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L’arte di provare piacere

Come chimica e società incidono sull’autoconsapevolezza

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
L’arte di provare piacere

Cosa scatta nel nostro cervello quando proviamo piacere? È tutto così automatico? Quanto conta la cultura in questo processo? Lo abbiamo chiesto alla ricercatrice Ottavia Bettucci e all’artista Célia Marchessaux

La serotonina regola l’umore e la sensazione di benessere, l’ossitocina promuove la connessione emotiva e la fiducia, le endorfine fanno da analgesici naturali. Se si parla di piacere, però, la dopamina è molto spesso la protagonista. Quando assaggiamo un cibo gradevole o viviamo relazioni sociali appaganti, è questo neurotrasmettitore che il nostro cervello inizia a rilasciare più abbondantemente, generando quella sensazione che noi riconosciamo come piacere.

A svelarne i retroscena è la ricercatrice Ottavia Bettucci, esperta in “chimica del cervello”: «Per ogni sensazione che proviamo, si attivano o disattivano alcune aree cerebrali, si “accendono” reti neurali, rilasciamo o inibiamo specifiche sostanze chimiche» spiega. E si prepara a raccontare il «complesso e preciso sistema di ricompensa (circuito della ricompensa) che sta alla base del piacere».

Ottavia Bettucci, chimica, ricercatrice e divulgatrice scientifica. Ha lavorato nel campo delle energie rinnovabili e della bioelettronica cercando approcci sintetici sostenibili. Oggi è ricercatrice al Dipartimento di “Scienza dei Materiali” dell’Università di Milano Bicocca. Scrive per riviste come “Sapere” (dedalo), “Galileo” e “Science in School” e collabora con le case editrici Mondadori e Rizzoli. Ha condotto il programma per ragazzi “La banda dei fuoriclasse” su Rai Gulp e ha ideato il progetto “StreetScience”, che combina l’arte urbana e la divulgazione scientifica.

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La diversità dei piaceri

È un “gioco” di neurotrasmettitori e ormoni e varia a seconda dei tipi di piacere, «ma non è sempre semplice distinguerli, perché possono “sovrapporsi” tra loro» spiega Bettucci

Quello generato dalla dopamina, quando otteniamo qualcosa di molto desiderato o vantaggioso, è il piacere della ricompensa. «Si attiva in risposta a stimoli positivi, come cibo, sesso, successo o nuove esperienze – spiega – Quando queste esperienze diventano molto intense e di breve durata, può anche trasformarsi in un piacere edonico».

Sempre la dopamina è all’origine del piacere legato alla scoperta e alla curiosità, assieme all’acetilcolina. Quando ci impegniamo in un’attività nuova o stimolante, alcune aree del cervello ne rilasciano di più, stimolando a cercare risposte e apprendere cose nuove.

La chimica cambia totalmente quando il piacere diventa quello sociale, collegato ad affetto, empatia, supporto reciproco e condivisione di esperienze. In questo caso “collaborano” l’ossitocina e la serotonina. «La prima, rilasciata durante il contatto fisico e le interazioni, innesca sentimenti di fiducia – spiega Bettucci – la seconda, invece, rafforza la sensazione di felicità legata a contesti positivi».

Si definisce piacere anche quello legato al sollievo dal dolore, ma la chimica cambia di nuovo ed è la volta delle endorfine. «Facendo da antidolorifici naturali, attenuano la sofferenza sia fisica che emotiva, regalando una sensazione di piacere calmante, come dopo l’esercizio fisico o lo stress», precisa Bettucci. «Può entrare in gioco anche l’anandamide, il cui nome deriva dal sanscrito “ananda”, che significa “gioia” o “beatitudine”. È un neurotrasmettitore cannabinoide che il nostro corpo produce naturalmente».

Il piacere come guida al benessere

Il suo continuo ricercare cosa avviene a livello cerebrale quando scatta la sensazione di piacere, in Bettucci non ha per nulla intaccato “il piacere di provarlo”. «Resta un meccanismo piuttosto automatico, incontrollabile e primordiale» spiega. Ma poi ammette che, «avendone studiato i meccanismi, ora visualizzo cosa accade nel mio corpo quando provo un certo tipo di piacere, quale sostanza sta dominando nel mio cervello senza che io possa controllarlo. Da una parte spaventa, dall’altra alleggerisce di un peso: quando si prova qualcosa è inutile tentare un controllo bisogna solo starci dentro».

