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Nei deserti invernali freddi del Turan

Esplorazione e geografia nel lavoro di Jens Wunderlich

Alessandra Navazio
una storia scritta da
Alessandra Navazio
 
 
Nei deserti invernali freddi del Turan

La geografia ci aiuta a cogliere le trasformazioni dei territori e le relazioni che li attraversano e li connettono. Ma cosa succede se la mappa che li dovrebbe rappresentare è vuota? Lo abbiamo scoperto insieme a Jens Wunderlich, che con la Succow Stiftung ha lavorato per la promozione dei deserti invernali freddi del Turan come patrimonio dell’umanità

«I deserti invernali freddi del Turan erano, fino a poco tempo fa, come una mappa vuota. Sì, come una mappa bianca da scoprire» confessa emozionato Jens Wunderlich. «Ci sono state molte ricerche di giacimenti di gas e petrolio da parte di compagnie minerarie ma nessuna dal punto di vista ecologico. Ci sono molte specie e meccanismi ecosistemici preziosi in questi deserti, a malapena conosciuti, anche perché molte persone non saprebbero nemmeno dove trovare sulla mappa paesi come il Turkmenistan o l’Uzbekistan». Perché esistono territori che tutti conoscono e territori sottorappresentati? Quanto incidono le mappe sul nostro modo di pensare? E sugli ecosistemi? La geografia, che per definizione descrive i luoghi1, ha un ruolo in tutto questo? Il lavoro di Jens Wunderlich e le sue esplorazioni nei deserti invernali freddi ci forniscono una possibile risposta. 

Jens Wunderlich è un geografo di formazione, specializzato in cartografia, gestione e analisi di geodati e World Heritage. Nato nella Germania orientale prima della caduta del Muro, ha sempre desiderato viaggiare e descrivere luoghi. Ha iniziato la propria carriera lavorando per varie ONG dell’Asia centrale e, successivamente, per il Giz in Turkmenistan, un programma per il supporto economico regionale nell’Asia Centrale commissionato dal Ministero federale tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico (BMZ). Attualmente dirige il dipartimento “Protected areas and biosphere” della fondazione Succow Stiftung, in cui lavora dal 2010 e, grazie al quale, dal 2016 al 2022 ha partecipato al progetto CADI (Central Asia Desert Initiative) come team leader per le componenti di conservazione del progetto. La fondazione tedesca, fondata nel 1999 da Michael Succow, titolare del Right Livelihood Award e padre del National Park Program nella Germania riunificata, è nota per i progetti di conservazione in Europa e in Asia.

Scopri la Fondazione Succow Stiftung Scopri il progetto CADI

Dove si trovano i deserti invernali freddi

I deserti invernali freddi si trovano per lo più nella parte centrale dell’Eurasia2, quindi in un’area che si estende dalla Repubblica islamica dell’Iran attraverso i paesi dell’Asia centrale – Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan – fino alla Mongolia, con piccole aree anche in America meridionale e settentrionale, come il deserto della Patagonia o le Grandi Pianure. 

Sono chiamati invernali freddi per le temperature che li caratterizzano di inverno, ma in realtà è l’escursione termica stagionale a renderli “estremi”. «Le temperature oscillano tra -40°C d’inverno e +50°C in estate» specifica Jens Wunderlich «con un’escursione termica di quasi 100 gradi nel corso dell’anno, che non ha uguali nei deserti caldi». 

Tra i deserti invernali freddi, quelli che sorgono nel Turan, ovvero nel bassopiano tra Turkmenistan, Iran, Uzbekistan e Kazakistan, sono una delle distese di sabbia più grandi al mondo. Jens Wunderlich li ha esplorati grazie al CADI-Central Asia Desert Initiative3, che si è svolta dal 2016 al 2022 e ha coinvolto l’Università di Greifswald e la Fondazione Michael Succow, dove Wunderlich lavora, per svolgere studi sull’ecosistema dei deserti, sulle specie che ci vivono e sulla loro protezione e gestione e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) per trovare mezzi di sussistenza più sostenibili per le aree desertiche. Il progetto CADI ha portato non solo, nel 2023, alla nomina dei “Deserti Invernali Freddi del Turan” come Patrimonio Mondiale Unesco4 ma ha anche abilitato investimenti sulla promozione di nuove conoscenze scientifiche, sull’istituzione di nuove aree protette e sul rafforzamento di quelle già esistenti.

