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Fare Spazio al non ovvio contro la crisi climatica

Soluzioni interdisciplinari per salvare il pianeta

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
Fare Spazio al non ovvio contro la crisi climatica

Previsioni meteo marziane e opere d’arte ispirate a sensori spaziali: minando l’efficacia di metodi tradizionali, gli eventi estremi sempre più intensi e frequenti spingono a superare barriere mentali, psicologiche e culturali. E a considerare nuovi modi per capire come mitigare e comunicare un problema globale: scientifici ma anche umani, a cui tutti possiamo contribuire.

Nel primo bollettino meteo di Marte, il 15 marzo 2017, si segnalavano venti attorno al cratere Gale. L’11 luglio 2017, nella seconda edizione, sono comparsi forti vortici detti Dust Devils che imperversavano sul Pianeta Rosso. Le previsioni del tempo di questo corpo celeste posto a una distanza media di 228 milioni di chilometri da quello su cui abitiamo, non sono l’idea di un regista, di una scrittrice di fantascienza o di un radioamatore in cerca di fama. A pensarci, realizzarle e trasmetterle sono stati i tre scienziati Jorge Pla-García, Antonio Molina e Javier Gómez Elvira del Centro de Astrobiología (CAB)1 associato al programma di astrobiologia della NASA.

Questi tre scienziati, specializzati nella progettazione e nella costruzione di stazioni meteorologiche per missioni su Marte, hanno reso la Spagna la prima nazione al mondo a misurarne venti, piogge e fenomeni atmosferici, creando veri e propri report destinati al grande pubblico1. Un’idea senza dubbio originale, ma anche utile? Jorge Pla-García ha distolto per qualche ora il suo sguardo da Marte per spiegarci come e perché.

Acqua, vita e polvere marziane

Jorge Pla-García è ricercatore al Centro di Astrobiologia (CAB – Spagna) e allo Space Science Institute di Boulder (USA). Attualmente collabora a tre missioni NASA: lo strumento REMS (rover Curiosity), lo strumento TWINS (InSight) e lo strumento MEDA e membro dell’Atmospheres Council (entrambi i rover Perseverance). In passato ha lavorato alla missione ExoMars 2022 dell’ESA (strumento RLS) e all’Instituto de Astrofísica de Canarias. Nel 2016 Jorge è stato Principal Investigator del progetto NASA-JPL “Study of methane detected by Curiosity with MRAMS”. Ha ricevuto anche due premi NASA (2013, 2015) come membro del team REMS e un altro premio “Student Outstanding Presentation” alla conferenza della Japan Geoscience Union.

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Partiamo proprio dal perché. «Grazie alle stazioni su suolo marziano, si ottiene una grande quantità di informazioni che hanno notevolmente ampliato la nostra comprensione del pianeta Marte e del suo paesaggio diversificato» spiega Pla-García. Aumenta per esempio il sospetto che, un tempo, Marte avesse acqua liquida sulla sua superficie. La presenza di ghiaccio, le prove di antiche valli fluviali e di letti di laghi e anche alcuni minerali che solitamente si formano in presenza di acqua, lasciano immaginare che un tempo il pianeta fosse irrorato, ma anche animato da una considerevole attività vulcanica e tettonica e da fenomeni di erosione.

Diamo allora uno sguardo alla superficie marziana: dalle vette di Olympus Mons, il vulcano più grande del sistema solare, agli abissi della Valles Marineris, il suo canyon più profondo, in un’atmosfera con pressione inferiore all’1% di quella terrestre e quasi unicamente composta da anidride carbonica. Vapore acqueo e ossigeno compaiono solo in tracce, in compenso c’è tanta polvere. Pla-García parla di vere e proprie violente tempeste che sconvolgono l’intero pianeta marziano, influenzando «sia le missioni robotiche che quelle potenzialmente umane, danneggiando le apparecchiature alimentate a energia solare e la visibilità». Sempre in atmosfera, si trovano anche molecole organiche che, assieme alle variazioni stagionali del metano rilevate, suggeriscono un passato “abitato” dalla vita. Ancora nessuna prova diretta, precisa Pla-García, ma indizi geologici e chimici come acqua liquida, atmosfera più densa e clima più caldo, fanno sognare presenze antiche, e anche presenze future. Magari quella umana…

Studiare Marte per capire la Terra

«Potenzialmente» è la risposta di Pla-García riguardo all’ipotesi di uno sbarco umano sul “pianeta rosso”.

