
Segnali biochimici che diventano codici da decifrare: dalla fine degli anni ’90 è tornato l’interesse verso la comunicazione vegetale. Ma riusciamo a rispettare le piante solo se le rendiamo simili alla parte migliore di noi?
Non esiste nessuna tecnologia così avanzata e sofisticata che raggiunga la complessità e la perfezione degli alberi viventi. Forse per questo cadiamo facilmente nella tentazione di pensare che debba per forza esistere una comunicazione sociale fra le piante, una sorta di emulazione della nostra intelligenza e del nostro modo di relazionarci e comunicare.
Il Wood Wide Web e gli alberi-madre
Nel 1997, la copertina di Nature è stata dedicata al Wood Wide Web: letteralmente la “rete ampia del bosco”, è una metafora che indica la rete di comunicazione sotterranea tra gli alberi di una foresta. Una metafora sviluppata a partire dallo studio1 firmato da Suzanne Simard, allora ricercatrice al Ministero delle Foreste della provincia canadese Columbia Britannica.
Fino a quel momento, era chiaro che le radici di alcuni vegetali, come gli alberi, formassero relazioni simbiotiche con particolari funghi, le micorrize: Simard e colleghi hanno dimostrato in quello studio come gli zuccheri fotosintetizzati dentro queste simbiosi non si fermino al singolo vegetale ma vengano trasmesse ad altri vegetali, più lontani, attraverso i filamenti (ife) dei funghi.
Una sorta di “superstrada comunicativa sotterranea” che funziona come Internet: i nodi con più collegamenti-radici, gli hub, forniscono sostanze nutritive a quelli che ne hanno meno, gli spoke.
Metafora su metafora, il passo da “hub” a “madre” è stato breve, come dimostra il titolo del bestseller di Simard, Finding the Mother Tree (2021).
Nel corso degli anni, è quindi emersa una narrazione antropomorfica che utilizza parole come “madre” (anche se gli alberi in questione sono sia maschili che femminili) e tende a creare un senso di vicinanza ed empatia negli esseri umani che dovrebbe spingerli a preoccuparsi degli alberi percependoli come propri simili.
Gli alberi che comunicano fra loro, che si prendono cura l’uno dell’altro e si sostengono in comunità cooperative hanno catturato il nostro immaginario popolare: dal film Avatar (2009) di James Cameron al romanzo The Overstory (2018) di Richard Powers, vincitore del premio Pulitzer nel 2019.
E se tutte queste raffigurazioni che mostrano gli ecosistemi, gli alberi e le foreste come esseri sociali, che parlano e comunicano fra loro, stessero in realtà travisando e addirittura danneggiando la causa della loro conservazione?
Il monito di Kathryn Flinn
Kathryn Flinn è un’ecologista vegetale, professoressa associata di biologia alla Baldwin Wallace University, nell’Ohio (USA), nota per aver assunto posizioni scomode e in antitesi rispetto all’idea romantica che gli alberi comunichino per cooperare, rassomigliando alla migliore versione di noi esseri umani.
Flinn irrompe e rompe definitivamente quell’atmosfera quasi magica e fiabesca, in cui ci piace tanto credere, di una profonda comunione fra gli alberi, di un continuo mutuo soccorso volto sempre ad un’etica del bene, come se la Natura, per continuare con la metafora antropomorfica, non potesse mai essere matrigna, ma solo madre buona.
Ma quindi gli alberi parlano davvero? «Certamente» ha risposto Flinn in un articolo a propria firma su Scientific American.2«Le piante emettono ormoni, segnali chimici e segnali di difesa, perché altre piante possano rilevare questi segnali e rispondere adeguatamente cambiando la loro fisiologia di conseguenza».
Questo però non implica che le piante comunichino sempre e solo in modo gentile fra loro, o che tutto sia sempre e solo volto alla cooperazione: ad esempio, le piante producono anche allelochimici che avvelenano i vicini. Enfatizzare troppo la compassione degli alberi è fuorviante ed è di fatto una distorsione, l’ennesimo errore antropocentrico: il terreno sotterraneo delle foreste è fatto anche di feroce concorrenza.
Né come oggetti né come esseri umani, Flynn suggerisce di considerare le piante in un terzo modo: come piante, che vivono alle proprie condizioni.
«Le piante sono fondamentalmente diverse da noi» ha scritto ancora l’ecologista3 «Mute, radicate e imperscrutabili. Dobbiamo affrontare la sfida di coltivare il rispetto per gli organismi che sono diversi da noi, nei loro corpi separati e complessi, nelle loro interazioni sofisticate, nelle loro vite insondabili».
Ma perché le piante ci affascinano così tanto?
Osservare un albero: la lezione di Francis Hallé
Francis Hallé è probabilmente allo stato attuale l’esperto più importante di foreste primarie, cioè quegli ultimi ecosistemi ancora intatti, mai sfruttati dall’uomo e a rischio di estinzione. Famoso botanico francese, Hallé è solito utilizzare l’osservazione come strumento privilegiato scientifico per lo studio delle foreste.
Durante gli anni Ottanta, ha organizzato addirittura una sorta di laboratorio scientifico mobile Radeau des cimes, ovvero “la zattera delle cime”, che ha utilizzato per studiare gli alberi presenti nelle giungle del Sudamerica, dell’Africa e del Madagascar.