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I deserti del Turan sono composti da quattordici componenti che includono delle aree protette e vanno dalle depressioni montane dell’Altyn-Emel ai deserti di gesso dell’Ustyurt meridionale per un totale di 3.366.441 ettari di territorio. Nella mappa la componente numero 6 non è stata inserita. Fonte: UNESCO. Tutti i diritti riservati.

Chi abita la mappa vuota?

La prima missione nell’altopiano di Ustyurt c’è stata nel 2020: 20 persone, per tre settimane a centinaia di chilometri di distanza dalle fonti di cibo, acqua, benzina e supporto medico. «C’è stato il bisogno di andare sul campo per la grande carenza di informazioni sulla presenza, l’abbondanza e la distribuzione delle specie» racconta Wunderlich. «E per molte spedizioni abbiamo dovuto viaggiare tantissimo: solo per raggiungere e lasciare il sito nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, ad esempio, è stata necessaria una settimana di viaggio con la jeep. Durante il viaggio, all’ora di pranzo, a volte, è stato necessario anche sdraiarsi sotto l’auto perché era l’unica ombra disponibile a distanza di chilometri». Nonostante questo, le diverse spedizioni del CADI hanno coinvolto scienziati di diverse discipline non solo locali ma anche dalla Russia e dalla Germania. «Molti di loro hanno affrontato questi lunghi viaggi pur di unirsi alle spedizioni perché le scoperte che facevamo ogni volta erano straordinarie, nuove e senza precedenti» spiega Wunderlich. 

I territori desertici del Turan sono, infatti, un unico complesso sistema di ecosistemi con una natura incontaminata, hotspot di biodiversità e forme di vita impensabili per lo più inesplorate, che si sono adattate alle temperature estreme. Molte proteggono i nostri ecosistemi, anche se lontane da noi, come nel caso dell’albero Saxaul che si presenta in gruppi-foreste ed è in grado di sequestrare e immagazzinare carbonio nei deserti non solo nella sua biomassa in superficie, ma anche nelle sue estese e profonde reti di radici, come la mangrovia.

I periodi migliori per esplorare i deserti invernali freddi sono la primavera o l’autunno, non solo per le temperature meno estreme ma anche perché sono i periodi più interessanti per le scoperte scientifiche e naturalistiche. «Ad aprile, ad esempio, c’è la stagione della fioritura delle piante effimere» ci racconta Wunderlich «ovvero le piante che fioriscono una sola volta nella loro vita, per pochi giorni, e poi scompaiono» non lasciando traccia di sé se non quella dei semi dispersi.

«In queste spedizioni abbiamo trovato diverse nuove specie di piante. Se devo dire, però, qual è il risultato più sorprendente del progetto», confessa Jens Wunderlich, «per me è sicuramente il ritrovamento dell’asino bianco mongolo (Equus hemionus kulan) nell’altopiano di Ustyurt, un animale che era stato classificato come estinto in Uzbekistan». Non si sa ancora bene come sia arrivato in quel territorio, «molto probabilmente dal Turkmenistan anche se ci sono delle recinzioni al confine». Un altro caso simile è stato quello del leopardo dell’Anatolia (Panthera pardus tulliana) nel sud-ovest del Kazakistan, il primo a essere stato avvistato vivo nel paese. «È stato un po’ un miracolo trovarlo davanti alla trappola con la telecamera» afferma Wunderlich. L’esemplare più vicino conosciuto si trovava, in quel momento, a 500 km a sud, in Turkmenistan, sempre dietro la recinzione di confine e il ritrovamento ha portato alla sua inclusione nella “Red Data Book” del Kazakhstan per le specie da proteggere e l’immediata elaborazione ed adozione del “Persian Leopard Action Plan” da parte del governo del Kazakistan.