«Assolutamente sì» è invece quella inerente all’utilità di studiare il meteo su Marte per ottenere spunti utili alla comprensione dei processi atmosferici e meteorologici terrestri.

Il confronto tra i due diversi sistemi climatici e meteorologici può aiutarci infatti ad aumentare la conoscenza di come entrambi possano variare, se sottoposti a diverse condizioni.

I dati meteo registrati su Marte, quelli dei curiosi report da primato mondiale, permettono di applicare e convalidare su questo pianeta modelli atmosferici da usare poi per la Terra, dopo averli già perfezionati altrove. Anche le terribili tempeste, studiate così da lontano, offrono informazioni su come le particelle di polvere influenzano i nostri modelli meteorologici e le dinamiche atmosferiche, impattando su meteo, clima e salute umana.

Marte, a suo avviso, rappresenta un laboratorio perfino per studiare gli effetti dei gas serra: «la sua sottile atmosfera ricca di anidride carbonica aiuta gli scienziati a prevedere e modellare gli effetti dell’aumento dei livelli di questo gas sul clima della Terra». Nonostante le forti differenze tra il ciclo dell’acqua di Marte e quello della Terra, anche su questo tema si possono trarre spunti utili: «la sublimazione e la condensazione del ghiaccio d’acqua su questo pianeta potrebbero avere analogie con alcuni processi in atto nelle regioni polari».

“Astronomia climatica” in crisi

«Non si butta via nulla» dei dati raccolti, nemmeno di quelli su e da Marte: c’è una drammatica crisi climatica in corso e migliorare la nostra comprensione del clima della Terra è urgente. Qualsiasi strumento si mostri minimamente utile, diventa prezioso. Lo studio del meteo di Marte ha già dimostrato di esserlo e potrebbe diventarlo sempre di più, dati i numerosi problemi che i forti cambiamenti climatici stanno creando a chi cerca di monitorarli e prevederli dallo spazio, come “da tradizione”: missioni ESA o NASA, satelliti cinesi e giapponesi, progetti di aziende private. «La crisi climatica della Terra ha un impatto significativo sul lavoro di coloro che la studiano con i metodi noti da anni» spiega Pla-García, illustrando con dovizia di dolorosi e poco noti particolari le tante sfide ambientali di quella che si potrebbe definire “astronomia climatica”.

«Eventi meteorologici estremi come uragani, tempeste e inondazioni interrompono sempre più frequentemente e intensamente i programmi di lancio, danneggiando infrastrutture e aumentando i rischi connessi. Le variazioni di temperatura più ampie possono influire sulle prestazioni del carburante per razzi e di altri sistemi di lancio, richiedendo una progettazione più solida e una tempistica più attenta- racconta – L’innalzamento dei livelli delle acque e l’aumento delle mareggiate minacciano molti porti spaziali, come il Kennedy Space Center della NASA, in Florida, situato vicino alle coste. E i cambiamenti nell’atmosfera possono influenzare la sua densità ad altitudini più elevate, con un possibile impatto sui tassi di decadimento orbitale dei detriti spaziali. Il pericolo di collisione per i satelliti operativi e le stazioni spaziali potrebbe aumentare».

