
Nonostante i progressi verso l’equità, le donne restano sottorappresentate nelle discipline STEM. Questa disparità è il risultato di ostacoli culturali, simbolici e istituzionali che agiscono ben prima dell’ingresso nella ricerca scientifica e nel mondo del lavoro. L’esperienza di realtà come She is a scientist APS dimostrano che attraverso pratiche ibride e partecipative si possono promuovere nuovi modi di abitare la scienza, mettendo al centro soggettività ai margini.
Nonostante i progressi verso l’equità, le donne continuano a essere sottorappresentate nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). A livello globale, rappresentano meno del 30% dei ricercatori, e la loro presenza diminuisce ulteriormente nei livelli avanzati delle carriere accademiche1. Ma questa disparità non è il frutto di una singola barriera. È l’effetto di un sistema di ostacoli intrecciati – culturali, simbolici, istituzionali – che agiscono molto prima dell’ingresso nel mondo accademico e continuano a operare in modo sottile e diffuso. Lascienza ha bisogno di essere riabitata e per farlo serve immaginare nuovi modi di starci dentro. Come tracciare una nuova ecologia della conoscenza, dove il dato convive con l’emozione, la teoria con il vissuto e il sapere con la cura? She is a scientist APS lo fa attraverso pratiche ibride e trasformative, che combinano ascolto, creazione, ricerca e restituzione pubblica. Non un modello da replicare, ma una postura: quella di chi sceglie di fare scienza mettendo al centro soggetti, narrazioni e margini.
Quando il bias inizia a sei anni
Tra i meccanismi più pervasivi che ostacolano la parità di genere nel settore STEM ci sono gli stereotipi di genere e i bias impliciti. I primi sedimentati nel senso comune, attribuiscono razionalità, brillantezza e autorevolezza agli uomini, mentre riservano alle donne qualità come empatia, sensibilità, capacità di prendersi cura. Tratti preziosi, certo, ma meno riconosciuti nei contesti scientifici. Questi modelli si interiorizzano precocemente e già all’età di sei anni, molte bambine iniziano a dubitare della propria intelligenza, evitando attività legate all’eccellenza.
I secondi, invece, operano a livello inconscio. Ad esempio, è stato dimostrato che, a parità di contenuto, un curriculum con un nome maschile riceve valutazioni significativamente più alte di uno femminile2. Lo stesso accade nella peer review3, nei processi di selezione per fondi di ricerca, nella distribuzione del carico didattico e nella possibilità di accesso a reti di mentorship o visibilità professionale. Nel tempo, queste dinamiche producono un lento ma costante svuotamento: è il fenomeno noto come leaky pipeline, la “tubatura che perde”, che descrive la graduale fuoriuscita delle donne dalla carriera scientifica. Non a caso, secondo il report She Figures 20214, se nelle lauree triennali si registra quasi parità, solo il 24% dei professori ordinari in ambito STEM è di genere femminile.
A questa erosione si affianca un’altra soglia, più silenziosa ma altrettanto solida: il soffitto di cristallo. Non si tratta di un ostacolo dichiarato, ma di un insieme di dinamiche strutturali che frenano l’accesso ai ruoli di vertice: minore accesso a risorse, carichi familiari diseguali, scarsa rappresentanza nei processi decisionali.
Le conseguenze sono profonde. Sul piano individuale, questi meccanismi possono minare la fiducia, alimentare l’autoesclusione o generare abbandono. Sul piano collettivo, la mancanza di pluralità indebolisce la qualità stessa della conoscenza, portando a una scienza che esclude corpi, esperienze e prospettive diverse, meno capace di interrogare la complessità del reale.