Francis Hallé è il protagonista del documentario Il était une forêt (2013), firmato dal regista Luc Jacquet, premio Oscar 2006 perLa Marche de l’empereu, “la marcia dei pinguini”. Presentato in anteprima italiana nel 2014 al Sottodiciotto Film Festival di Torino, il film è un vero e proprio patrimonio testamentario sulle ultime grandi foreste dei tropici. Un’immersione straordinaria in questo mondo selvaggio rimasto nel suo stato originale, dove ogni essere vivente trova posto nell’integrazione totale di un unico superorganismo.
Hallé viene ritratto seduto su un ramo, a venti metri da terra, in cima a un Moabi, uno dei giganti della foresta in Gabon, nell’Africa centrale: proprio da lassù, da quella angolazione, il suo sguardo si fa sapiente, attento osservatore delle intelligenze non umane e ci fa scoprire la vera rivoluzione intellettuale prodotta dall’osservare un albero.
L’albero è allo stesso tempo uno e multiplo, mai considerabile secondo la nozione di “singolo individuo” che applichiamo a un essere umano, ma piuttosto descrivibile come una colonia, un vero e proprio collettivo. Un albero può essere visto come un organismo modulare che si sviluppa secondo il proprio patrimonio genetico, in funzione della propria complessità strutturale e dell’ambiente in cui vive.
Osservando le foreste, si comprende l’incredibile mondo di interdipendenze, interrelazioni e morfogenesi di cui le piante sono capaci. La chiave risiede nell’alterità delle piante, nel loro essere ancora così profondamente misteriose e sconosciute, testimoni silenziosi della nostra storia, ma centrali per la nostra sopravvivenza.
Capire gli alberi, le foreste significa un po’ diventare albero, raggiungere quelle vette, quella duttilità e quella capacità del corpo di farsi diffuso, modulare, verticale e orizzontale allo stesso tempo, di cambiare postura e forma per meglio avvicinare gli esseri vegetali.
«Un albero sembra una cosa da poco, una soluzione semplice, da fiaba, per gente un po’ ingenua e premoderna che non ama la tecnologia. Invece – afferma nel documentario Francis Hallé – non esiste nessuna tecnologia che sia complessa e perfetta come quella di un albero».
L’Intelligenza Artificiale aggiunge il proprio codice
In questo scenario intricato di relazioni complesse fra umano – non umano, anche l’Intelligenza Artificiale sta muovendo i suoi primi passi, con applicazioni molto curiose che tentano di creare ponti sottili fra noi e il mondo vegetale.
L’ultima sfida è quella di trovare una “compagna” alla pianta “più sola del mondo”, l’Encephalartos woodii (E. woodii). Rimasta sola in Sudafrica, questa antica specie sembra addirittura precedere i dinosauri e si ritiene che sia uno degli organismi più in via di estinzione del pianeta.
L’Università di Southampton ha quindi sviluppato un progetto di ricerca per evitarne l’estinzione: droni programmati per riconoscere l’immagine della pianta attraverso algoritmi IA stanno battendo le foreste del Sudafrica per trovare alla pianta “maschile” una “partner femminile”.
«Sono stata molto ispirata dalla storia dell’E. woodii, rispecchia una classica storia di amore non corrisposto» ha dichiarato alla BBC4 Laura Cinti, ricercatrice leader del progetto di ricerca «Sarebbe incredibile salvare questa pianta così vicina all’estinzione attraverso la riproduzione naturale».
L’urgenza umana di comunicare con le piante
Il desiderio profondamente umano che le piante comunichino, si amino, abbiano un compagno o una compagna, come accade nelle nostre vite, è quindi lecito? Dove ci può condurre? Verso nuove fantasie o ulteriori distorsioni? O magari addirittura può spingerci a pensare che le piante possano comunicare anche con noi, che ci vogliano dire qualcosa, rivelare i loro segreti più ancestrali e misteriosi?
Anche sulla comunicazione fra essere umano e pianta esistono diatribe in atto da decenni e non ancora concluse, che ci fanno ben comprendere quanta urgenza esista da parte dell’essere umano di comunicare e di essere ascoltato e corrisposto benevolmente dalla Natura.
Niente ci fa sentire al sicuro come sederci alle radici di un albero e far correre le mani sulla corteccia. Non sarebbe incredibile se ci fosse anche una risposta, una reciprocità, una corrispondenza positiva da parte della pianta?
Ma davvero l’albero dovrebbe per forza (cor)rispondere? Non potrebbe essere che le persone e gli alberi vivano in mondi completamente diversi?
E se le piante in realtà semplicemente ci ignorassero?
- Per consultare lo studio di Simard, si veda Simard S. W., Perry D. A., Jones M. D., Myrold D. D., Durall D. M., and Molina R. (1997). Net transfer of carbon between ectomycorrhizal tree species in the field. Nature, 388(6642), 579–582. https://www.nature.com/articles/41557 ↩︎
- Riguardo all’idea di Flinn sulla comunicazione delle piante, si veda Flinn K. (2021). The idea that trees talk to cooperate is misleading, Scientific American. https://www.scientificamerican.com/article/the-idea-that-trees-talk-to-cooperate-is-misleading/ ↩︎
- Ibidem ↩︎
- Per leggere l’intervista di Cinti, si veda l’articolo AI helping find ‘world’s loneliest plant’ a partner (2024), BBC. https://www.bbc.com/news/articles/ce99v9z0529o ↩︎