L’esplorazione spaziale pone sfide senza precedenti per la sopravvivenza umana al di fuori del nostro pianeta. Mentre le missioni a breve termine possono fare affidamento su rifornimenti dalla Terra, le future missioni di lunga durata verso la Luna, Marte e oltre richiedono un approccio radicalmente diverso. È qui che entrano in gioco le nuove frontiere dell’agricoltura spaziale. Come?
La NASA sta pianificando di ritirare l’ISS (Stazione Spaziale Internazionale) entro il 2031, con l’obiettivo di raggiungere la Luna entro il 2026 (missione Artemis) per poi spingersi verso Marte. La distanza media della Terra dalla Luna è di circa 380.000 chilometri, mentre quella da Marte varia tra 55 e 400 milioni. Un viaggio su Marte richiede circa 500 giorni, con un carico utile di risorse stimato tra 2,5 e 7,5 tonnellate per persona. Le agenzie spaziali e le aziende private di tutto il mondo stanno allora esplorando soluzioni innovative per rendere possibili missioni di lunga durata. Come contribuisce a questo obiettivo l’agricoltura spaziale? La voce di Stefania De Pascale per scoprirlo, tra innovazione, adattamento e sostenibilità.
Stefania De Pascale è professoressa di Orticoltura nel Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Napoli “Federico II”. È componente del Comitato Tecnico Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana, della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari-Fondazione di ricerca e della società Future Farming initiative s.r.l. Stefania è anche componente del Consiglio Direttivo dell’Accademia dei Georgofili. Dal 2019, è responsabile del Laboratorio di ricerca sulle piante per lo spazio, che si occupa della caratterizzazione delle piante per i sistemi di controllo ambientale biorigenerativo a supporto della vita dell’uomo nello spazio. Questo laboratorio è il risultato di una collaborazione con l’European Space Agency (ESA) nel contesto del programma Micro-Ecological Life Support System Alternative (MELiSSA).
Scopri il progetto MELiSSAL’agricoltura spaziale è un campo che mescola scienza e spazio. Da dove nasce questo interesse? E che cosa l’ha affascinata di questo settore nelle scelte formative e lavorative?
Fin da bambina, la curiosità è stata il mio motore principale, una spinta che mi ha portato a diventare una ricercatrice. Crescendo in un’epoca in cui l’umanità iniziava a sognare le stelle, sono stata rapita dalla magia dell’esplorazione spaziale. L’emozione per lo sbarco sulla Luna nel 1969 e, anni dopo, l’entusiasmo per l’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale hanno accompagnato la mia giovinezza. Sognavo di diventare giornalista ma dopo la maturità, una visita alla facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, ospitata nella suggestiva Reggia di Portici, ha cambiato tutto. Mi sono innamorata del luogo e delle materie di studio. Contro ogni aspettativa, ho scelto di studiare agricoltura per seguire la mia passione per la natura. Poi, un anno di studio ad Amsterdam, grazie a una borsa di studio, mi ha avvicinata al mondo dell’esplorazione spaziale. Lì ho incontrato un ingegnere aerospaziale – che sarebbe poi diventato il mio compagno di vita per un paio di decenni e il padre di mio figlio – che lavorava al Mars Center di Napoli e collaborava con l’Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency, ESA). I racconti delle sue esperienze hanno acceso in me l’interesse per la ricerca in microgravità, cioè sui campi gravitazionali a valore basso, come quelli sui veicoli spaziali. Ho compreso che lo spazio offriva un laboratorio unico per rispondere a quesiti scientifici cruciali, anche nel campo della biologia vegetale.
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Ma di cosa si occupa, nello specifico, una ricercatrice in agricoltura spaziale?
Quando parlo del mio lavoro nell’ambito dell’agricoltura spaziale, spesso mi trovo di fronte a una percezione limitata del suo vero potenziale. Si tende a pensare all’agricoltura solo in termini di produzione alimentare, dimenticando quanto l’agricoltura, le piante, e il mondo vegetale in generale, siano essenziali per la vita stessa. Le piante hanno plasmato il nostro pianeta molto prima della comparsa dell’uomo.
