Le foreste subacquee di Kelp
Paleobotanica e arte per scoprire l’ecosistema che non ti aspetti
Le foreste di Kelp sono nate più di 32 milioni di anni fa. Formate da un particolare tipo di alga bruna, sono un habitat sotto il mare ricco di biodiversità. Una caratteristica che il Museo della Scultura Subacquea, a Cipro, riproduce, spingendoci a immaginare nuovi futuri sostenibili
«Ci lavoro da 20 anni in diversi luoghi del mondo, è la cosa che preferisco fare: andare di notte tra le alghe, spegnere le luci e camminare. Mi sembra di essere in una foresta e dimentico di essere sott’acqua»: così Jason deCaires Taylor, scultore e fotografo subacqueo, descrive le foreste di Kelp, uno degli ecosistemi più diversificati della Terra.
In grado di assorbire carbonio circa 20 volte di più per acro rispetto alle foreste sulla terraferma, anche queste foreste rilasciano ossigeno e in più contribuiscono a mitigare l’acidificazione degli oceani nelle acque costiere. Secondo le ricerche della paleobotanica Cindy Looy, le foreste di Kelp sono nate più di 32 milioni di anni fa e, ancora oggi, dondolando al ritmo delle onde dei mari, continuano a insegnarci l’arte dell’ospitalità e dell’immaginazione.
Quando sono nate le foreste di Kelp
La Kelp è un particolare tipo di alga e le foreste di Kelp sono formate da queste grandi alghe brune dell’ordine Laminariales: 27 generi diversi che crescono in densi popolamenti lungo le coste rocciose, in acque poco profonde, fredde o temperate. Si trovano nelle fasce latitudinali tra 40 e 60 gradi nei due emisferi: dall’Atlantico settentrionale all’Atlantico meridionale ma anche nel Pacifico e nell’Oceano Indiano e, quindi, dall’Alaska al Canada, passando per la Svezia e la Norvegia. L’esatta distribuzione di queste alghe cambia, però, annualmente: possono crescere o restringersi di decine, se non centinaia di chilometri di estensione in pochissimo tempo. In altezza, invece, variano da pochi metri fino a 45 metri, formando dei boschi simili a quelli terrestri o coprendo i fondali marini con dei letti di “foglie”1.
Le foreste di Kelp subacquee simili a boschi sono le canopy kelp, che galleggiano grazie a delle strutture rigide piene di gas, mentre quelle che coprono i fondali marini sono le prostrate kelp, che non galleggiano perché non hanno delle strutture rigide tali da mantenerle erette. I 27 generi di cui si compongono queste foreste sono diversi per morfologia, altezza e distribuzione ma hanno qualcosa in comune: l’essere un organismo singolo e, allo stesso tempo, l’habitat di tanti altri organismi. Le alghe delle foreste formano, infatti, una struttura tridimensionale in grado di «costituire la base di ecosistemi marini molto ricchi con una varietà di animali, tra cui lontre marine, pesci, ricci di mare, granchi e altri invertebrati» afferma Cindy Looy, biologa dell’Università di Berkeley, che ha scoperto le più antiche foreste di kelp.
Cindy Looy è docente del Dipartimento di Biologia Integrativa all’Università di Berkley. Studia la risposta delle piante e delle comunità vegetali ai grandi cambiamenti ambientali e alle sue conseguenze evolutive. Il suo interesse principale è indagare gli aspetti della crisi biotica terrestre della fine del Permiano, l’ultimo periodo dell’era biologico del Paleozoico, e le sue conseguenze.
Scopri la sua ricerca sulle foreste di KelpLa scoperta della professoressa Looy è avvenuta a seguito di ricerche lunghe oltre un decennio: «Il mio amico paleobiologo Steffen Kiel» ricorda Looy «mi ha mostrato dei fossili di holdfast», ovvero una struttura simile a una radice a cui si fissano vari organismi acquatici come alghe marine e spugne. «Questi fossili erano stati raccolti da un collezionista amatoriale, James Goedert, su una spiaggia vicino a Jansen Creek, nello Stato di Washington». Goedert, che già collaborava in maniera occasionale con Looy, aprendo questi fossili, ha trovato qualcosa di simile a delle alghe kelp: «ho iniziato, allora, a studiare queste foreste, che sono incredibilmente complesse, perché volevo scoprire come e quando sono nate».
