
La tecnologia può insegnare agli esseri umani a vivere meglio nella natura, trovando con essa quella connessione sinergica che, perlomeno in Occidente, si è persa da tempo. L’artista Ale Guzzetti lo mostra con la sua arte, sinergica e connessa.
Nessuno li vede, ma ci sono oltre trecento minuscoli esseri tecnologici disseminati nei parchi di tutto il mondo. Dalle distese naturali protette del Marocco e della Cina alle Isole Galapagos, dai vulcani dell’Ecuador alle Azzorre, dalle isole artificiali degli Emirati Arabi al deserto dell’Uzbekistan e dell’Oman, dai giardini zen del Giappone ai paesaggi della Birmania e degli Stati Uniti. Chi li ha messi? E, soprattutto, cosa sono? Sono dispositivi “vivi”, attivi e totalmente innocui sia per la privacy che per l’ambiente, meno per chi minaccia uno dei due, ma restare diffidenti è lecito e, di questi tempi, probabilmente anche saggio. Questa volta però si tratta di opere d’arte, le ha create uno dei primi artisti che in Italia ha osato affrontare temi legati alla tecnologia, unendo due sue passioni in un originale (ai tempi) binomio. Si chiama Ale Guzzetti e quello che abbiamo descritto finora è il suo Techno Gardens Project.
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Micro-sculture che vivono il mondo
Approfittando della sua passione per i viaggi, dal 1999 Guzzetti ha seminato micro-sculture robotiche zoomorfe negli angoli più remoti del Pianeta con «un’operazione di interattività ambientale che trasforma giardini in scenari in cui questi oggetti assumono una nuova identità», spiega.
«La tecnologia non è più uno strumento di cui l’uomo si serve a livello produttivo, ma diventa essa stessa un essere autonomo, guidato da leggi proprie e capace di relazionarsi con la natura secondo una prospettiva sincretica».
Abituati a cercare di default in quale dei tanti modi la tecnologia stia danneggiando l’ambiente, scoprire Techno Gardens è una gradevole sorpresa. Quest’opera diffusa mostra come essa possa relazionarsi anche in modo positivo con la natura, dipende soprattutto dall’essere umano che la pensa e le dà forma.

Nato nel 1953, ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Brera e parallelamente condotto ricerche sulla musica elettronica al Politecnico di Milano e al Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova. È stato PhD researcher all’Università di Plymouth (UK), al Centro Ricerche sul Contemporaneo di Brera, e al CE.R.CO – Centro di Ricerca in Antropologia ed Epistemologia della Complessità dell’Università di Bergamo. Oltre che in Italia e in Europa, ha esposto anche in Libano, Canada, USA, Hong Kong e Cina. Nel 1991 ha ricevuto il Prix Ars Electronica di Linz e nel 2000 è stato uno dei cento artisti invitati dal Victoria & Albert Museum di Londra a esporre in occasione della mostra The Next Millennium Museum. Tra il 2024 e il 2025, insieme a Fabrizio Plessi, ha rappresentato l’Italia alla prima edizione di Ennova Art Biennale a Lang Fang.
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In questo caso Guzzetti lo ha fatto disegnando oggetti semoventi, quasi invisibili, in grado di relazionarsi simbioticamente con l’ambiente che li accoglie e di esplorarlo senza impoverirlo o inquinare, perché alimentati da pannelli solari. Questi micro-organismi tech emettono flebili suoni e si illuminano con l’oscurità, per fondersi con il paesaggio. Rappresentano una “nuova specie” che Guzzetti introduce per rompere il litigioso binomio tra esseri umani e resto della natura e proporre invece tre forme diverse di “vivente”, capaci di convivere. Il fruitore, essere umano; la pianta, essere vegetale; l’oggetto tecnologico, essere informatico. Toni accesi, atti esibizionistici, grida di protesta non gli appartengono, ma il suo messaggio ambientalista suona forte comunque. Calmo e chiaro, lieve ma incisivo, inietta «una nuova consapevolezza che si contrappone alla scultura monumentale, un concetto di sporogenesi contro quello di site-specific». E propone «una connessione autentica, non soltanto virtuale, tra tutti gli esseri viventi che abitano la Terra».
