L’osservazione degli abissi è costosa e concentrata nelle zone economiche esclusive di USA, Giappone e Nuova Zelanda. Katy Croff Bell con la Ocean Discovery League lavora per renderla più accessibile e distribuita: ecco come.
I gerridi, o insetti pattinatori, scivolano sulla superficie dell’acqua grazie alle loro zampe lunghe, ricoperte di micropeli idrorepellenti che non rompono la tensione superficiale del liquido e permettono loro di non affondare. A questi insetti si ispira una nuova generazione di robot galleggianti ultraleggeri che possono essere usati come una centralina ambulante di raccolta ed elaborazione di dati ambientali sul sistema oceano-atmosfera.
Un prototipo di questi robot biomimetici, con batteria alimentata dall’attività batterica, è stato pubblicato a giugno 2024 su Advanced Materials Technologies1 e realizzato all’interno del programma Ocean of Things della Defense Advanced Research Projects Agency degli Stati Uniti d’America, dedicato alla costruzione di una rete distribuita di sensori ambientali.
Ma oltre la superficie, si spalancano ancora gli abissi inesplorati, anche se dagli anni Ottanta si sono affiancati ai sommergibili i veicoli a controllo remoto prima e i droni subacquei poi. Perché? «È davvero difficile vedere attraverso l’acqua» spiega la ricercatrice Katy Croff Bell.
Katy Croff Bell, classe 1978, è un’esploratrice delle profondità marine, con all’attivo più di 30 spedizioni oceanografiche. Nel 2021 ha fondato l’organizzazione no profit Ocean Discovery League, di cui è presidente. Ha conseguito una laurea in “Ingegneria Oceanica” al MIT, un master in “Archeologia Marittima” alla Università di Southampton e un dottorato in “Oceanografia geologica” alla Graduate School of Oceanography dell’Università di Rhode Island. Ha fondato e diretto l’Open Ocean Iniziative al Mit Media Lab, nel biennio 2017-2019 vicepresidente del comitato consultivo federale per le aree marine protette e nel triennio 2017-2020 National Geographic Fellow.
«Quando si posizionano le telecamere, si può vedere solo una parte molto, molto piccola del paesaggio abissale. È come essere sul fianco di una montagna, di notte, durante una bufera di neve, con solo una torcia elettrica: hai una visuale molto, molto ristretta e hai bisogno di molto tempo per farti un’immagine dell’intera montagna. Un’ altra ragione è che, negli ultimi 60-70 anni, gli strumenti di esplorazione sono stati molto costosi e, di conseguenza, pochi e concentrati solo in alcuni luoghi, come gli Stati Uniti, l’Europa, il Giappone e la Nuova Zelanda. La maggior parte dei Paesi costieri del mondo, soprattutto quelli che hanno grandi quantità di oceano profondo all’interno delle loro zone economiche esclusive, non ha accesso a questo tipo di strumenti. Negli ultimi 70 anni, l’esplorazione si è concentrata nelle zone economiche esclusive di Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda» sottolinea Croff Bell. «Come possiamo rendere questo tipo di sistemi più disponibili, più accessibili, in modo da raggiungere più persone e più luoghi?».
Un gioco non per tutti
Croff Bell ha fondato nel 2021 la Ocean Discovery League, una no profit che ha l’obiettivo di accelerare l’esplorazione delle profondità marine attraverso sistemi a basso costo e open source. Tra i primi risultati dell’istituto, The 2022 Global Deep-Sea Capacity Assessment, che ha mappato lo stato dell’esplorazione oceanica globale attraverso sondaggi online e dati di ricerca manuale su 186 aree geografiche distribuite in sei aree principali: Europa, Asia, Nord America, Africa, Oceania, America Latina e Caraibi. «Abbiamo cercato di raggiungere il maggior numero possibile di persone e di Paesi» spiega Croff Bell. «All’inizio ci siamo affidati alla nostra mailing list, poi abbiamo utilizzato un database chiamato Ocean Expert: per tutti i paesi che non avevano risposto al sondaggio, abbiamo contattato scienziati locali e li abbiamo invitati a partecipare. Alla fine abbiamo ottenuto più di 300 risposte: meraviglioso, ma non abbastanza. Abbiamo quindi ingaggiato un ulteriore team di ricercatori e ricercatrici in ogni regione del mondo con acque profonde a integrazione di quella survey».
Con quali risultati? «Uno dei più importanti è stato documentare in modo coerente e dettagliato le disuguaglianze tra paesi. Un aspetto che mi ha molto incoraggiato è stato constatare come in molti dei luoghi in cui non ci sono strumenti, ci sono persone con esperienza e competenze che vorrebbero utilizzarle. La vedo come una grande opportunità per lavorare con persone che hanno le capacità e l’interesse, ma non hanno gli strumenti per mancanza di accesso e di finanziamenti: i veicoli e i sistemi tradizionali che utilizziamo costano milioni di dollari per essere acquistati, per non parlare del funzionamento delle navi da ricerca, quando magari si hanno altre priorità per il proprio Paese. Ecco perché stiamo cercando di ridurre i costi: se le persone vogliono farlo, possiamo aiutarle».