Gli studi che ultimamente più la appassionano sono quelli sulle relazioni tra piacere e dolore, un’interconnessione che «fa riflettere su come sensazioni di piacere e dolore possano essere processate e influenzarsi all’interno delle stesse reti cerebrali».

«Il dolore ci avvisa di una minaccia, il piacere ci spinge a comportamenti vantaggiosi come nutrirci e creare legami sociali» racconta, affascinata. Perché questi studi, poi spiega, «potrebbero aprire la possibilità di trattare il dolore cronico stimolando i circuiti del piacere per alleviarlo indirettamente».

Potrebbe essere un passo valido ad ogni età, visto che la percezione del piacere cambia con l’avanzare del tempo, ogni volta che nel nostro cervello il sistema di ricompensa e la sensibilità ai neurotrasmettitori si evolve. «Fino all’adolescenza produciamo più dopamina e le aree cerebrali responsabili del piacere sono ancora in sviluppo, quindi più sensibili» spiega Bettucci. «Da adulti la risposta alla dopamina si stabilizza, ma crescono i livelli di serotonina e ossitocina, legati alla regolazione dell’umore e ai legami sociali, spingendoci a cercare piaceri più legati alla connessione emotiva e alla stabilità. Man mano che la produzione di dopamina e serotonina diminuisce, la sensibilità ai piaceri immediati si riduce. In compenso il cervello diventa più sensibile all’ossitocina e alle endorfine, rafforzando la soddisfazione derivata dalle relazioni e dal piacere sociale, rendendo fondamentali per il nostro benessere attività calmanti e significative».

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Il piacere ha genere e cultura

Vivere bene non assicura che piacere, provare piacere non è sempre sinonimo di abitudini sane, ma qualità di vita e sensazioni gradevoli sono elementi decisamente correlati. Anche chimicamente. Bettucci conferma infatti che sono tanti gli aspetti del nostro stile di vita che impattano sulla capacità del cervello di generare piacere, in primis l’alimentazione: cosa mangiamo, ma anche come e quando.

«Zuccheri e carboidrati raffinati (come dolci, bibite zuccherate, pane bianco) stimolano il rilascio di dopamina; gli alimenti ricchi di proteine contengono triptofano, aminoacido che può essere convertito in serotonina, il cioccolato stimola la produzione di endorfine – racconta – ma contano molto anche il contesto e lo stato emotivo: se siamo in compagnia, se mangiamo in modo distratto o se siamo molto affamati, per esempio». E contano anche il genere a cui si appartiene e l’area geografica da cui si proviene.

«Molto dipende dalle esperienze, dai vissuti personali e dal contesto sociale, ma la percezione del piacere a livello chimico può variare tra i maschi e femmine, perché influenzata da differenze biologiche nei livelli ormonali, nei neurotrasmettitori e nella risposta del sistema di ricompensa» spiega Bettucci.

Sebbene esistano meccanismi chimici “universali”, la percezione del piacere cambia molto a seconda del contesto culturale, sociale e personale. «I valori e le aspettative legate alla sessualità, al successo, alle relazioni interpersonali influenzano profondamente i circuiti cerebrali legati al piacere» chiarisce Bettucci. Senza generalizzare, si può immaginare che se un contesto culturale dà priorità alle relazioni affettive e sociali, enfatizza il piacere ad esse legato e il rilascio di ossitocina. Se competizione e successo individuale contano di più, entra invece in gioco la dopamina, lasciando che il piacere sia prevalentemente legato a questi concetti.

Dal tabù all’empowerment

Per difendere il diritto di persone appartenenti a ogni genere di provare ogni genere di piacere, Célia Marchessaux ha creato il progetto Muse.

Celia Marchessaux è una designer e ricercatrice di prodotti con sede a Londra. Ha conseguito un master in “Design dei prodotti” al Royal College of Art. La sua pratica è orientata al valore e affronta le sfide socioculturali attraverso un approccio pratico e incentrato sulla ricerca.