Nello specifico, l’agricoltura spaziale studia l’agricoltura in ambienti extraterrestri: gli esperimenti condotti sull’ISS e in altre missioni in orbita bassa terrestre hanno dimostrato la fattibilità della coltivazione delle piante in microgravità.
Con l’avanzamento della ricerca, poi, sono emersi nuovi obiettivi e, ora, l’agricoltura spaziale si occupa di produrre una quantità di ortaggi freschi in piattaforme orbitanti come l’ISS o il futuro Lunar Gateway1 tale da integrare l’alimentazione degli astronauti con composti nutraceutici; di ottimizzare la produzione di acido ascorbico2 (vitamina C) da micro-ortaggi freschi o, ancora, di garantire la crescita e lo sviluppo di colture di base come cereali, leguminose e specie da tubero3, entrambi a bordo dell’ISS. Tutto questo perché nello spazio non esistono “taverne”, per parafrasare un noto proverbio marinaresco. Si opera in sistemi circolari chiusi dove il risparmio e la sostenibilità delle risorse sono un requisito imprescindibile.
A proposito di Marte: le future missioni di lunga durata verso la Luna o Marte richiederanno un approccio radicalmente diverso per rifornimento e sostenibilità delle risorse. Come le ricerche nel campo dell’agricoltura spaziale stanno contribuendo?
Attualmente, l’equipaggio dell’ISS in orbita bassa terrestre riceve tutto il cibo necessario dalla Terra e sistemi fisico-chimici rigenerano parzialmente aria e acqua, con frequenti rifornimenti e sostituzione dei filtri. Per viaggi su Marte, la soluzione risiede nella creazione di ecosistemi artificiali autosufficienti, dove le piante potranno rigenerare l’aria attraverso la fotosintesi; purificare l’acqua mediante la traspirazione, produrre cibo fresco per l’alimentazione e fornire, attraverso gli scarti non edibili, substrato utile agli organismi decompositori. Non solo, nell’ottica di lunghe permanenze, è stato dimostrato che le piante hanno un impatto positivo sul benessere psicologico degli astronauti, riducendo lo stress e la nostalgia di casa.
Nel programma MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative)4, al quale collaboro, si vuole sviluppare un ecosistema artificiale che garantirà non solo la sopravvivenza dell’equipaggio nelle future basi spaziali, ma anche la rigenerazione delle risorse secondo un’ottica sostenibile.
Questo ecosistema prende il nome di Bioregenerative Life Support System (BLSS) ed è basato sulle interazioni tra esseri umani, microrganismi (microalghe, batteri), organismi fotosintetizzanti (alghe e piante superiori). Le condizioni di crescita delle piante, come l’intensità e lo spettro della luce, le pressioni parziali di O2, CO2, H2O e la temperatura, devono essere modulate per ottimizzare la crescita, la fotosintesi e la traspirazione. Questi studi vengono condotti sulla Terra in apposite camere di crescita che simulano il comportamento delle piante in un BLSS.
Nel Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nello specifico, il 19 novembre 2019, è stato inaugurato il Laboratory of Crop Research for Space, un laboratorio che dirigo e che è esclusivamente dedicato allo studio delle piante per i BLSS5. Il fulcro del laboratorio è una Plant Characterization Unit (PCU) in cui effettuiamo studi relativi alla selezione delle colture e all’ottimizzazione delle condizioni di crescita, equipaggiata con pannelli a LED di ultima generazione, sofisticati sistemi di coltivazione, di monitoraggio e controllo ambientale.
Sistemi complessi, integrati con l’intelligenza artificiale (AI), saranno poi indispensabili per gestire in modo efficiente i BLSS, monitorando e modulando in tempo reale le funzioni delle piante e dell’intero sistema per rispondere alle esigenze degli astronauti. Quella della robotica e dell’automazione è, infatti, un’altra area di ricerca cruciale che si sta sviluppando e, in questa direzione, un esempio concreto è il progetto BIOLUNA, che vuole sviluppare un algoritmo di AI per il controllo multi-obiettivo di un fotobioreattore per la coltivazione di alghe e di una camera di crescita per piante. Il progetto è stato avviato a febbraio 2024 con il finanziamento dall’ASI e il coordinamento di Thales Alenia Space Italia e sono felice di dire che il Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II collabora per il compartimento piante.