La scienza che incontra l’immaginazione
La scrittura, il disegno, il role playing, ben lontani dai linguaggi accademici convenzionali, sono strumenti privilegiati per riscrivere le narrazioni della scienza e creare spazi nuovi.Spesso sono associati al mondo artistico o pedagogico ma trovano in realtà spazio crescente anche nel settore scientifico, dove si rivelano preziosi per esplorare dimensioni più profonde dell’apprendimento e della conoscenza. La scrittura creativa, ad esempio, è impiegata nella formazione universitaria per rafforzare l’autonomia del pensiero e facilitare una comprensione critica dei contenuti5. Il disegno si configura come una pratica che aiuta a visualizzare concetti astratti, sostenendo l’emergere di nuove domande6. Allo stesso modo, il role playing permette di mettere in scena dilemmi etici o simulazioni di processi decisionali, attivando empatia e pensiero sistemico, soprattutto nei contesti interdisciplinari7.
Lo sa bene She is a scientist APS, una realtà nata nel 2017 come progetto editoriale e divenuta associazione di promozione sociale nel 2021, che mira a promuovere l’equità di genere nel mondo STEM, anche attraverso strumenti creativi che mettono in discussione immagini consolidate e allargano l’immaginario condiviso. La sua missione è ambiziosa: rendere la scienza più giusta, rappresentativa e relazionale, agendo non solo sui numeri, ma sul modo in cui la conoscenza viene pensata, raccontata e vissuta.
«Per noi la scienza non è un territorio da conquistare, ma un ecosistema da ripensare. Come una mangrovia, She Is A Scientist affonda le radici in un terreno instabile, fatto di disuguaglianze, di assenze, di storie taciute, e da lì prova a generare spazio, nutrimento, resistenza».
«Il nostro lavoro nasce da relazioni e restituisce relazioni: dati, emozioni, linguaggi e vissuti che possono intrecciarsi per dare forma a un sapere più giusto» racconta Nicole Ticchi, presidente di She is a Scientist APS.

Nicole Ticchi, chimica Farmaceutica di formazione, si è dedicata per anni alla ricerca industriale presso l’Università di Bologna, coltivando la passione per la divulgazione scientifica. Ha conseguito un Master in Giornalismo e Comunicazione della scienza e in Gender Equality e Diversity Management e oggi, da libera professionista, cura la comunicazione scientifica istituzionale di enti di ricerca e associazioni e si dedica alla progettazione di attività di divulgazione per ragazzi e adulti. Nel 2017 ha intrapreso il progetto “She is a scientist”, grazie al quale studia e comunica la percezione delle donne nella scienza per sensibilizzare le attuali e le nuove generazioni ad una maggiore equità e pari opportunità nel settore scientifico e nella ricerca.
Con lo sviluppo del laboratorio Indovina chi fa scienza… senza bias, ad esempio, l’associazione ha voluto creare uno spazio di esplorazione emotiva e narrativa per adulti. A partire dai vissuti individuali, in questi laboratori, le persone partecipanti sono accompagnate a riconoscere come i bias agiscano nella percezione della scienza e di sé: nei desideri, nelle ambizioni, nelle possibilità immaginate. E la scrittura, qui, non è solo espressione ma una pratica trasformativa che rende visibile l’implicito e nomina ciò che resta al margine.
O ancora, nel laboratorio SHE goes to school condotto da Federica Valentini, operatrice di scrittura terapeutica e socia dell’associazione, con le studentesse della scuola secondaria di primo grado A. Panzini di Rimini nel corso del 2025, grazie agli strumenti privilegiati del disegno e del role model è nato uno spazio di immaginazione condivisa in cui la scienza ha smesso di essere distante, per diventare qualcosa di vivo, vicino e possibile. Nei disegni di chi ha partecipato, la scienza ha preso la forma di una chiave, che apre strade.
«Le ragazze hanno immaginato le scienziate e, quindi, la scienza che portano avanti come uno strumento per curare malattie, proteggere l’ambiente e far stare meglio il corpo e le relazioni. Hanno parlato con naturalezza di cancro, diabete, Alzheimer, senza stigma né paura», racconta Valentini.
Allo stesso tempo, sono emersi desideri nuovi: esserci anche dove prima non si pensava di poter stare: nei campi dell’intelligenza artificiale, nella robotica, nell’ingegneria aerospaziale; spazi ancora percepiti come lontani, ma che iniziano a essere nominati, desiderati e reclamati.