Looy, Goedert e Kiel hanno firmato uno studio uscito proprio quest’anno2, in cui dimostrano che le alghe brune a largo della costa nordoccidentale del Pacifico risalgono a più di 32 milioni di anni fa e sono nate nell’era Cenozoica. «Prima che tutto il resto possa emergere», afferma Looy, «sono necessarie le fondamenta dell’intero sistema». E molto prima della comparsa dei moderni gruppi di mammiferi marini, ricci di mare, uccelli e bivalvi, c’era già la foresta di Kelp.
Le foreste di Kelp come rifugio
«Il numero di creature viventi di tutti gli ordini, la cui esistenza dipende intimamente dalle alghe è meraviglioso»: già nel 1845 Charles Darwin3 intuiva che l’evoluzione della vita, e quindi, delle foreste di alghe stesse, è molto più complessa e meravigliosa di quanto si possa stimare dai soli dati biologici. «Negli ultimi 32 milioni di anni numerosi animali sono comparsi e scomparsi dalle foreste di alghe» afferma infatti Looy «e solo negli ultimi milioni di anni» – che da un punto di vista evolutivo è pochissimo tempo – «gli ecosistemi delle foreste di alghe che conosciamo oggi si sono evoluti».
L’ecosistema delle foreste di Kelp è come una matrioska che accoglie su tre parti – la foglia, il gambo e la radice – organismi adattati a diversi livelli di luce e nutrienti che, a loro volta, possono ospitare altri organismi, ancora più piccoli. Questa matrioska forma quindi un ambiente protetto dai disturbi esterni, un luogo che è rifugio di biodiversità rispetto al mare aperto.
«Mi piace il modo in cui le foreste di alghe interagiscono con la luce, come incoraggiano molte specie a nascondersi al loro interno, creando un’oasi di vita» racconta lo scultore e fotografo ambientalista Jason deCaires Taylor. Proprio traendo ispirazione dalle foreste di Kelp e dalla loro “ospitalità”, deCaires Taylor ha ideato il MUSAN – Museo della Scultura Subacquea – che ospita oltre 96 opere d’arte ad Ayia Napa, sulla costa sud-orientale di Cipro. «Le foreste di canopy kelp sono affascinanti: ci sono tutte le creature sul fondale marino, come i crostacei, ma anche tante varietà di pesci, lungo la colonna d’acqua, che vivono ad altezze diverse», continua Taylor. «Le sto studiando da un po’ di tempo, soffermandomi sulla loro struttura, il modo in cui funzionano, le sacche d’aria che le tengono sollevate, facendole galleggiare. Nelle installazioni subacquee del MUSAN, ho voluto ricreare una foresta di alghe che ho visto nel mar di Norvegia». Il risultato è stata la creazione di una foresta marina, la prima del suo genere, in cui «lo stesso ambiente di una foresta pluviale tropicale è riprodotto sott’acqua» spiega lo scultore.
Jason deCaires Taylor, nato nel 1974 da padre inglese e madre guyanese, è scultore, ambientalista e fotografo subacqueo professionista pluripremiato. Dopo essersi diplomato al London Institute of Arts nel 1998 con un BA Honours in Scultura, Taylor è stato il primo di una nuova generazione di artisti a trasferire i concetti del movimento Land art nel regno dell’ambiente marino. Negli ultimi 17 anni, Taylor ha creato musei sottomarini e parchi di sculture sotto le onde, immergendo oltre 1.200 opere d’arte viventi negli oceani e nei mari di tutto il mondo.
Scopri il MUSANIl MUSAN, risultato dello sforzo congiunto del Dipartimento della Pesca e della Ricerca Marina, del Comune di Ayia Napa e del Ministero del Turismo cipriota, è nato all’interno della Strategia nazionale per la Creazione di Barriere Artificiali4 con l’obiettivo di valorizzare gli stock ittici e salvaguardare l’ambiente marino. «L’idea è quella del rewilding», spiega Taylor, ovvero trasformare una brulla distesa di sabbia in un rigoglioso ambiente ricco di vita, proprio come fanno le foreste di Kelp.