Quali sono i vantaggi o gli insegnamenti da un punto di vista agricolo ottenuti in questi anni sulla Terra grazie all’esplorazione spaziale?
Se, fin dagli esordi, l’agricoltura spaziale ha tratto ispirazione dall’agricoltura terrestre, oggi l’agricoltura terrestre può apprendere molto dall’agricoltura spaziale. La prima lezione riguarda la centralità del settore agricolo, non solo come settore primario, ma anche, soprattutto, per il suo ruolo ecosistemico, andando ben oltre la semplice produzione di cibo. La seconda lezione è che lo spazio rappresenta un ambiente estremamente ostile e, nel caso della futura colonizzazione di Marte, non potrà essere considerato come una fuga alla ricerca di un “pianeta B” perché nessun pianeta conosciuto a oggi regge il confronto con la Terra. La terza lezione riguarda la necessità di sfruttare al meglio le risorse naturali che il nostro pianeta può offrire.
Nella pratica, l’applicazione pionieristica di tecniche come l’idroponica e l’aeroponica a ciclo chiuso, l’agricoltura verticale e l’illuminazione artificiale a LED per le piante nello studio dell’agricoltura spaziale ha già stimolato lo sviluppo di sistemi simili nelle nostre colture protette con potenziali vantaggi soprattutto dove le risorse sono scarse o degradate.
Il mio motto riflette proprio questo ideale: “Piante nello Spazio, più spazio alle piante sulla Terra”.
Senza dimenticare che studiare come le piante si adattano ai fattori spaziali, come la gravità alterata o le radiazioni ionizzanti, non solo amplia la nostra conoscenza sull’adattamento degli organismi viventi, ma promette di rivoluzionare settori chiave come l’agricoltura, la medicina e l’esplorazione spaziale, aprendo nuove frontiere per un futuro più sostenibile.
La One Health, con la sua visione olistica della salute umana, animale e ambientale, che rilevanza assume nello spazio?
Nello spazio i tre elementi della One Health sono interconnessi in un delicato equilibrio e all’interno di un ambiente confinato ed estremo. Con l’obiettivo di missioni spaziali di lunga durata e della colonizzazione di altri pianeti, questo approccio è alla base della creazione stessa degli ecosistemi artificiali autosufficienti, il cui studio e implementazione richiede una profonda comprensione delle interazioni tra organismi e ambiente.
Ultima domanda: le piacerebbe andare su Marte?
Proprio no, stimo profondamente coloro che scelgono di diventare astronauti (ho un’ammirazione particolare per Samantha Cristoforetti), ma preferisco concentrarmi sui misteri dello spazio da un punto di vista (e da una posizione) terrestre con le “radici” ben piantate a Terra.
- Una stazione spaziale in fase di sviluppo nell’ambito del programma Artemis della NASA, destinata a orbitare attorno alla Luna. ↩︎
- Nell’ambito del progetto MicroX2 coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) di cui Stefania De Pascale è responsabile tecnico-scientifica. ↩︎
- Questa attività è svolta all’interno del progetto Precursor of Food Production Unit (PFPU), finanziato dall’ESA e coordinato da Thales Alenia Spazio Italia. Ilgruppo dell’Università di Napoli “Federico II”, coordinato da Stefania De Pascale, si è concentrato sulla selezione delle varietà, del materiale di propagazione e del substrato di crescita più adatti, nonché sulla definizione delle caratteristiche del modulo radicale destinato a ospitare la parte ipogea della pianta. ↩︎
- Dal 2013 il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli è partner ufficiale del programma (MELiSSA). Il programma pluridecennale dell’ESA studia, dal 1987, i sistemi di supporto vitale a ciclo chiuso con un approccio di tipo ecosistemico. ↩︎
- Il laboratorio è nato dalla collaborazione con ASI e ESA. La PCU è stata realizzata grazie al progetto di ricerca PlAnt Characterization Unit for closed life support system – engineering, MANufacturing and testing (PacMan), finanziato dall’ESA nell’ambito del programma MELiSSA e coordinato da EnginSoft Italy. ↩︎