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Le parole che servono all’economia del deserto

Conoscenza condivisa, patrimonio naturale e pace

Riccardo Silvi
una storia scritta da
Riccardo Silvi
 
 
Le parole che servono all’economia del deserto

Dal deserto di Phoenix alle oasi algerine, passando per l’Arabia Saudita e la Nigeria: il grande valore che nasce nel deserto è invisibile finché non si cambia prospettiva

Come si genera valore economico, sociale e culturale su un terreno arido? Come si vive in ambienti con poca acqua, dove è difficile coltivare e quindi produrre cibo? In altre parole, come funziona l’economia del deserto?

La parola economia significa, etimologicamente, amministrazione della casa. Per rispondere a queste domande, quindi, è necessario osservare coloro per cui il deserto è casa: cioè oltre 3 miliardi di persone in tutto il mondo abitanti delle zone aride che coprono il 46,2% delle terre emerse. 

Anche perché, con il progressivo riscaldamento globale e il processo che viene definito di “desertificazione”, queste domande risuoneranno sempre di più nella quotidianità di 1 miliardo di persone in 200 paesi diversi nel mondo1.

Tra il 2015 e il 2019, ricorda l’UNCCD, la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, nel mondo sono stati “degradati2 almeno 100 milioni di ettari di terreni sani e produttivi, con ripercussioni sulla sicurezza alimentare e idrica a livello globale3. Una perdita annua che equivale a due volte la dimensione della Groenlandia e ha un impatto sulla vita di 1,3 miliardi di persone, che si stima siano direttamente esposte al degrado della terra.

L’economia estrattiva genera deserto: e se proprio dal deserto potessimo trovare soluzioni di rigenerazione?

Alejandro T. Acierto ha lavorato all’interno e attraverso le forme espanse del documentario, dei nuovi media, della ricerca creativa e del suono, presentando progetti e proiezioni per la Biennale dell’Avana 2019 a Matanzas, Cuba, lo Yerba Buena Center for the Arts (San Francisco), Issue Project Room (NYC), l’MCA Chicago, l’Art Institute of Chicago.

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Gli ospiti non invitati del deserto

«C’è questa sensazione che il deserto sia vuoto e crudele, e può esserlo, ma ho imparato che il deserto è ricco. C’è varietà e vita, solo che avvengono sotto terra».

Alejandro Acierto, artista e docente, ha lasciato negli anni scorsi la verde Chicago per trasferirsi davanti al deserto del Sonora4, nell’area di Phoenix (Texas). Credeva di avere davanti uno spazio abbandonato ma ha scoperto la ricchezza del deserto. «Per conoscere il deserto è necessario viverlo. Osservando, si impara che ci sono molte più cose di quelle che possiamo vedere. Nel deserto c’è molta crescita».

Tutto è partito dai gufi terricoli che vivono nel deserto del Sonora e dalla rapida urbanizzazione che interessa questi territori.

Alejandro Acierto, artista, videomaker e docente di Arti Interdisciplinari e Performance presso l’Arizona State University, accompagnato dal designer Andy Mara e insieme ad un gruppo di ricerca canadese ha iniziato ad indagare sull’impatto di alcuni specifici progetti di edilizia e di espansione urbana che richiedevano la distruzione e quindi lo spostamento di habitat naturali per la fauna del deserto vicino a Phoenix.

Un lavoro di conservazione ma anche di indagine: «Ci siamo domandati come pensiamo alla fauna selvatica in questi progetti e come entriamo in relazione” racconta. «Mi interessava questa tensione tra il modo in cui noi, come esseri umani, negoziamo il valore del territorio e come valutiamo la relazione con questi abitanti naturali o autoctoni».

Alcune immagini del progetto Univited Guests. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore.

Nel 2023 Acierto ha quindi inaugurato il progetto artistico denominato “Uninvited Guests”5, un’installazione di opere fotografiche, video, sculture e materiali di scavo che raccontano le conseguenze ambientali dell’espansione urbana nei fragili ecosistemi del deserto. Un progetto attuale e in divenire.

«Uninvited Guests si sta ampliando. Mi sono letteralmente immerso negli archivi storici per studiare l’evoluzione del valore e dell’uso del territorio e sto tornando a girare ulteriori scene nella zona ovest di Phoenix, dove stanno costruendo grandi appartamenti di lusso e dove si possono trovare molte aperture, tane, tunnel di animali che hanno lì il loro habitat. Ho documentato tutto e sono in grado di visualizzare il terreno come se fosse costituito solo da tane».

