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Come nasce una puntata di Zenit

Il backstage delle nostre storie luminose

Carlo Ferretti
una storia scritta da
Carlo Ferretti
 
 
Come nasce una puntata di Zenit

Dalla ricerca delle storie alla diffusione online, ogni puntata di Zenit è frutto di un preciso lavoro di squadra: ecco quale

Ogni storia, una tessera: dopo quattro mesi, il mosaico di Zenit comincia a prendere forma. Mi piace pensarlo come un cantiere in evoluzione, un processo artigianale in cui anche il “come”, il “dietro le quinte”, riflette il “perché” di quest’avventura: lasciarsi ispirare dai barlumi di una società che potrebbe essere. Una società che si fa insieme. 

Perché si chiama Zenit

Fino a sei mesi fa “Zenit” era solo un’idea: l’idea di raccontare quelle che avremmo chiamato “altre storie di cultura, tecnologia e società” anche via podcast, di condividere le storie che ci piacciono perché ispirano noi per primi in un modo informale ma preciso, semplice e accogliente.

“Il podcast”, come lo chiamavamo all’inizio, non è mai stato per noi il modo per “presidiare” un canale ma la volontà di aprire una porta, di condividere attraverso l’immediatezza e il calore della voce umana le possibilità che emergono quando ci si ascolta, quando l’orizzonte si apre in una direzione inaspettata.

All’inizio di “Zenit”, così come di “Mangrovia”, non c’era un “noi”, ma un gruppo di persone che ha scelto di imbarcarsi nella lucida follia di un progetto editoriale ambizioso ed entusiasmante. Il “noi” si è formato piano piano, in costanti confronti prima, durante e dopo le riunioni, in cui ciascuno ha messo in comune quello che sapeva e quello che avrebbe voluto imparare, quello che aveva e dove sarebbe voluto arrivare. La traccia di questo processo sono i fogli condivisi che costituiscono ancora la base del nostro lavoro.

L’identità “del podcast” è nata così, piano piano, ascoltandosi. Non siamo abituat3 ad associare l’avverbio “spontaneamente” a una discussione: ma quando si è trattato di decidere il nome “del podcast” dalla lista condivisa delle possibilità, “Zenit” è emerso così, spontaneamente. «Ragazzi, ora ve lo posso dire: era il mio preferito» ho esclamato con un sorriso a trentadue denti.

In astronomia, lo Zenit è il punto immaginario in cui la sfera celeste interseca la linea retta verticale che passa dalla testa dell’osservatore.

Zenit viene dal termine arabo “samt al-ra’s”, che significa “direzione della testa”: se guardi verso il cielo con la testa rivolta in su, stai guardando lo Zenit. Allo stesso modo, ci è piaciuto pensare che ciascuna puntata potesse essere un punto di osservazione privilegiato e inaspettato, se avessimo avuto la curiosità, tutti insieme, ovvero sia noi che “lo facciamo” sia tu che lo ascolti, di rimanere radicati e al tempo stesso di guardare oltre.

Ci è piaciuto inoltre giocare con il concetto di luce, solare o notturna, che lo Zenit implica: stare con la testa in su verso il cielo e rivolgersi verso qualche stella, interrogarla. È quando siamo senza stelle che, etimologicamente, desideriamo. E come il paesaggio astronomico cambia a seconda delle latitudini, per cui vediamo stelle diverse in base a dove ci troviamo, il sole allo Zenit non si verifica mai dalle nostre parti: per noi ha il valore di un invito alle altre storie luminose che continuiamo a raccontare.

Il processo di produzione

Dietro la produzione di “Zenit” c’è una macchina di lavoro intenso, che inizia con la riunione plenaria di programmazione di “Mangrovia”: ogni mese decidiamo insieme gli argomenti e le storie da condividere il mese successivo sia sul magazine che sul podcast. La ricerca delle possibili storie, che avviene anche attraverso l’utilizzo di tool di IA, viene discussa e integrata dagli spunti che emergono dalla discussione, così da bilanciare le tre componenti (cultura, tecnologia e società) all’interno dello stesso contenuto e nella programmazione mensile in generale.

Fin dall’inizio di quest’avventura editoriale, abbiamo avuto chiaro che non avremmo raccontato le stesse storie su canali diversi ma che anche tra magazine e podcast ci sarebbero state altre storie, ovvero che ci saremmo sforzati di offrire contenuti sempre originali e adatti ai formati, sebbene inseriti in un quadro complessivo. In pratica, questo comporta uno sforzo produttivo notevole, che riusciamo ad affrontare proprio grazie allo spirito di squadra e di collaborazione che ci muove. Ancora più concretamente, questo significa che nel corso della riunione si decide quali delle piste presenti nei file condivisi approfondire e dove: se nei due mesi è stato necessario programmare un’ulteriore riunione di finalizzazione dopo qualche giorno, ora questo processo è sempre più fluido ed efficace.

Conclusa questa parte, inizia il lavoro di approfondimento vero e proprio che si concretizza nella scrittura della puntata, nel mettere nero su bianco quello che ho trovato nella maniera più semplice e immediata possibile ma al tempo stesso dettagliata e accurata. Come essere preciso senza risultare pedante? Come dirti in poche parole quello che sto studiando da giorni? Come fluidificare (e accelerare) la mia scrittura? Queste sono alcune delle domande che mi sono posto in questi mesi, in un continuo work in progress in cui non smetto di imparare.

Una volta redatto il testo, dopo la revisione editoriale da parte della direttrice responsabile, arriva il momento, sempre catartico ed emozionante, della registrazione:

la voce umana di Zenit sono io, ma in qualche modo la mia voce è già altro da me, contiene le storie che mi hanno attraversato e che devo provare a raccontare.

Qualcuno ha riflettuto sulla riproduzione elettronica che “dividua” l’individuo perché scorpora suoi pezzi, sue caratteristiche, trasportandoli altrove: è in quell’altrove che vorrei raggiungerti, attraverso la mia voce che non è più la mia e che si incrocia con brevi inserti di registrazioni di altre voci ma soprattutto con il paesaggio sonoro di Zenit, costruito con estrema cura da Diego Ceo, sound designer ed artista.

A Diego passa il file grezzo di registrazione, su cui elabora suoni elettronici, condensati in pattern specifici, che richiamano una dialettica sonora tra componenti tecnologiche, umane e naturali. Esplorare habitat con la musica elettronica significa per noi riflettere su cosa consideriamo artificiale, significa valorizzare il ritmo narrativo attraverso un paesaggio sonoro che evolve nel corso della puntata per analogia o contrappunto, come un abito cucito su misura per l’occasione in cui lo si indosserà.

Solo dopo che la puntata si è popolata di suoni, voci, paesaggi, arriva il momento di ascoltare e rivedere l’audio finale, rivederlo e integrarlo dove necessario e infine approvarlo e caricarlo sulle principali piattaforme. Anche questo è un processo con le proprie specificità, dall’inserimento degli shownote a quello dei tag alla programmazione della puntata e dei lanci di comunicazione.

Ormai sono anni che sperimento ed uso il medium del podcast per raccontare storie, studiare e fare divulgazione. Zenit mi ha regalato un’opportunità inaspettata, ovvero quella di dedicarmi quotidianamente a scoprire il mondo, viaggiare con la mente in posti lontani, imparare ad avere fiducia nel mondo che cambia, e trasmettere queste scoperte giorno dopo giorno. E continuare a farlo, con il supporto di tutti. Anche il tuo.

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