Le sculture di Taylor sono quindi realizzate con un particolare tipo di cemento, simile a quello usato dai Romani centinaia di anni fa, rinforzato con acciaio inossidabile e basalto, un materiale che non cambia le sue proprietà nel tempo, anzi «più a lungo rimane sott’acqua e più diventa forte e denso» racconta Taylor.
La superficie a ph neutro delle sculture e il loro posizionamento crea spazi per la vita marina e ne favorisce la colonizzazione. Il problema di molte forme di vita marina, come alghe, coralli e spugne, è, infatti, «che hanno bisogno di un substrato fisso per filtrare i nutrienti e vivere» spiega Taylor. «Sulla sabbia o sul limo, nulla può insediarsi. Le stesse foreste di Kelp fanno difficoltà. Ma fornendo queste piattaforme, invece, si ottiene un’ampia area per l’insediamento della vita marina».
La foresta che non c’è
Per Taylor una foresta di kelp è «una silhouette opaca e sconosciuta, un’enorme foresta sottomarina in grado di assorbire incredibili quantità di CO2 e non molto conosciuta». Eppure le alghe giganti, raccolte dalle foreste, sono utilizzate ampiamente in ogni settore della vita umana. Sono l’agente legante di prodotti alimentari come gelati e yogurt ma anche di dentifrici e lozioni5, sono la fonte di cibo per alcuni animali importanti dal punto di vista commerciale, come il mollusco Haliotis midae6. E ancora, in Asia, sono utilizzate in cucina e le specie più diffuse sono la Saccharina japonica, o alga kombu, e la Undaria pinnatifida, la famosa wakame. Non è un caso, in effetti, che secondo i dati7 in possesso della Commissione Europea, nel 2019 la Cina ha coltivato 20,1 milioni di tonnellate di alghe. Alcuni scavi archeologici8 mostrano, poi, che le foreste di alghe hanno aiutato l’essere umano a sopravvivere, già 20.000 anni fa, durante il viaggio verso sud dei primi popoli delle Americhe, fornendo il cibo necessario per il sostentamento durante la migrazione.
Se qualcosa non esiste, però, può facilmente scomparire senza lasciare tracce ed è proprio ciò che sta accadendo alle foreste di Kelp. L’innalzamento globale delle temperature, l’acidificazione degli oceani e la diminuzione in alcune aree di predatori naturali di specie erbivore come granchi, stelle marine, foche e lontre ne stanno drasticamente alterando la capacità di recupero e crescita. «L’installazione si trova all’interno di una riserva marina naturale del Mediterraneo, che è stato molto sfruttato», dice non a caso Taylor e questo ha portato a un’alterazione degli equilibri dell’ecosistema. La foresta di sculture del MUSAN è diventata così una soluzione per ripopolare la zona. Ma non solo.
«Alcuni arrivano al MUSAN pensando che sia un’esperienza archeologica e che stiano visitando qualcosa di antico. Altri, invece, arrivando pensando che sia un’esperienza di snorkeling divertente ma, dopo aver iniziato, immergendosi sempre più a fondo, trovano qualcosa che non si aspettavano» racconta Taylor.
«Sulla terraferma, ovviamente, quando si entra in una foresta, si provano molte emozioni diverse. C’è la luce straordinaria che attraversa gli alberi insieme con il loro movimento che rivela e nasconde.
Quando non si riesce, infatti, a vedere tutto, è l’immaginazione che inizia a riempire i vuoti.
In acqua tutti questi elementi sono amplificati». La foresta di sculture del MUSAN non ospita, quindi, solo «una seconda foresta di abitanti marini ma anche una terza foresta», dice Taylor, «quella che le nostri menti sono in grado di immaginare».
Nell’ultima serie di sculture che si incontra nel museo, FEATHER STAR FOREST, la preferita di Taylor, tutto questo si amplifica «con i grandi apparati radicali, la luce che cambia durante le ore del giorno e le correnti che soffiano come la brezza del vento sulla terraferma».