Un impegno, quello di Alejandro Acierto, che sposta il focus da una visione antropocentrica del territorio, causa principale delle politiche di economia estrattiva, ad una dimensione socio-ecologica (come ci insegna “L’economia delle Mangrovie”), determinante per innescare nuovi meccanismi di economia generativa.

Far percepire il deserto non come uno spazio da occupare ma come un luogo già ricco è diventato quindi un obiettivo. «Nel tempo ho progettato e realizzato grandi installazioni visive applicate proprio sulle recinzioni che delimitano i cantieri edili».

Quelli che di solito sono occupati da pubblicità o promozioni di quanto viene costruito sono diventati spazi per raccontare ciò che veniva distrutto. «Ho realizzato un’immagine in scala delle tane e dei tunnel degli animali che vivevano quei luoghi al fine di fa conoscere la presenza degli animali. Le recinzioni si trovano proprio davanti alla superstrada ed hanno generato grande risonanza nelle persone. Saranno esposti nuovamente nei prossimi mesi, ma sempre per brevi periodi, anche solo poche ore». Un deserto non da conquistare ma da preservare.

«Le cose sono fatte per essere qui e ciò che è stato affascinante per me è pensare che questo non è un deserto nel senso che è uno spazio vuoto, anzi, è un luogo pieno ed abitato»

Le oasi come modello relazionale

Il progetto artistico e di conservazione di Acierto evidenzia, dunque, l’importanza di conoscere ciò che già accade su un territorio prima di qualsiasi intervento, di entrare in relazione con chi e cosa lo vive, di indagare le difficoltà e le aspettative delle comunità che lo abitano. Non può che essere questo il primo passo per la costruzione di valore economico e sociale in un’area desertica o, più in generale, in territori che affrontano una crisi ecologica ed economica.

Pietro Laureano è architetto e urbanista, è consulente UNESCO per aree aride, civiltà islamica ed ecosistemi in via di estinzione. Ha vissuto per otto anni nel Sahara lavorando per lo studio e il restauro delle oasi in Algeria. Ha dimostrato come le oasi siano il risultato dell’ingegno umano, patrimonio di tecniche e conoscenze per combattere l’aridità e il modello di gestione sostenibile per l’intero pianeta

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L’architetto e urbanista Pietro Laureano6, alla fine degli anni ‘70, è andato in Algeria e ha vissuto due anni nelle oasi del Sahara: qui ha imparato come le oasi non siano dovute al caso, ma all’azione sapiente degli esseri umani che hanno trovato il modo di raccogliere l’acqua in zone palesemente ostili. Zone che tuttavia, come testimoniano pitture preistoriche, non sono sempre state deserti ma si sono progressivamente desertificate. 

Come si forma un’oasi? Se nella sabbia si scava una piccola depressione, nella notte le gocce di umidità condensata possono permettere alla piante di attecchire: il germoglio va protetto con foglie di palma essiccate, che attirano gli insetti e formano l’humus che pian piano fa diventare fertile la sabbia. Le palme per poter crescere hanno bisogno di essere fecondate a mano dagli esseri umani, oltre che di acqua. Questo processo è quindi accompagnato da sistemi sapienti di tunnel sotterranei, canali (qanāt in Iran, foggara in Algeria) costruiti con materiali filtranti come pietra e terra che drenano i flussi sotterranei di acqua e attraverso specifiche pendenze li convogliano verso i palmeti. Questi canali sono intervallati da pozzi che non servono per estrarre ma per mantenere il microclima e assorbire l’umidità dal terreno e dall’atmosfera. L’acqua viene quindi distribuita nell’oasi attraverso sistemi sapienti di calcolo, lì dov’è nato l’algoritmo

La realizzazione e il mantenimento di un’oasi è frutto di un processo di economia circolare di gestione dell’acqua: captata sotto le dune, viene convogliata sotto i villaggi costruiti in terra cruda e riportata nelle oasi, che più crescono più fanno aumentare l’umidità e di conseguenza l’acqua a disposizione del sistema. 

 

Per Laureano, rappresentante italiano nel Comitato Tecnico-Scientifico della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta contro la desertificazione (UNCCD) e oggi consulente UNESCO per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo, la realizzazione delle oasi è un esempio di conoscenza tradizionale, cioè di “tecniche e pratiche di uso comune su un territorio per la gestione del suolo, l’uso e la protezione delle aree naturali, l’architettura rurale e monumentale e per l’organizzazione di centri urbani”7.

