illuminarne di nuove, in questo caso letteralmente. GEO-LLUM ne è l’esempio: a partire da un nuovo tipo di illuminazione negli spazi pubblici urbani è possibile fare la differenza e promulgare un pensiero che sia ecologico, luminoso e collaborativo.
- “Il vuoto del Potere” di Pier Paolo Pasolini, diventato poi famoso come “L’articolo delle lucciole” nel volume Scritti corsari. Cfr. Pasolini, P. P. (1975). Il vuoto del potere. In Corriere della Sera. ↩︎
- Engelke, P., McNeill, J.R. (2018). La Grande accelerazione. Torino: Einaudi. ↩︎
- Secondo il filosofo e critico d’arte francese Georges Didi-Huberman, la luce delle lucciole non è sostituita dal buio, ma da un enorme faro che proietta luce artificiale, rappresentato dai meccanismi dello sfruttamento e del consumo. Il postmoderno non ha sconfitto le piccole lucciole cancellandole dalla storia, ma le ha rese obsolete, come una piccola luce naturale coperta da un faro abbagliante. Cfr. Didi-Huberman, G. (2010). Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze. ↩︎
- Lucy. Sin nombre y sin memoria è stata ospitata all’interno del centro museale di arte, tecnologia e società Ars Electronica nel 2008, in occasione del festival Beep Electronic Art Collection. ↩︎
- Gli esseri viventi sono sistemi complessi, caratterizzati da proprietà emergenti: il comportamento dell’insieme è difficilmente prevedibile in base alle leggi che regolano il comportamento delle sue singole parti. Un sistema complesso può essere rappresentato come una rete costituita da nodi e collegamenti attraverso i quali viaggiano le informazioni. Cfr. Dominici, P. (2023). Oltre i cigni neri. L’urgenza di aprirsi all’indeterminato. Milano: FrancoAngeli. ↩︎
- In chimica la bioluminescenza è un fenomeno per cui organismi viventi emettono luce (“bioluminescence” in International Union of Pure and Applied Chemistry). ↩︎
- GEO-LLUM è stato selezionato all’interno della residenza “Repairing the Present” 2022 del programma S+T+ARTS finanziato dall’Unione Europea. è stato quindi realizzato all’interno del Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona attraverso la collaborazione dell’Akasha Hub Barcelona e del ricercatore Abraham Esteve Nuñez di Bioe Group, all’interno del centro di ricerca Imdea Agua dell’Università di Alcalà de Henares. Esposto al MAXXI di Roma nel 2022, GEO-LLUM ha ricevuto una nomination allo S+T+ARTS Prize 2023. ↩︎
- Allaouat, S. No Plug Sound Machine. ↩︎
- Il professore Derek Lovley, ricercatore in fisiologia ed ecologia dei microrganismi anaerobi, è stato uno dei primi scopritori dei Geobacter. Cfr. Lovley, D. (2011). Geobacter: The Microbe Electric’s Physiology, Ecology, and Practical Applications. In Advances in Microbial Physiology. ↩︎