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Intervista

Come un granello di sabbia

Vulnerabilità e cambiamento nelle opere di Jim Denevan

Josephine Condemi
una storia scritta da
Josephine Condemi
 
 
Come un granello di sabbia

Hai mai visto un monumento scomparire? Le sculture effimere di Jim Denevan sono progettate per non restare uguali a sé stesse e richiedono uno sforzo di rigenerazione che è sempre una scelta. Lo abbiamo incontrato

«Ho le spalle a pezzi»: Jim Denevan non può permettersi di ignorare la componente fisica della sua arte. L’ultima sua opera, Self Similar, realizzata nel 2023 in tre settimane per la mostra Manar Abu Dhabi1, negli Emirati Arabi, si estendeva nell’isola Fahid per quasi un chilometro quadrato e un’altezza di ventisette metri: da un cerchio disegnato con un bastoncino sulla sabbia, ha formato 19 anelli concentrici di 448 piramidi e tumuli a schema mandala. Fino allo scorso gennaio, è stato possibile visitarla entrando da un Iron Bridge allineato alla posizione del sole all’alba e al tramonto: dai due tumuli di osservazione a 360 gradi o dal centro, appariva chiara l’autosimilarità dell’intero disegno, in cui una parte è sempre simile al tutto. Ma tutte le opere di Denevan sono topografiche, interagiscono con i luoghi inscrivendo segni temporanei: partiamo da qui. 

Jim Denevan (1961) è un artista americano che realizza in tutto il mondo opere di land art temporanea. Le sue installazioni sono sculture effimere in sabbia, terra e ghiaccio, spesso monumentali. La documentazione delle sue opere è stata esposta, tra gli altri, alla Biennale di scultura di Vancouver, allo Yerba Buena Center for the Arts e al MoMA/PS1. Nel 1999 ha fondato “Outstanding in the Field”, un format itinerante di cene sostenibili all’aperto. La sua vita e la sua arte sono al centro del film “Man in the Field” (2021). Vive a Santa Cruz, in California.

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Cosa è per lei la topografia2?

Mia madre era una matematica, quindi nella mia mente le superfici sono mutevoli, sempre in uno stato di cambiamento. In qualsiasi ambiente mi trovi, lo penso in uno stato transitorio. Inoltre, mio fratello è un agricoltore biologico, abituato a interagire con condizioni atmosferiche diverse e in continuo cambiamento. Vale anche per le città: se si torna nello stesso hotel dopo dieci anni, ci lavoreranno persone diverse. La cultura cambia costantemente le persone: ci sono fascinazioni che tra dieci anni non saranno più particolarmente interessanti. Nel mio particolare tipo di land art3 pongo l‘enfasi sul transitorio attraverso grandi sculture effimere. Il transitorio non è generalmente associato alle cose grandi, perché i monumenti implicano una durata. Ma naturalmente, a parte le piramidi in Egitto e poche altre cose, molte delle opere che noi consideriamo monumentali, e che sono state centrali per la vita culturale in epoche passate, o sono coperte da alberi o non sono più nel contesto della loro collocazione originale. Se consideriamo monumenti le formazioni naturali, ad esempio le montagne, vediamo come attraverso le ere geologiche si siano trasformate in qualcos’altro: milioni di anni fa, gli Appalachi erano l’Himalaya.

Quindi penso che sia poetico creare composizioni su quella che potrebbe essere chiamata la pelle della terra, la pelle di un corpo che non è statica.

Prendiamo i laghi stagionali: in Australia li chiamano “lake version” perché l’acqua è presente solo il 5-10% dell’anno eppure la loro identità è segnata da questo. Se ci pensiamo, se guardiamo la Terra da un aereo, il segno più onnipresente della cultura è l’agricoltura: centro, perno, foglie e canali di irrigazione, cerchi o rettangoli. Non li vediamo più per quanto sono onnipresenti.

Per la realizzazione delle sue opere si avvale della partecipazione della popolazione locale. In che senso? 

È una domanda affascinante. Se ci pensi, ci sono opere d’arte figurative, geometriche e persino tradizioni di segni effimeri in diverse culture in tutto il mondo. Questo scambio culturale potenziale mi fa pensare alla cena o alla condivisione di un pasto o ai gesti del tipo: “ecco la ciotola del cibo, c’è questo e lo mangeremo insieme”. Penso che il contributo di diverse persone nella realizzazione di un’opera d’arte effimera sia come uno scambio culturale di questo tipo. È simile a una performance di danza che si traduce in una scultura effimera. Ci sono diverse fasi: prima cammino per trovare il luogo adatto per iniziare, poi segno il terreno con un bastone, poi porto gli attrezzi, li poso a terra e se qualcuno si trova lì e vuole dare una mano può farlo. In una spiaggia dell’Uruguay un gruppo di sei persone che camminavano parlando lingue diverse, si sono messe ad aiutare in base alla forza fisica, al loro interesse a al tempo a disposizione. Qual è la motivazione utopica che li spinge? Qualcuno potrebbe scegliere di lavorare per mezz’ora, qualcun altro per un’ora, due. Mi è capitato che una persona scegliesse di lavorare per cinque giorni.