Una conoscenza polifunzionale, di lungo periodo, contestualizzata, relazionale, in cui estetica, funzionalità e, spesso, sacralità, si esprimono insieme per la salvaguardia delle proprie condizioni di vita. E diventano, in una parola, cultura.

Attraverso l’International Traditional Knowledge Institute, Laureano ha promosso la realizzazione della Traditional Knowledge World Bank8, archivio in open source e formato wikipedia che classifica con apposite schede le diverse tecniche di selvicoltura e allevamento, agricoltura, gestione delle acque, protezione del suolo, architettura, gestione delle risorse, organizzazione sociale e arte.  

Le conoscenze tradizionali e la loro condivisione rappresentano quindi il primo passo verso processi di gestione sostenibile di territori complessi, anche attraverso strumenti e metodologie cooperative.

È da qui, dalla riscoperta dei saperi tradizionali e dunque dalla valorizzazione sostenibile delle risorse naturali di un territorio che passa il futuro dell’economia per le aree aride e desertiche.

Oltre l’economia fossile

Così come il mondo della cultura oggi affronta il tema del “beyond fossil culture”, allo stesso modo, e con maggiore determinazione, nascono numerosi progetti economici ambiziosi per andare “oltre” l’economia fossile. 

Ancora oggi lo sfruttamento del deserto come grande giacimento di idrocarburi determina di fatto la ricchezza dei principali Paesi estrattori. Il consumo globale di petrolio ha raggiunto un livello record nel 2023 e le previsioni sono quelle di produrre nel 2030 più del doppio della quantità di combustibili fossili rispetto a quanto sarebbe compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C9. Ma qualcosa sta cambiando.

La stessa IEA (l’agenzia internazionale per l’energia) ha dichiarato10 che «la dipendenza dal petrolio è destinata a indebolirsi ulteriormente in molte parti del mondo nei prossimi anni. Il passaggio a un’economia dell’energia pulita sta aumentando di ritmo, con l’aumento delle vendite di veicoli elettrici, il miglioramento dell’efficienza energetica e altre tecnologie di energia pulita che avanzano rapidamente».

E quando cambia la domanda, cambia anche l’offerta. Ne è un esempio Vision 203011, l’ambizioso programma dell’Arabia Saudita con l’obiettivo, appunto, di diversificare l’economia del paese, riducendo la sua dipendenza dal petrolio. Un piano che mette al centro la trasformazione economica del secondo paese estrattore al mondo di petrolio, attraverso lo sviluppo di settori come il turismo, la tecnologia e l’innovazione.

Così come il programma No-Oil Export della Nigeria, attivato con il sostegno della World Bank già negli anni ‘8012, ma che solo oggi sta registrando risultati sorprendenti. Secondo l’agenzia per le esportazioni della Nigeria (NPEC) l’export nazionale di prodotti non fossili è cresciuto del 39,91% nel 2022, toccando il record assoluto13.

Il professor Balami è docente di economia all’Università di Maiduguri (Nigeria). L’istituto, fondato dal governo federale nigeriano nel 1975, conta circa 25.000 studenti ed è il principale istituto di istruzione superiore nella parte nord-orientale della Nigeria.

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Nonostante questi risultati, ancora c’è molto da fare. «L’efficacia del Zero Oil Plan rimane incerta. Il raggiungimento del successo dipende dalla pace, che è essenziale per i nostri sforzi».  A raccontarci il contesto entro cui leggere questi numeri è il professor Dahiru Hassan Balami, docente di economia all’Università di Maiduguri (Nigeria), membro del “Monetary Policy Committee” della Banca Nazionale nigeriana e caporedattore del “Journal of Arid Zone Economy”. «Un ambiente favorevole, caratterizzato dalla pace, dal rispetto della legge e dall’accesso all’acqua, è cruciale per la preservazione ambientale».

Una pace che si costruisce su una economia più solida. «Le principali sfide per le zone aride derivano in primo luogo dalla scarsità di risorse, quindi dalla mancanza di capitale e finanziamenti ed infine dalla solidità del sistema agricolo» spiega il professor Balam. «A questo si aggiungo l’impatto dei cambiamenti climatici, che si manifesta in particolar modo attraverso ondate di calore intense che comportano significativi rischi per la salute della popolazione e dell’agricoltura. Affrontare tali sfide richiede in primo luogo il potenziamento delle infrastrutture, migliorando i sistemi di irrigazione e la formazione della forza lavoro.»