Alcune foto delle spedizioni nei deserti freddi del Turan. Fonte: Jens Wunderlich. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore.

La natura senza confini nel deserto

La natura non conosce confini geo-politici e i deserti del Turan ne sono una prova evidente, con corridoi migratori di oltre 300 specie di uccelli e di mammiferi ungulati come le gazzelle, le antilopi delle steppe o l’urial: esseri viventi transfrontalieri che incontrano recinzioni di filo spinato e i limiti di una geografia prettamente umana. La massima espressione la troviamo nell’altopiano di Ustyurt dove si incontrano i confini di Uzbekistan, Kazakistan e Turkmenistan. 

E qui il fare geografia può entrare in gioco. Nel progetto CADI e nei suoi sviluppi «la cooperazione interdisciplinare è, ovviamente, uno dei pilastri» afferma Jens Wunderlich. Una delle forme di collaborazione è quella che si è instaurata con la comunità scientifica locale. «Nelle nostre ricerche e spedizioni collaboriamo sempre con gli scienziati locali che hanno una lunga storia di scienze alle spalle5. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, molti scienziati sono andati via da questa regione ma la Fondazione Succow ha stipulato accordi di cooperazione con molte istituzioni locali e nazionali come gli istituti di botanica del Kazakistan e dell’Uzbekistan o l’“Istituto Nazionale dei Deserti e della Flora e Fauna” (NIDFF)6 in Turkmenistan, che sono poi state coinvolte nel progetto CADI».

Un altro esempio di cooperazione è possibile vederlo anche a distanza di tempo. Grazie al CADI, il Kazakistan e l’Uzbekistan hanno aderito all’ IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform for Biodiversity and Ecosystem Services) nel 2019 e nel 2024. Inoltre, nel febbraio 2024, in occasione della Conferenza delle Parti (COP) 14 della Convenzione sulla conservazione delle specie migratorie (CMS) svoltasi a Samarcanda, Uzbekistan e Kazakistan hanno firmato un Memorandum di cooperazione per la conservazione della fauna selvatica sull’altopiano di Ustyurt, mentre il Turkmenistan ha annunciato di aderire presto. Il Memorandum mira ad affrontare i problemi causati dalle infrastrutture lineari come le recinzioni lungo il confine e a garantire infrastrutture adatte anche alla fauna selvatica migratoria. 

«Questo ci dimostra che il progetto CADI e il successo dell’iscrizione dei Deserti del freddo inverno di Turan nel Patrimonio naturale mondiale dell’UNESCO stanno migliorando anche la cooperazione tra i Paesi a vantaggio della biodiversità e della conservazione degli ecosistemi».

La geografia per andare oltre

Nell’aprile del 2004 l’IUCN (International Union for Conservation of Nature)7, dopo aver compiuto degli studi comparativi sulla copertura dei siti naturali e misti del Patrimonio Mondiale (WH)8, ha compreso che i deserti invernali freddi non fossero rappresentati nella lista UNESCO, al contrario delle foreste pluviali che, nel 2004, contavano circa 30 siti o delle zone di alta montagna (con circa 50 siti) e ha definito una lista di priorità di tutti gli ecosistemi da proteggere nel futuro e su cui portare l’attenzione globale perché complessi unici di biodiversità. Tra questi: i deserti invernali freddi. «Il progetto CADI», afferma Wunderlich, «è stato un buon modo per far luce su uno spazio bianco e renderlo più evidente. C’è un piccolo aumento, a mio avviso, nel riconoscimento e nella comprensione di dove si trovano i deserti invernali freddi e i paesi che li ospitano, del perché sono importanti per la biodiversità, gli ecosistemi, nei meccanismi di desertificazione e per il clima globale. Le cose si stanno ulteriormente sviluppando con il coinvolgimento di sempre più scienziati e ONG e questo mi dà molta felicità e speranza».