Quando l’arte incontra la tecnologia
Per “visitare” Techno Gardens Project bisognerebbe fare letteralmente il giro del mondo, ma per coglierne il senso e lasciarsi provocare dal messaggio che contiene, si può fare un salto alla mostra personale dell’artista, in programma dal 6 maggio al 6 giugno alla Fondazione Mudima di Milano. L’ha intitolata Sguardi diversi – Quando i robot incontrarono gli antichi Dei ed è un percorso nel percorso, nella sua evoluzione artistica, un susseguirsi di interazioni con le nuove tecnologie di ogni epoca, sempre intrecciate a etica e poesia, intenzioni e messaggi. Una passione che nasce in lui agli inizi degli anni ’70: «studiavo pittura e scultura presso l’Accademia di Brera e, contemporaneamente, cercavo di studiare e produrre musica elettronica. Per quasi un decennio ho coltivato separatamente le mie competenze visive e musicali, fino a quando non ho iniziato a sonorizzare gli oggetti trovati. Sono nate allora le mie sculture sonore e, finalmente, sono riuscito a riunirle» racconta Guzzetti. Poi confessa che, nello stesso momento in cui lo ha fatto, «sono nati i primi problemi, gli stessi che a volte ancora oggi sussistono quando si ha a che fare con operatori dell’arte un po’ provinciali: gallerie che si rifiutavano di pensare ad un’opera con cavo elettrico, stand limitrofi in fiera che si lamentavano per la presenza di suoni, SIAE che pretendeva gabelle per ogni suono emesso in pubblico dalle sculture».
Intoppi pratici, ostacoli logistici, o di pensiero, ma nulla di insormontabile per chi, come lui, ha scelto con la propria arte di dar voce e movimento alla tecnologia.
Prima l’elettronica, poi i computer e, ora, la robotica, sempre interpretata a modo suo, richiamando alla mente gli automi di Erone della scuola di Alessandria e i suoi esperimenti col vapore, recuperati poi solo 1500 anni più tardi. E poi le invenzioni di Al-Jazari del XII secolo, Leonardo e, soprattutto, Athanasius Kircher del XVII sec., matematico, religioso, filosofo, inventore di sommergibili, macchine volanti, macchine logiche e di calcolo. «In tutti questi personaggi non esiste la distinzione tra arte e tecnica, tra musica e architettura, tra religione e matematica», spiega. «Ad accomunarli sono infatti la forte trans-disciplinarietà, la passione per l’inventare e, soprattutto, la capacità di essere grandi sognatori». Li elegge suoi maestri: «sono loro che più hanno avuto impatto nel mio modo di fare arte, mi hanno insegnato la continua ricerca di altri mondi possibili».
Un nuovo paradigma creativo
Da sempre desideroso di esplorare l’interattività e scoprire nuovi paradigmi d’interpretazione tra osservatore ed opera, Guzzetti continua a guardarsi attorno, in un mondo sempre più affollato di arte ma che sta perdendo la capacità di sognare concretamente, sempre più convinto che la tecnologia possa offrire «illimitati strumenti di realizzazione di ogni immaginario ed immaginato». La sua è un’immaginazione pragmatica, la stessa con cui ha sparso micro-sculture nel mondo invitandoci a partecipare a un «gioco estetico che si sovrappone a una strategia cognitiva fatta di scambi di informazioni».