La cura del territorio e delle sue risorse naturali rimane quindi cruciale. «La gestione efficiente delle risorse idriche esistenti è fondamentale, date le inefficienze attuali. Utilizzare l’acqua piovana e coltivare colture resistenti alla siccità sono misure pratiche che possono contribuire significativamente a mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici. Così come utilizzare le risorse idriche sotterranee ed implementare tecnologie semplici ma efficaci, come generatori e pompe per l’acqua. Tuttavia, la preoccupazione predominante risiede nell’insicurezza sociale, che abbraccia le inadeguatezze infrastrutturali, i bassi redditi, le disparità socio-economiche e la mancanza di risorse finanziarie.»

«Nel contesto delle economie desertiche, la sfida principale oggi risiede nel raggiungimento della pace, essenziale per la loro potenziale prosperità. Nonostante la loro considerevole produttività, l’insicurezza sociale costituisce un ostacolo significativo allo sviluppo. La pace è indispensabile»

Il processo di cooperazione che i decisori politici e governi nazionali sono chiamati ad adottare con le proprie comunità nella gestione delle crisi ecologiche dei territori acquista, in definitiva, ancora più importanza alla luce delle risposte sociali che si possono innescare quando le risorse vengono degradate e le comunità iniziamo a competere per loro.  

Se “economia” è “amministrare la casa” è fondamentale che questa, prima di tutto il resto, non vada a fuoco.

Questo articolo è stato redatto in collaborazione con Giulia Melchionda


  1. Ansa, R. (2022, June 17). Giornata desertificazione: 1 miliardo le persone colpite. In ANSA.it. https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2022/06/17/giornata-desertificazione-anbi-1-miliardo-persone-colpite_05872e2e-f244-442e-9c06-8d7042c4e776.html. ↩︎
  2. Con “degrado” l’UNCCD definisce le variazioni negative di uno degli indicatori fra il cambiamento della copertura del suolo, la dinamica della produttività del suolo (LPD) e lo stock di carbonio organico del suolo (SOC) ↩︎
  3. UNCCD Data Dashboardhttps://data.unccd.int/land-degradation. ↩︎
  4. Il Deserto del Sonora, regione arida che copre 120.000 miglia quadrate (310.800 chilometri quadrati) si trova nel sud-ovest dell’Arizona e nel sud-est della California, negli Stati Uniti, e include gran parte dello stato messicano di Baja California Sur, parte dello stato di Baja California e metà occidentale dello stato di Sonora. Cfr. Britannica. Sonoran Desert. https://www.britannica.com/place/Sonoran-Desert↩︎
  5. Acierto, A. (2023). Uninvited Guests. https://alejandroacierto.com/uninvited-guests. ↩︎
  6. Wikipedia. Pietro Laureano. https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Laureano. ↩︎
  7. International Traditional Knowledge Institute. Cosa sono le Conoscenze Tradizionali. In ITKIhttps://itki.org/it/le-conoscenze-tradizionali/cosa-sono-le-conoscenze-tradizionali/. ↩︎
  8. TKWB – Traditional Knowledge World Bank – TKWB – Traditional Knowledge World Bank. https://tkwb.org/index.php?title=TKWB_-_Traditional_Knowledge_World_Bank. ↩︎
  9. SEI, Climate Analytics, E3G, IISD, UNEP. Production Gap Report 2023. In UNEP – UN Environment Programme. https://www.unep.org/resources/production-gap-report-2023. ↩︎
  10. Graham, R., Atigui, I. (2024). A strong focus on oil security will be critical throughout the clean energy transition. In IEA. https://www.iea.org/commentaries/a-strong-focus-on-oil-security-will-be-critical-throughout-the-clean-energy-transition. ↩︎
  11. Saudi Vision 2030. https://www.vision2030.gov.sa/en/. ↩︎
  12. World Bank. (1982). Nigeria Non-Oil Export Prospect. https://documents1.worldbank.org/curated/en/560521468110650315/pdf/multi-page.pdf. ↩︎
  13. Nigerian Export Promotion Council. (2023). Non-oil exports rose to $4.8bn in 2022 – NEPC. NEPC. https://nepc.gov.ng/blog/2023/01/14/non-oil-exports-rose-to-4-8bn-in-2022-nepc/. ↩︎

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