Quante persone possono partecipare? Perché le sue opere sono enormi.

Da dieci a 150 persone. I cumuli di sabbia molto grandi possono contenere solo quattro o cinque persone intorno al perimetro, in modo che non si colpiscano a vicenda ma collaborino. In cumuli più piccoli invece il rapporto è 1:1 e chiunque sente di poter contribuire, è facile e divertente, per persone di tutte le età. È quando l’opera diventa grande che è impegnativo e può essere, per forza fisica e durata, scoraggiante. In questi casi il supporto non è gratis. Ho lavorato molto duramente nel deserto, sia ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, che in Arabia Saudita, anche con 70 persone al giorno. Stavo pensando di fare qualcosa del genere al confine tra Francia e Paesi Bassi, sui due argini di un fiume molto grande: ho sognato di andare su una spiaggia piena di gente con tutti gli strumenti da lavoro e magari portare il pranzo e all’improvviso ci sono tipo 2000 persone che aiutano. Non l’ho ancora fatto con questi numeri, ma vedremo. 

Come sceglie il punto esatto in cui costruire l’opera?

Cammino per un po’ e sento i panorami. Chi come me fa land art si chiede: ‘Si adatta al contesto? È questo il posto più naturale in cui iniziare?’ Certo, ci vuole un po’ di tempo ma non ho fretta, procedo lentamente. Ad esempio, per il tipo di composizione realizzata ad Abu Dhabi, si inizia con un cerchio, che viene diviso equamente. Lo faccio da abbastanza tempo da poterlo fare con buona precisione. Le composizioni sono imperfette, ma sembra che siano matematicamente perfette. Paradossalmente, quando le dimensioni diventano molto grandi, la tolleranza all’errore visivamente è molto più ampia

Quali sono le differenze tra Angle of Repose del 2022 e Self-Similar del 2023?

Il progetto Angle of Repose, in Arabia Saudita, prende il nome dall’angolo di 45 gradi che una duna di sabbia forma quando è bagnata, prima di tornare all’angolo abituale di 34 gradi. Mi affascinava l’idea che fosse possibile calcolare questo scorrimento nel tempo, la posizione A e la posizione B. In Marocco, una duna barchan alta 30 metri e larga 400, si è spostata di oltre un chilometro in 30 anni, come si può vedere da Google Earth. Inoltre, le dune si muovono a velocità diverse a seconda delle dimensioni: più sono piccole, più sono veloci. È quindi possibile calcolare le relazioni tra le dimensioni nell’arco di decenni. Ci sono molte direzioni interessanti da percorrere con l’arte effimera, ho imparato molto sulla sabbia: la sabbia della spiaggia non ha limo come quella dei fiumi. In Arabia Saudita era sabbia di fiume, che a contatto con l’acqua si compatta. In due anni e mezzo, una volpe araba si è trasferita in uno dei cumuli di sabbia, le piante sono cresciute in cima ai meloni rotolati lungo i fianchi delle dune, ma ancora le dune non hanno raggiunto i 34 gradi. Ad Abu Dhabi invece la componente serica della sabbia è stata minore. 

Alcune delle opere di land art di Jim Denevan. “Concentrics” (Immagine 1), land art a Tofino (Immagine 2), land art a San Gregorio State Beach (Immagine 3), “Angle of Repose” (Immagine 4), “Self-similar” (Immagine 5 e 6). Fonte: Jim Denevan. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore.

Attraverso l’arte effimera decide di lasciare le sue opere alla mercé degli elementi, simbolo della vulnerabilità e della trasformazione del paesaggio e del nostro corpo. In questo senso, possiamo dire che l’opera d’arte più sostenibile è quella che scompare?

Quello che vorremmo durasse, come le persone care, le cose belle che sono state, le consideriamo belle perché non durano davvero, come la sabbia che tieni in mano ma sai che verrà soffiata via. Mio fratello l’agricoltore ha questo impulso a realizzare una sorta di Eden terrestre ma comunque tutto crolla, si sgretola. Forse, in un certo senso, l’idealismo dentro il concetto di sostenibilità si potrebbe considerare come uno sforzo per mantenere il meglio dei nostri valori o di ciò che amiamo ma alla fine… sono destinati a finire, capisci? Non vivremo presto in un’utopia. E molte delle utopie, come abbiamo visto, hanno portato a risultati terribili. Con le mie composizioni e con il mio lavoro insieme a persone eccezionali porto avanti la consapevolezza che il desiderio di utopia, se estremizzato, è sia irrealistico che dannoso, e va bene riconoscere che i nostri più grandi sforzi non arrivano a nulla, che tutto cade, come il mito di Sisifo. Noi continuiamo a spingere il sasso su per la collina e lavoriamo per creare cose belle e portare bellezza e cultura, che si tratti di danza o di musica o di qualsiasi altra cosa. Ma, alla fine, c’è la poesia insita nel fatto che l’altro lato della vita è la morte e non possiamo vivere per sempre. Quando si tratta di arte, c’è un grande sforzo per preservare i capolavori o l’ambiente della… conservazione. E noi siamo un team di persone che lavora con i musei, per preservare qualcosa del passato: ma occorrerebbe capire che noi vediamo le tracce del passato ma non stiamo vivendo lo stesso contesto. Gli Egizi avevano diversi dei e diverse fissazioni e ossessioni e quelle delle persone di oggi sembreranno altrettanto strane. 