Le partecipanti si sono, quindi, mosse tra ciò che è stato interiorizzato, il legame profondo con la cura, l’empatia, e ciò che si sta aprendo: un immaginario più ampio, più libero, più coerente con i loro interessi, anziché con il genere socialmente costruito. Il percorso si è concluso con la creazione di una mostra allestita nella scuola, La scienza che vogliamo, in cui le storie delle scienziate del passato, del presente e del futuro si sono intrecciate a parole e intenzioni create insieme nei laboratori.
Ascoltare l’invisibile, raccontare il possibile
Federica Valentini
Federica Valentini è copywriter, dottoressa in psicologia e con un master in Scrittura terapeutica. Affianca scuole, festival e realtà culturali con percorsi di gruppo che uniscono scrittura e psicoeducazione emotiva, per favorire consapevolezza, espressione delle emozioni e contrasto alla dispersione scolastica. Ha collaborato con l’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo di Rimini, le scuole medie A. Panzini di Rimini e il “Festival del Buon Vivere” di Forlì. Collabora attivamente con l’associazione “She is a Scientist APS” ed è ideatrice di “Emozioni a contatto”, un progetto trasversale che unisce divulgazione, incontri in presenza e attività psicoeducative per promuovere una cultura emotiva più consapevole.
Se da un lato c’è chi racconta, immaginando nuove storie, scrivendo e disegnando futuri più inclusivi, dall’altro c’è chi ascolta. In questo le survey partecipative rivolte a persone queer, trans e con disabilità nel mondo della ricerca, non sono semplici raccolte dati, ma dispositivi politici e relazionali, pensati per restituire legittimità a soggettività sistematicamente marginalizzate. Un esempio significativo è la Global Survey on Gender Equality in STEM promossa dall’UNESCO8, che invita studenti e professionisti a condividere le proprie esperienze nei percorsi educativi e professionali. Ma già prima che questo approccio si affermasse nelle istituzioni internazionali, progetti indipendenti avevano aperto la strada. Uno dei più significativi è Queer in STEM9, nato negli Stati Uniti tra il 2013 e il 2016 grazie a un piccolo gruppo di ricercatori: Jeremy Yoder (biologo), Allison Mattheis (studiosa di educazione), Joey Nelson (scienziato applicato) e Daniel Cruz-Ramirez de Arellano (chimico) che, partendo dalle proprie esperienze come persone queer nel mondo accademico, hanno ideato e diffuso una survey online rivolta a chiunque si identificasse come LGBTQ+ e lavorasse in ambito STEM. Le risposte non si sono fatte attendere: oltre 1.400 persone hanno partecipato al sondaggio, e 120 hanno scelto di condividere racconti più approfonditi. Tra i dati emersi, uno su tutti colpisce: più del 40% dei partecipanti non aveva mai fatto coming out sul posto di lavoro, nonostante fosse apertamente LGBTQ+ nella propria vita personale.
Anche She is a scientist ha redatto due survey in collaborazione con le associazioni Ondata e Caratteri cubitali: una rivolta a persone con disabilità o malattie croniche invalidanti e l’altro rivolto a persone della comunità LGBTQIA+ che lavorano o studiano nel mondo della ricerca e possono incontrare ostacoli come mancanza di strumenti adeguati, esperienze di esclusione, difficoltà nel costruire relazioni professionali o nell’accedere a opportunità di carriera a parità di condizioni. Domande come «Hai avuto un’accoglienza positiva da chi lavora nel contesto della ricerca?» «Hai subito, nel tuo percorso di studi e ricerca, forme di discriminazione?» sono diventate uno strumento semplice ma efficace per mettere in discussione le cornici dominanti della valutazione e proporre una scienza più dialogica. Senza dati, infatti, diventa complicato progettare politiche efficaci e interventi mirati per rendere il mondo della ricerca più accessibile e inclusivo.