Un risultato inaspettato dello studio? «Quando abbiamo chiesto alle persone se l’esplorazione dell’oceano o delle profondità marine fosse importante per il proprio paese, la risposta negli Stati Uniti è stata inferiore rispetto a quella di molti altri luoghi, anche se gli investimenti in questo settore sono molto più alti che altrove».
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In che modo l’Intelligenza Artificiale può accelerare l’elaborazione dei dati che provengono dalle esplorazioni oceaniche? «Ci sono due sfide fondamentali in questo momento» spiega Croff Bell «Una è la quantità di dati, il fatto che le persone abbiano pile di dischi rigidi sulle loro scrivanie che non sono in un formato condivisibile e accessibile. E l’altra è che, di solito, quando le persone analizzano i loro dati, sono condizionate dal loro livello di competenza e dal loro ambito di specializzazione. Quindi uno studente di biologia annoterà o analizzerà i video in modo molto diverso da un professore di ruolo di geologia: cercheranno cose diverse, a partire da livelli diversi. Speriamo quindi che, utilizzando l’intelligenza artificiale, ci sia una capacità più consistente di analizzare i dati, in modo da individuare nuove scoperte che potrebbero non rientrare nelle competenze di chi cerca: magari un geologo cerca solo le rocce e non si interessa del corallo e quindi non nota quella nuova specie che può esserci sulla roccia che sta osservando o che vuole raccogliere. Questo sarà uno sforzo pluriennale. Ma stiamo lavorando con il Monterey Bay Aquarium Research Institute al progetto “Ocean Vision AI”, che consiste nel costruire una piattaforma online che consenta alle persone di caricare e analizzare i propri dati utilizzando gli algoritmi di apprendimento automatico, per rendere più veloce ed efficiente l’analisi dei dati. E nell’ambito di questo progetto, abbiamo un database open source di immagini annotate chiamato FathomNet 2che è un inizio».
Come si è svolto il processo di raccolta e caricamento di questo database? Di cosa è fatto? «È un processo ancora in corso, iniziato con i dati del Monterey Bay Aquarium Research Institute, che è stato davvero uno dei leader nell’annotazione di video oceanici per decenni, con una vera e propria stanza dedicata a questa attività, che ha consentito oggi di avere vasti archivi necessari per addestrare gli algoritmi. Abbiamo anche una discreta quantità di dati provenienti dall’Office of Ocean Exploration della NOAA, l’Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica degli Stati Uniti, che ha effettuato spedizioni in tutto il mondo. È un database aperto, quindi chiunque può caricare i propri dati. E quindi continua a crescere in questi anni».
Quali sono i prossimi obiettivi dell’Istituto a medio e lungo termine? «A lungo termine, per prima cosa stiamo lavorando a un progetto per identificare i punti in cui abbiamo già visto i fondali marini. Abbiamo raccolto un database di metadati di quasi 50.000 immersioni. Ci sono stati cambiamenti nel tempo? È un aspetto su cui stiamo lavorando proprio in questi giorni, in modo da poter stabilire ciò che abbiamo visto negli ultimi 70 anni. E poi ci stiamo dedicando a trovare modi per affrontare l’esplorazione delle profondità marine in modo più strategico e globale: penso che la ricerca sia importante e preziosa ma gran parte dell’oceano sia rimasta trascurata e occorra trovare una combinazione tra gli attuali interessi scientifici molto specifici e l’esplorazione dell’altro 99% dell’oceano, così da per poter porre altre domande e formulare altre ipotesi anche scientifiche in futuro. Ad esempio, tutte le creature delle profondità marine hanno molto da insegnarci sull’adattamento ai loro ambienti unici, sia che si tratti di pianure abissali fangose, sia che si tratti di adattamenti alla chemiosintesi e alla vita nelle vicinanze di bocche idrotermali: il mondo biologico dell’oceano è incredibile per il modo in cui i diversi organismi si sono adattati in tanti modi diversi. Vogliamo quindi sviluppare strumenti a basso costo e più facili da usare, in modo che le persone possano accedervi, così da avere più esploratori ed esploratrici da più luoghi del mondo, e sviluppare programmi di training per metterle in condizioni di usarle. Queste sono le aree principali su cui stiamo lavorando in questo momento».
La storia di cui parla questo articolo è stata individuata utilizzando un tool di intelligenza artificiale, Asimov, sviluppato da ASC 27 appositamente per Mangrovia. Il tool ci ha aiutato a scoprire la storia, ma il resto del contenuto che leggi e vedi è il risultato di processi creativi e sensibilità umane, e non è in alcun modo generato dall’intelligenza artificiale. Ecco perché usiamo l’intelligenza Artificiale in redazione!
- Per saperne di più su questo prototipo, si veda Elhadad, A., et al. (2024) Revolutionizing Aquatic Robotics: Advanced Biomimetic Strategies for Self-Powered Mobility Across Water Surfaces. Advanced Materials Technologies. doi.org/10.1002/admt.202400426 ↩︎
- Sul FathomNet, si veda Katija, K. et al. (2022). FathomNet: A global image database for enabling artificial intelligence in the ocean. Sci Rep 12, 15914, https://doi.org/10.1038/s41598-022-19939-2 ↩︎