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L’arte apre gli occhi alla scienza

Chi rischia di andare in crisi (operativa) per la stessa crisi (climatica) che sta studiando, o si demoralizza, o trova nuove forze per opporsi a un fenomeno da comprendere sempre meglio. Ecco, quindi che il mondo della ricerca aerospaziale smette di giocare solo in difesa e sfodera una crescente sensibilità nel pianificare strategie e strumenti. Pla-García racconta infatti che «si sta iniziando a porre una maggiore attenzione all’efficienza energetica e all’uso di fonti di energia rinnovabili per ridurre l’impatto ambientale delle missioni spaziali, dalle operazioni a terra al funzionamento dei veicoli spaziali. Cresce anche la stessa domanda di missioni satellitari incentrate sul monitoraggio del cambiamento climatico, per tracciare i gas serra, l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione e altre variabili legate al clima».

Mark Moldwin è professore di climatologia e spazio presso l’Università del Michigan, direttore esecutivo del consorzio Michigan Space Grant della NASA e ricercatore principale per la costellazione di Geospace Dynamics della NASA Magnetometro NEMISIS. I suoi principali interessi di ricerca sono la fisica del plasma magnetosferico, ionosferico ed eliosferico, lo sviluppo di magnetometri e l’educazione universitaria alle scienze spaziali. Ha pubblicato due libri di testo, più di 200 articoli e saggi e quattro brevetti. Moldwin ha ricevuto un premio CAREER della National Science Foundation e una borsa di studio Cottrell della Research Corporation e ha cofondato A2 Motus LLC, una società di ricerca e tecnologia educativa che sviluppa dispositivi per insegnanti e studenti per comprendere meglio i sistemi complessi attraverso attività cinestesiche e monitor meteorologici spaziali.

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Le agenzie spaziali stanno quindi dando massima priorità alle missioni di osservazione della Terra, desiderose di fornire dati critici per la scienza del clima, ma non solo. Stanno anche sperimentando nuove strade per sensibilizzare le persone. Quelle che oggi sono passivamente al centro della crisi possono inaspettatamente diventare potenziali alleate nel combatterla. Artisti compresi. Ciò accade per esempio quando lavorano a stretto contatto con chi fa scienza, in progetti con un approccio “a vasi comunicanti” come il Moldwin Art Prize2. Questa iniziativa non si limita a domandare all’arte di guardare alla scienza in modo unilaterale e passivo. La novità è che si spinge a proporle di creare ispirandosi alla ricerca mentre “la vive sulla propria pelle”, nel respiro degli scienziati con cui può condividere spazi, giorni, successi e sconfitte.

Questo premio funziona proprio così ed è stato creato da chi gli ha dato il nome, Mark Moldwin. Questo professore di climatologia ha infatti iniziato a invitare nei propri laboratori alcuni studenti di arte, per mostrare il processo di indagine e consentire loro di «produrre un lavoro interessante ed entusiasmante ispirato da attività di ricerca, facilitando le interazioni interdisciplinari tra artisti e scienziati».

Prima di lui, un esperimento simile lo aveva fatto da Cathryn Murphy3, docente di chimica all’Università dell’Illinois, che ha chiamato a convivere nel suo laboratorio artisti di vario tipo e ricercatori impegnati a studiare nanoparticelle d’oro di varie dimensioni, per potenziali applicazioni biologiche. Già nelle prime edizioni erano nate contaminazioni inedite e curiose, decisamente stimolanti. Disegni ispirati alle strane forme su sfondo color oro che comparivano sui vetrini, gioielli a forma di particelle sviluppate in laboratorio, composizioni musicali “dorate”, collage 3D e scatole luminose con luci in risonanza con le caratteristiche microscopiche delle particelle. Addirittura, una performance di danza, con un ritmo decisamente molecolare.

Foto delle opere partecipanti al Moldwin Art Prize, realizzate rispettivamente da Allison Crawford, Elsa Olander, Maggie Wiebe, Saimi Siddiqui e Zia Zhao. Credits UM Arts Engine. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso di autori e autrici.