Un’espressione fortemente orientata alla tecnologia ma che, in fondo, racconta anche l’arte: entrambe scambiano informazioni. E allora ecco che se ne possono unire le forze e le opportunità in “opere di significato”. Il “di significato”, va precisato, oggi, perché se un tempo la tecnologia era presente in dosi modeste e misurate nel mondo dell’arte, oggi la sua pervasività la sta rendendo una specie invasiva pericolosa. Come sottolinea Guzzetti, per esempio, «passando dal disegno e dalla modellazione manuale alla scansione 3d di oggetti reali e alla modellazione digitale che offre variabili infinite, si sta delegando a macchine la realizzazione primaria dell’opera». Questo ci interroga su nuovi possibili paradigmi creativi e su chi ne è il vero protagonista. Anche la figura del visitatore/osservatore non è più la stessa, osserva poi Guzzetti:
«La possibilità di un uso immersivo delle immagini digitali porta oggi l’arte e la sua fruizione ad altri e alti livelli, rovescia completamente il ruolo del visitatore, da osservatore passivo a co-attore dell’opera».
Quanto all’intelligenza artificiale, si dice invece “dubbioso”: «finora ho visto prodotti spettacolari, ma ancora intrisi di surrealismo. Ma credo che in un futuro vicinissimo gli artisti sapranno con l’AI trovare un linguaggio e delle figurazioni più autonome ed originali. Non basta usare suoni o video per essere trendy: la tecnologia offre strumenti potenti da usare, ma vanno inseriti all’interno di un pensiero artistico».
Proiettarsi nel futuro per averne cura
Muta ed evolve, e lascia spazio e tempo alla tecnologia di farlo: il pensiero artistico di Guzzetti mantiene coerenza, ma sa accogliere l’innovazione. Lo sa bene chi, come Gino Di Maggio, lo segue da circa quarant’anni.
È infatti proprio lui che ne cura la personale milanese, con l’intento di mettere in luce come «il suo rapporto con la tecnologia si è fatto man mano sempre più complesso e sofisticato, senza però mai perdere quel tratto di artigianalità che caratterizza il lavoro degli artisti, e che li distingue dai filosofi della scienza e dagli epistemologi. Sono artisti che portano avanti la loro personale ricerca usando la tecnologia, vista come uno dei tanti prodotti della scienza». Niente complessità o forzati innesti di futuro, nessun cavalcare le novità per conquistare spazio, Guzzetti per chi deve curare le sue opere, può rappresentare un artista sfidante. Per Di Maggio è invece un piacere poter avere l’occasione di seguirlo e raccontarlo. Perché?
Perché «il suo lavoro artistico ci suggerisce con mano a tratti ironica un rapporto gioioso e giocoso con lo sviluppo della tecnologia che addirittura in questa mostra assurge a livello divino, incontrando gli antichi Dei».

Siciliano di Milano dal 1950, Gino Di Maggio si occupa di arte e cultura dalla fine degli anni ’60. Prima di fondare Mudima, ha gestito gallerie d’arte occupandosi anche di musica sperimentale e letteratura. Ha conosciuto da vicino tutti gli artisti milanesi (ma non solo) che hanno animato gli ultimi cinquant’anni di cultura a Milano. Era ed è ancora un riferimento per capire il passato, il presente e il futuro della nostra città.
A sorpresa, non per Guzzetti, ma per molti di noi forse sì, la tecnologia si mostra uno strumento di connessione con l’ambiente e l’opportunità per trovare nuovi modi di relazionarsi con esso più etici e rispettosi. Nelle sue opere si chiede all’essere umano di dialogare, perlomeno con lo sguardo, con una presenza artificiale: «è una situazione nuova, forse inquietante, ma possiamo sempre decidere se prestarci al gioco, o no» racconta Di Maggio. Poi confessa che accettino di farlo soprattutto i giovani, «non solo perché scoprono un nuovo linguaggio dell’arte, ma anche perché loro possono sentirsi maggiormente a proprio agio essendo “naturalmente proiettati verso il futuro”». L’arte non può prevederlo, per ora, ma resterà secondo Di Maggio «l’attività più sublime, il risultato migliore della creatività umana, la testimonianza più pregnante del nostro stare al mondo».