E qual è la sua? 

Un’ossessione personale, credo sia quella di considerarmi un mezzo di comunicazione. Anche la parola medium, come media, è un mezzo di espressione di qualcosa che hai dentro. L’ambiente sta cambiando: io amo la danza e la musica, le arti che sono espressive ma non hanno sostanza fisica. La land art è in un certo senso pensata come un’arte visiva o una scultura: ci si cammina intorno, la si può vedere. Ho unito le mie passioni attraverso le sculture effimere, che assomigliano a una danza. Per il prossimo progetto che sto realizzando, di cui non posso fare nomi, sto discutendo con i finanziatori sulla possibilità di organizzare un festival ogni primavera, per far rivivere la scultura, oppure lasciare che il tempo faccia il proprio corso. Sono interessanti entrambe le scelte: riportare in vita la perfezione o lasciarla andare? Cerchiamo di coltivare, di realizzare ma abbiamo anche la libertà di non farlo.

La questione della sostenibilità, in un certo senso, è la sostenibilità del significato in un ambiente in continua evoluzione.

Che cosa significa per lei il deserto? Che cosa ha imparato dal deserto?

Lo lego alla parola “trascendente”. Il deserto è una tabula rasa per i pensieri, la mente è libera dall’influenza del mondo che ci parla costantemente attraverso le costruzioni di strade e edifici e persone ovunque. In termini di spazio, il mondo è molto poco popolato, ma le persone gravitano verso i luoghi dove ce ne sono altre: il deserto serve ad allontanarsi. Amplifica quello che succede nei parchi urbani, dove si va per trovare un po’ di pace ma si può essere percepiti come cattivi, asociali, anche se il mondo ci fa impazzire, potenzialmente. La nostra umanità non deve necessariamente essere l’ossessione di questo particolare momento. La geologia e lo scorrere del tempo aiutano ad acquisire questa dimensione. Nel deserto si vedono le stelle, le montagne che si stanno erodendo e sgretolando. Tutto questo cambiamento mi porta molta pace. Gran parte dell’attrazione delle superfici effimere molto, molto grandi è il fatto che puoi tornare nello stesso posto un altro giorno e provare qualcos’altro, e anche quello sparirà. E quindi è proprio come cantare o ballare. È come se ci fosse molta libertà in questo. Il deserto è un posto che è materiale, ma immateriale allo stesso tempo. È simultaneamente presenza e assenza, perché si sta trasformando in qualcos’altro.

Era uno di quei bambini che costruiscono i castelli di sabbia sulla battigia?

Più o meno. Sono cresciuto molto vicino a un fiume con tante rocce e per molte ore al giorno mi impegnavo a spostare le rocce per incanalare l’acqua nel ruscello. Mi concentravo su: cosa sta facendo l’acqua? Dove posso mettere le rocce? è davvero un gioco su larga scala. In effetti, mi guadagno da vivere spingendo la sabbia in giro. È un po’ difficile ma puoi provarci.

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 La storia di cui parla questo articolo è stata individuata utilizzando un tool di intelligenza artificiale, Asimov, sviluppato da ASC 27 appositamente per Mangrovia. Il tool ci ha aiutato a scoprire la storia, ma il resto del contenuto che leggi e vedi è il risultato di processi creativi e sensibilità umane, e non è in alcun modo generato dall’intelligenza artificiale. Ecco perché usiamo l’intelligenza Artificiale in redazione!


  1. Manar Abu Dhabi è un’iniziativa di arte pubblica sostenuta dal Dipartimento di Cultura e Turismo di Abu Dhabi (DCT Abu Dhabi) all’interno del programma “Public Art Abu Dhabi”. A partire dalla parola Manar (“faro” in arabo), la prima edizione nel 2023 si è concretizzata in nuove commissioni e sculture di luce site-specific, proiezioni e opere d’arte di artisti locali e internazionali. ↩︎
  2. La topografia (dal greco topos, luogo e grafia, scrittura) è la scienza che si occupa di mappare attraverso il disegno la superficie terrestre. ↩︎
  3. La land art (dall’inglese, “arte della terra”) si caratterizza per l’intervento di artisti ed artiste direttamente nel paesaggio naturale. Si è diffusa a partire dal 1968 americano come reazione al sistema istituzionale di produzione e distribuzione delle opere d’arte. ↩︎

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