Dai confini dello spazio ai nostri

Non c’è da stupirsi che Moldwin sia rimasto affascinato dall’idea fino al punto di volerla replicare di persona, nel proprio laboratorio, e ne abbia spalancato le porte per accogliere gruppi di studenti “non scienziati”. La sua idea è quella di riuscire, anno dopo anno, a «includere più docenti di ingegneria e scienze ed estendere l’invito a diversi tipi di opere e performance – afferma – Continuiamo ad ospitare artisti nel Magnetometer Lab4 ogni anno e stiamo guardando anche al mondo della musica, per nuovi contatti e ispirazioni».

Moldwin si mostra insaziabile di ingredienti nel suo mescolare discipline diverse, ma non trascura i risultati già raggiunti, anzi, ne parla entusiasta, rendendo facile percepirne i vantaggi concreti. «Questa esperienza ci ha aiutato a dare la giusta importanza al design nel nostro modo di comunicare la scienza. Lavorando con gli artisti, abbiamo iniziato a pensare maggiormente all’impatto del layout, del colore e della semplicità nel produrre articoli, figure e presentazioni di poster» racconta. I ricercatori del Magnetometer Lab hanno anche imparato a «fare un passo indietro e spiegare il loro lavoro ai non esperti, incoraggiando i diversi gruppi a porsi domande, reciprocamente. Siamo tutti non esperti in molti aspetti dei diversi progetti di ricerca, serve scambio».

Moldwin ha visto cambiare il proprio gruppo di ricerca giorno per giorno, ma la soddisfazione più grande è stata leggere i commenti dei partecipanti, a fine esperienza. Ne cita alcuni, conservati su un foglio dedicato.

«In un’epoca in cui sempre più cittadini diffidano della scienza per ragioni politiche, è più importante che mai creare opere d’arte che migliorino la consapevolezza e la comprensione del pubblico nei campi scientifici di studio. Il premio Moldwin mi ha incoraggiato a proseguire nell’aiutare a comunicare idee e ispirare meraviglia».

E ancora: «Ho capito che la collaborazione con tipi di persone completamente diverse può portare a una grande ispirazione artistica. Questo mi spinge a continuare a cercare più contatti con altri scienziati e ricercatori in futuro».

Parole che incoraggiano chi si sta impegnando in progetti di contaminazione coraggiosa come Moldwin, e che regalano speranze concrete anche a chi si sta semplicemente chiedendo cosa si può fare contro la crisi climatica.

Alzare gli occhi al cielo, non serve o, meglio, serve se non lo si fa da soli. Verso Marte, verso satelliti o missioni spaziali, o verso stelle che sempre più difficilmente riescono a stagliarsi nel cielo, l’importante è che le soluzioni si inizino a cercare assieme, anche a chi appare distante, geograficamente o culturalmente.

Per decenni abbiamo sognato di scoprire nuovi pianeti, stelle e fenomeni astronomici, a migliaia di anni luce di distanza, che potessero ospitarci o suggerire “exit strategy”. Oggi cominciamo a capire che l’esplorazione più importante per il nostro futuro ha un raggio molto più limitato, ma ci chiede di superare il nostro vero limite: la paura del diverso che abita il nostro stesso pianeta.


  1. Progetto dedicato alle previsioni meteo su Marte realizzato da CAB https://www.atlasobscura.com/articles/weather-report-mars ↩︎
  2. Per scoprire l’ultima edizione del Moldwin Art Prize, si veda https://www.dc.umich.edu/2023/09/19/moldwin-prize/ ↩︎
  3. Sul progetto che ha ispirato il Moldwin Art Prize si veda Heckel, J., & Heckel, J. (n.d.). Art meets science. https://news.illinois.edu/view/6367/336970 ↩︎
  4. Nel Magnetometer Lab si sta lavorando con i magnetometri induttivi per sviluppare sensori magnetometrici terrestri e spaziali da usare in ambienti estremi sulla Terra e nello Spazio, per saperne di più si veda Magnetometer Laboratory – space. (n.d.). Space – Home for Prof. Mark Moldwin. https://space.engin.umich.edu/magnetometer-laboratory/ ↩︎

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