In FEATHER STAR FOREST ci sono delle querce color oro con delle foglie che danzano e creano dei giochi di luce lungo la colonna d’acqua, proprio come le foreste di Kelp. Sono proprio delle «speranze color oro», dice Taylor, quelle che possiamo immaginare per sostenere la foresta che non c’è, che non conosciamo o che non vediamo.
Ma che esiste ed ospita i più svariati organismi marini da più di 32 milioni di anni.
- Per approfondire l’argomento si vedano Smale, D. A., Burrows, M. T., Moore, P., O’Connor, N., & Hawkins, S. J. (2013). Threats and knowledge gaps for ecosystem services provided by kelp forests: a northeast Atlantic perspective, Ecology and evolution, 3(11), 4016-4038. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1002/ece3.774
Reed D. C., Kinlan B. P., Raimondi P. T., Washburn L., Gaylord B., e Drake P. T. (2006). A metapopulation perspective on the patch dynamics of giant kelp in southern California, Elsevier eBooks, 353–386. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/B9780120887811500133
Steneck R. S., Graham M. H., Bourque B. J., Corbett D., Erlandson J. M., Estes J. A., e Tegner M. J. (2002). Kelp forest ecosystems: biodiversity, stability, resilience and future, Environmental Conservation, 29(4), 436–459. https://www.cambridge.org/core/journals/environmental-conservation/article/kelp-forest-ecosystems-biodiversity-stability-resilience-and-future/105EB05670376912F180E116D64135D6 ↩︎ - Per consultare la ricerca di Looy, Goedert e Kiel si veda Kiel S., Goedert J.L., Huynh T.L., Krings M., Parkinson D., Romero R., and Looy C.V. (2024). Early Oligocene kelp holdfasts and stepwise evolution of the kelp ecosystem in the North Pacific. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 121(4). doi:10.1073/pnas.2317054121 ↩︎
- Per approfondire si veda Darwin, C. (1909). The voyage of the Beagle, P. F. Collier & Son, New York. https://doi.org/10.5962/bhl.title.98662. ↩︎
- Sulla base della Strategia per la Creazione di Barriere Artificiali (AR) e nel quadro di attuazione del Programma Operativo Mare 2014-2020, il Dipartimento della Pesca e della Ricerca Marina (DFMR) ha, attraverso decreti ministeriali, provveduto a istituire sei (6) Aree Marine Protette (AMP) in cui sono state collocate barriere artificiali (AR). Queste aree si estendono dalla costa fino a una profondità di 50 metri e si trovano a Paralimni, Ayia Napa, Larnaca, Amathoonta, “Dasoudi” di Limassol e Geroskipou . In queste zone è vietata la pesca con qualsiasi attrezzo da pesca. ↩︎
- Sull’uso delle alghe come legante si veda Peteiro C. (2017). Alginate Production from Marine Macroalgae, with Emphasis on Kelp Farming, Springer series in biomaterials science and engineering, 27–66. https://doi.org/10.1007/978-981-10-6910-9_2 ↩︎
- Sull’uso delle alghe come fonte di cibo per alcuni animali, si veda Rothman M. D., Anderson R. J., e Smit A. J. (2006). The effects of harvesting of the South African kelp (Ecklonia maxima) on kelp population structure, growth rate and recruitment, Journal of Applied Phycology, 18(3–5), 335–341. https://doi.org/10.1007/s10811-006-9036-8 ↩︎
- Per consultare i dati raccolti dalla commissione europea, si veda Commissione Europea (2022). Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni: verso un settore delle alghe forte e sostenibile nell’UE, Bruxelles. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A52022DC0592 ↩︎
- Sugli scavi archeologici citati, si veda Erlandson J. M., Graham M. H., Bourque B. J., Corbett D., Estes J. A., e Steneck R. S. (2007). The Kelp Highway Hypothesis: Marine Ecology, the Coastal Migration Theory, and the Peopling of the Americas, Journal of Island and Coastal Archaeology/Journal of Island & Coastal Archaeology, 2(2), 161–174. https://doi.org/10.1080/15564890701628612 ↩︎