Cosa resta ai nostri giorni di Pan, il dio ozioso delle terre selvagge? Riusciamo ancora a contrapporlo al titano Prometeo e alla sua logica di prestazione, di cui la tecnica è insieme causa ed effetto? Cosa insegna la riflessione di Friedrich Georg Jünger ai tempi del nazismo?
«Ferma, Palamede. Trattieniti un poco presso quest’olmo, su cui si arrampica la vite selvatica1»: Chirone, il centauro mentore di eroi, porta il proprio ultimo discepolo nella terra di Pan, il dio della natura selvaggia. Oltre i campi coltivati, regno di Demetra, oltre i pascoli frequentati dai pastori, inizia la terra senza nome, che prospera indipendentemente dagli esseri umani. Chirone, mezzo uomo e mezzo animale, non vuole che Palamede dimentichi la prima legge, quella dell’Origine: la natura cresce spontaneamente senza l’intervento degli esseri umani, che possono solo averne cura. E il centauro sa che senza fermarsi, sostare, il giovane Palamede non percepirà mai la presenza di Pan, che si fa ascoltare, più che vedere. È già il crepuscolo.
La forza psichica del mito
Il dialogo tra Chirone e Palamede, Die Wildnis, è stato pubblicato nel 19502 all’interno dell’antologia per i sessant’anni di Martin Heidegger da Friedrich Georg Jünger. Poeta e saggista, Friedrich Georg Jünger fu fratello minore del più celebre Ernst, con cui condivise, in gioventù, l’adesione ai movimenti nazionalisti rivoluzionari tedeschi. Da questi si distaccò esplicitamente con la raccolta di Poesie del 1934, per cui subì interrogatori, un temporaneo divieto di pubblicazione e un periodo di sorveglianza da parte della Gestapo, la polizia politica della Germania nazista.
Una trasformazione interiore che lo stesso poeta paragonò alla muta di un serpente che cambia pelle: all’esaltazione della tecnica come potenza, presente ne La marcia del nazionalismo (1926) seguì l’esilio volontario sul lago di Costanza e la redazione, durante gli anni della dittatura, dei saggi Apollo, Pan, Dioniso (1943), I Titani (1944) e La perfezione della tecnica (1946), pubblicati solo nel secondo dopoguerra.
In questi saggi, Jünger ha analizzato la progressiva automazione del mondo e degli esseri umani come conseguenza di una razionalità strumentale disposta a tutto pur di realizzare la propria volontà di potenza, i propri progetti di dominio senza misura. Una razionalità calcolante di cui il regime nazista è stata una logica espressione perché, ha sottolineato l’autore, contare e misurare gli esseri umani non è lontano dall’idea di farli a pezzi. Chi ha aderito al nazismo è stato per Jünger un homo faber, posseduto dalla smania di rifare il mondo e l’umanità secondo i propri desideri, in una hybris che ricorda quella titanica. Scrive Jünger ne La perfezione della tecnica, titolo non privo di ironia:
Ogni tecnica è di origine titanica, l’homo faber appartiene sempre ai Titanidi3.
E se «Noi ripetiamo continuamente situazioni mitiche senza essere consapevoli di tale ripetizione4» nasce la necessità di tornare al mito per integrare in modo molteplice, nella nostra psiche, la diversità degli archetipi culturali degli dei e dei titani antichi a cui siamo soggetti.
Il crepuscolo della Wildnis
All’arrivo nella terra selvaggia, il giovane Palamede è confuso: il paesaggio è poco familiare, ha perso i consueti punti di riferimento. Conosce la terra di Pan come la terra in cui si erra e ci si smarrisce. Chiede a Chirone di indicargli il confine, vorrebbe subito metterla in produzione, si stupisce che non sia coltivata. «Quello che tu chiami luogo di erramento è la celatezza» spiega il centauro «che non ha bisogno di alcun segno5» per mostrarsi. Nelle terre selvagge, dove non valgono le regole consuete, ciò che è nascosto va ascoltato con altre orecchie, ed è necessario perché emerga ciò che si manifesterà. La terra selvaggia è senza nome, senza fama, perché è senza proprietà: «per questo tutto parla più distintamente la propria lingua6» sottolinea Chirone. «Ma se non ci fosse il bosco, dove sarebbe la landa? E se l’origine non permanesse, dove permarrebbe il derivato7?».
Il fiorire spontaneo della natura è precedente all’intervento degli esseri umani: una volta scoperta la legge originaria, Palamede sceglie di onorare il dio che la protegge. Ma da tempo quella stessa terra non è più intatta: «Tu non avresti mai trovato la strada che porta a me, e questa terra e io stesso saremmo per te il mai-visto, se un altro prima di te non avesse calcato il sentiero8» spiega Chirone. È già passato Ercole, il semidio mandato da Zeus a stabilire i confini del mondo conosciuto e sconosciuto, i confini che già misurano la crescita spontanea della natura. La natura incontaminata è quindi ormai solo un ricordo, un mito nel mito.