Scopri il progetto Muse

«L’idea è nata al secondo anno di università, pensando al mio progetto di laurea: volevo fosse qualcosa che risuonasse in me, qualcosa di significativo in cui immergermi con passione – spiega – le donne sono sempre state una fonte di ispirazione nella mia vita, le mie più grandi Muse, appunto. La mia opera di design è stata fortemente guidata dai miei interessi e valori». Muse è una raccolta di strumenti che affronta di petto temi generalmente trascurati, sfide che le donne si trovano a dover affrontare durante il loro percorso di vita, dall’infanzia all’età adulta.

«Desidero con la mia arte favorire una maggior consapevolezza del corpo, della sessualità, del piacere e dell’empowerment e far comprendere come si evolvono nel tempo» precisa Marchessaux.

C’è un primo kit con oggetti e schede educative che affrontano argomenti spesso considerati “tabù”, per aiutare le ragazze a diventare donne informate. «Introduco il concetto di piacere sessuale, attraverso un viaggio di autocomprensione che porta le giovani a sentirsi responsabilizzate», spiega l’artista. «L’esplorazione del proprio corpo inizia di solito molto prima della condivisione della sessualità. Quando le donne sono consapevoli del proprio corpo e dei propri desideri, hanno la possibilità di non essere più guidate solo dai desideri e dalle fantasie di qualcun altro. Possono diventare leader del proprio percorso e rimanere in sintonia con i propri bisogni, invece che affrontare la propria sessualità come qualcosa da dare a qualcun altro. La conoscenza sarà sempre un potere».

Il secondo kit di Muse è composto da un camice e da un dispositivo interattivo, per affrontare il tema della salute femminile: uno step successivo, un upgrade ma che va considerato fondamentale, perché la salute “clinica” è un presupposto base per provare un vero piacere.

Kit del progetto Muse, ideato da Célia Marchessaux. Tutti i diritti riservati. Riprodotto con il consenso dell’autrice.

Il desiderio femminile, questo sconosciuto

Dietro alle forme scanzonate di Muse, c’è un pensiero potente. Marchessaux gli ha dato una forma gradevole e attraente, ma non ha smussato l’importante messaggio di equità di genere in esso custodito. Perché, come lei stessa spiega, «crescere come donna in una società maschilista è impegnativo. Quando si tratta di consapevolezza del corpo e di educazione sessuale, le ragazze e le donne sono isolate. Spesso le conversazioni essenziali non vengono affrontate in famiglia e nemmeno a scuola. Ancora oggi molte lottano per sentirsi a proprio agio nella propria pelle e per soddisfare i propri desideri».

Muse vuole essere una risposta a queste sfide del mondo reale «in una società che rifugge dall’educazione sessuale e circonda di vergogna i temi del corpo e della sessualità – spiega – ho voluto offrire alle ragazze la possibilità di conoscere il proprio corpo e rompere il silenzio, per formare una nuova generazione che si senta diversa e sfidi le prospettive oppressive, grazie a un rapporto più sano con il corpo e la sessualità». Il progetto di Marchessaux dimostra con accattivante fermezza che l’arte e il design possono giocare un ruolo decisivo nel garantire il diritto di provare piacere, in ogni società.

Sono strumenti educativi potenti ma accessibili, che possono fungere da «stimolo per svelare argomenti che la società ha chiuso in una scatola, considerandoli una vergogna e dei tabù» sottolinea Marchessaux, poi raccontando come anche gli uomini che si sono confrontati con Muse ne hanno beneficiato.

«Entrambi i kit hanno permesso loro di imparare molto sul corpo femminile, scatenando curiosità e una maggiore consapevolezza dei problemi quotidianamente affrontati dalle donne», riferisce. «Nei casi peggiori, è stato percepito come una provocazione, ma ha sempre portato a conversazioni molto interessanti». Chissà cosa accadrà man mano che Muse si diffonderà nel mondo: lo vedremo, visto che colei che lo ha così creato, con lo stesso convinto e colorato coraggio lo vuole rendere sempre più reale e accessibile. E lo farà con piacere.

 

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