Riabitare la scienza
Il primo passo è raccontare. Intrecciare voci e produrre nuovi immaginari. È ciò che accade nei disegni, nei racconti, nei laboratori di immaginazione collettiva, dove si sperimentano visioni alternative della scienza. Il secondo è dare ascolto. Ascoltare chi è stato ignorato o escluso dalla narrazione ufficiale della scienza. È ciò che accade con strumenti come le survey partecipative, che non si limitano a raccogliere dati, ma costruiscono spazi di fiducia e riconoscimento.
Il terzo è rendere visibile. Restituire centralità a corpi, vissuti e linguaggi troppo a lungo rimossi. Iniziative come Women in STEM10, la campagna della CERN & Society Foundation che dà visibilità alle carriere scientifiche femminili e sostiene programmi educativi per giovani studentesse, o come quella portata avanti da She is a Scientist APS, Science, Humans, Equity11, per raccontare le esperienze di chi lavora in laboratorio anche attraverso un registro ironico, amplificano le voci di soggettività marginalizzate. Per cambiare la scienza, infatti, bisogna ripensare come la si mostra: quali corpi e linguaggi legittima, quali immaginari produce, chi sceglie di includere nel proprio racconto. Il gender gap nella scienza non è solo una questione di numeri. Le donne, come molte altre soggettività marginalizzate, non sono semplicemente “in meno”: sono state rimosse, disincentivate, scoraggiate. Per questo oggi non basta chiedere “più donne nella scienza”. Unapproccio intrecciato tra ascolto, narrazione, attivazione e cura invita a immaginare un ecosistema scientifico più fertile perché più aperto, più giusto perché più plurale. Come una mangrovia, questa visione orizzontale non teme la complessità, ma la abita, apre varchi, crea connessioni e rende possibile ciò che prima non lo era.
- Gender & creativity: progress on the precipice, special edition. (2021). https://doi.org/10.58337/ttgu8976 ↩︎
- Moss-Racusin, C. A., Dovidio, J. F., Brescoll, V. L., Graham, M. J., & Handelsman, J. (2012). Science faculty’s subtle gender biases favor male students. Proceedings of the National Academy of Sciences, 109(41), 16474–16479. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22988126/ ↩︎
- Nell’ambito della ricerca scientifica, la procedura di valutazione e di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca effettuata da specialisti del settore per verificarne l’idoneità alla pubblicazione o al finanziamento. ↩︎
- SHE Figures 2021: Publications Office of the European Union. (2021). She figures 2021 : gender in research and innovation : statistics and indicators. Publications Office of the EU. https://op.europa.eu/it/publication-detail/-/publication/67d5a207-4da1-11ec-91ac-01aa75ed71a1 ↩︎
- McCrindle, A. R., & Christensen, C. A. (1995). The impact of learning journals on metacognitive and cognitive processes and learning performance. Learning and Instruction, 5(2), 167–185. https://doi.org/10.1016/0959-4752(95)00010-z ↩︎
- Ainsworth, S., Prain, V., & Tytler, R. (2011). Drawing to learn in science. Science, 333(6046), 1096–1097. https://doi.org/10.1126/science.1204153ce. Shaaron Ainsworth, Vaughan Prain & Russell Tytler (2011, Science 333(6046): 1096–1097), https://www.researchgate.net/publication/262039333_Drawing_to_Learn_in_Science ↩︎
- Dorion, K. R. (2009). Science through Drama: A Multiple Case Exploration of the Characteristics of Drama Activities Used in Secondary Science Lessons. International Journal of Science Education, 31(16): 2247–2270 https://eric.ed.gov/?id=EJ866555& ↩︎
- Per approfondire: UNESCO. (2024, 31 maggio). Students and STEM Professionals – your voices count – participate in UNESCO Global Survey on Gender Equality. https://www.unesco.org/en/articles/students-and-stem-professionals-your-voices-count-participate-unesco-global-survey-gender-equality ↩︎
- Per approfondire: About queer in STEM. (2022, February 21). Queer in STEM. https://queerinstem.org/about-queer-in-stem ↩︎
- Per saperne di più: Women in STEM | CERN & Society Foundation. (n.d.-b). https://cernandsocietyfoundation.cern/women-stem ↩︎
- La campagna è stata lanciata in occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza nel 2025. ↩︎