Oltre settant’anni dopo la redazione di questo dialogo, l’occhio della tecnologia ha esplorato quasi ogni angolo del pianeta, e sono pochissime le terre non ancora esplorate da piedi umani: aree della foresta amazzonica, del deserto del Sahara, della Groenlandia, molta parte dell’Antartide e degli oceani. Tuttavia, troppo spesso nel corso del Novecento “piedi umani” ha significato “piedi occidentali”: il concetto di “natura incontaminata”, “terra vergine”, ha giustificato sia pratiche violente di colonizzazione che di dislocazione o impoverimento delle popolazioni indigene in nome di una “conservazione” che non prevedeva la presenza di chi viceversa per secoli si è preso cura di quelle stesse terre9. È già il crepuscolo: dopo l’offerta a Pan, Chirone richiama Palamede alla montagna e comincia a parlargli del loro distacco. Presto dovranno lasciarsi. Il centauro si offrirà in sacrificio a Zeus per la liberazione proprio di Prometeo, il titano che regalerà la prima tecnica, il fuoco, agli esseri umani. Il ragazzo diventerà un celebre inventore ma sarà anche il primo uomo condannato da innocente, lapidato sotto le mura di Troia. Il prezzo da pagare per la conoscenza della prima legge, che rende chi la conosce curatore della natura e consapevole dei propri limiti tanto da rifiutarsi di usare violenza?
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La terra in-utile di Pan
In questo dialogo, Jünger ha sviluppato in forma narrativa quanto aveva precisato nel saggio Apollo, Pan, Dioniso, recentemente tradotto in italiano10: «In un’epoca che concede ampio spazio a ciò che è tecnico, in un’epoca della pianificazione razionale che vorrebbe abbracciare e racchiudere tutto, in un’epoca in cui l’uomo diviene vittima dell’idea di avere a disposizione poco tempo e poco spazio, si impongono altre questioni quando ci occupiamo del mito» ha scritto. «L’eterna contesa tra gli dei e i titani deve apparirci ora sotto una nuova luce. Ciò che è proprio dei titani nella sua forma più spirituale, quella di Prometeo, merita la nostra attenzione poiché qui risiede la risposta alla domanda sulle lontananze verso le quali si spingerà l’uomo prometeico. Dal momento che l’applicabilità e l’uso del sapere sono al centro dell’attenzione dell’homo faber, questa specie, che sfrutta e consuma le cose fino a danneggiarle, forse è un bene per noi riflettere sull’ozio degli dei greci e dell’uomo greco. Se appoggeremo l’orecchio al suolo, udiremo qualcosa, forse persino quella voce panica della natura che suona strana e incomprensibile per la maggior parte delle persone11».
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La voce di Pan si fa sentire attraverso i suoni, la sua saggezza scaturisce dal sapere elementare della natura. Animale dalla cintola in giù, Pan è la potenza del sesso, rappresentato dal fallo: dotato di corna, dalla famosa risata, vive all’aperto, errando, eternamente in ozio. Danza, suona il flauto, caccia e dorme.
Pan non ha bisogno del lavoro, neanche del lavoro umano perché tutto ciò che è ottenuto e prodotto grazie a esso non gli è di alcuna utilità12.
La terra selvaggia è in-utile, non è rivolta a uno scopo e la presenza del dio semina serenità e terrore panico tra gli esseri umani proprio perché rivela la vacuità ultima di qualsiasi umano progetto. «L’intelletto può trarre tutte le sue deduzioni dall’osservazione dei fenomeni: posto dinnanzi all’origine stessa, è colto da un senso di meraviglia e terrore13». Del terrore è rimasta traccia nell’aggettivo, spesso sostantivato, che denota l’attacco di paura e ansia intensa per una minaccia percepita psicologicamente, mentre il senso di meraviglia è molto meno comune nel linguaggio, così come l’estasi panica, l’esperienza di appagamento mistica o sessuale che introduceva in un tempo altro, il tempo della natura ciclica e senza storia, senza preoccupazione, senza bisogno e quindi senza desiderio. Un tempo già trascorso dal passaggio di Ercole in poi, ma di cui nella natura selvaggia riecheggiano le tracce.
- Tratto da Gregorio, G. (1995). Wildnis e Lichtung: la “terra selvaggia” di Friedrich Georg Jünger, Criterio 1-2, pp. 51. ↩︎
- Per consultare il dialogo tra Chirone e Palamede, si veda Heidegger, M. (1950). Anteile: Martin Heidegger zum 60 Geburtstag, Klostermann, Frankfurt. ↩︎
- Tratto da Jünger, F. G. (1980). Die Perfektion der Technik, Klostermann, Frankfurt, pp.171-172. ↩︎
- Tratto da Jünger, F. G. (1944). Die Titanen, Klostermann, Frankfurt, pp. 9. ↩︎
- Tratto da Gregorio, G. (1995). Wildnis e Lichtung: la “terra selvaggia” di Friedrich Georg Jünger, Criterio 1-2, pp. 53. ↩︎
- Ivi, pp. 52. ↩︎
- Ivi, pp. 59. ↩︎
- Ivi, pp. 53. ↩︎
- Per approfondire, si veda Dowie, M. (2011). Conservation Refugees. The Hundred-Year Conflict between Global Conservation and Native Peoples, MIT Press. ↩︎
- Per la traduzione del saggio, si veda Jünger, F. G. (2023). Apollo, Pan, Dioniso, Le Lettere, Firenze, a cura di Bosincu M. ↩︎
- Ivi, pp. 169. ↩︎
- Ivi, pp. 231. ↩︎
- Ivi, pp.233. ↩︎