Wunderlich lega l’amore per la geografia, la spazialità e la descrizione della sfera terrestre alla sua infanzia: «Sono nato nella Germania dell’Est: come bambino della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) la mia famiglia ed io eravamo piuttosto limitati negli spostamenti. Viaggiare attraverso il Mar Baltico era qualcosa di veramente entusiasmante per me e il Mar Mediterraneo mi sembrava impossibile da visitare un giorno. Ho viaggiato con i miei genitori per lo più in Bielorussia e in Ucraina, le ex repubbliche indipendenti dell’Unione Sovietica, ed era comunque qualcosa di straordinario da ricordare e di cui vantarsi in classe. Dopo la caduta del Muro di Berlino, grazie ai miei studi di geografia, ho potuto iniziare a lavorare al di là di queste limitazioni politiche ed è così che sono arrivato agli ambienti desertici. Quindi, viaggiare per me nasce dalla curiosità e dall’interesse di scoprire cose nuove e di fare qualcosa di significativo per la società e la sopravvivenza del nostro pianeta».

La geografia nella sua dimensione critica consente, infatti, di portare alla conoscenza locale e internazionale territori importanti per il nostro pianeta. Non solo, nel suo essere al confine con l’ecologia, la sociologia o l’arte della diplomazia, è quel sapere interdisciplinare che è in grado di indagare il dove accadono le cose per comprendere poi il loro come e il loro perché. «Penso che sia molto incoraggiante studiare geografia. Puoi scegliere in quale direzione andare» sottolinea Wunderlich. E la direzione della geografia, oggi, sta diventando proprio quella di farsi interrogare dalle mappe vuote del mondo e da quella natura che non ha confini geopolitici. In futuro Wunderlich non esclude che questo possa avvenire anche grazie alla contaminazione della geografia con l’arte perché «non si tratta solo di fatti scientifici duri ma forse anche di aprirci a qualcosa di più». Qualcosa che riguarda il modo in cui rappresentiamo e ci orientiamo nel mondo. 

 

  1. L’etimologia del termine conferma questa prima fondamentale impostazione degli studi geografici: “geo- grafia” deriva da due antiche parole greche, ghè, ‘terra’, e graphìa, ‘descrizione, disegno’. ↩︎
  2. Denominazione proposta nel 1858 da C.G. Reuschle (Handbuch der Geographie) per indicare l’insieme dell’Europa e dell’Asia e giustificata dal fatto che queste due parti del mondo, oltre all’essere saldate insieme sì da apparire come un’unica massa continentale, hanno in comune alcuni lineamenti fisici essenziali. ↩︎
  3. Il progetto CADI- Central Asian Deserts Initiative è parte dell’IKI- International Climate Initiative. ↩︎
  4. UNESCO World Heritage Convention. (2023). Cold Winter Deserts of Turan (Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan). https://whc.unesco.org/en/decisions/8410. ↩︎
  5. Esiste una lunga storia di ricerca scientifica ecologica nella regione che risale ai primi tempi dell’Unione Sovietica e anche prima, come indicano i nomi di Pallas, Przewalski o Humboldt. A Repetek, il primo Zapovednik dell’Unione Sovietica nel mezzo del deserto del Karakum, c’è un’enorme biblioteca dedicata esclusivamente alla ricerca sui deserti. ↩︎
  6. Il NIDFF di Ashgabat, la capitale del Turkmenistan, è la prima istituzione scientifica al mondo che si è occupata di ricerca ecologica scientifica nei deserti. ↩︎
  7. L’IUCN è il consulente ufficiale per la natura del Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO. L’IUCN valuta i siti nominati per la lista del patrimonio mondiale e monitora lo stato di conservazione dei siti elencati. ↩︎
  8. IUCN. The World Conservation Unit. (2004). The World Heritage List: Future priorities for a credible and complete list of natural and mixed sites. https://portals.iucn.org/library/sites/library/files/documents/Rep-2004-026.pdf. ↩︎

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