La creatività che cura
Come arte, scienza e tecnologia si integrano nelle terapie innovative

Anche in un mondo regolato e scientifico come quello della medicina, la creatività prende spazio e regala valore. Per raggiungere nuovi traguardi, come spiega la tossicologa Barbara Deodato, e per superare vecchi stigmi, come mostra l’artista Malicia
C’è un’ipotesi da generare, poi una struttura da immaginare e infine un approccio innovativo da implementare: ci vuole una gran dose di creatività per dar vita a un nuovo farmaco. Se non ci si lascia ingannare dall’apparente limitatezza dei colori dei camici usati come cliché del settore pharma, si riesce a cogliere appieno la straordinaria potenza generativa racchiusa in questo processo. Per non eccedere, distorcendolo e ledendone il rigore scientifico che lo caratterizza, serve una sorta di guida, con la voce di un’esperta come Barbara Deodato.

Barbara Deodato è un medico specialista in “Tossicologia”. Dopo la Laurea, si è dedicata per dieci anni alla ricerca di base, lavorando in laboratori internazionali come l’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology di Trieste e il Karolinska Institute di Stoccolma. Rientrata in Italia, dopo aver completato un Master in Farmacovigilanza, ha intrapreso un nuovo percorso professionale nell’ambito dello sviluppo farmacologico, lavorando per aziende farmaceutiche e occupandosi di diverse patologie, da quelle cardiovascolari e metaboliche a quelle di natura virale. Nel tempo libero, si dedica al trekking, alla subacquea e alla fotografia.
Visita il suo profilo LinkedinLa creatività nello sviluppo farmacologico
Medico, specialista in tossicologia e alle spalle tanti anni in tanti laboratori del mondo, Deodato sa come viene dosata la creatività in ogni fase dello sviluppo farmacologico. «Non riguarda solo l’invenzione di nuove molecole – spiega infatti – ma anche la capacità di immaginare nuove soluzioni per ogni sfida, dalla scoperta dei bersagli terapeutici, alla formulazione del farmaco, fino alla gestione degli studi clinici».
Le fasi iniziali sono quelle in cui chi fa ricerca è chiamato a pensare in maniera più innovativa, per tradurre la scienza in terapie efficaci e sicure. Il primo step che richiede creatività è l’identificazione del bersaglio biologico rilevante per la specifica malattia, «soprattutto nel caso di malattie poco conosciute (come lo è stata l’infezione da Covid-19) o di malattie complesse come l’Alzheimer o le malattie multifattoriali», precisa Deodato. Non esiste un iter standard che permetta di trovare un enzima, un recettore o un gene coinvolto nel meccanismo patologico e lo stesso vale per la sintesi di nuove molecole:
«Serve ogni volta immaginare nuove strutture chimiche che interagiscano con il target in modo efficace, stabile e sicuro».
Aumentando la dose di creatività, ci si può spingere anche oltre i farmaci tradizionali, sviluppando terapie basate su cellule, geni o anticorpi. Deodato prende come esempio le terapie CAR-T1, nate da «un approccio altamente innovativo in campo oncologico in cui, in laboratorio, si modificano geneticamente i linfociti T del paziente (responsabili della risposta immunitaria) per renderli capaci di attaccare selettivamente le cellule tumorali», spiega. Non si può procedere di default nemmeno nella formulazione finale del farmaco: «Per migliorare l’assorbimento, ridurre la frequenza di somministrazione, favorire una somministrazione orale o sviluppare sistemi di rilascio controllato serve un approccio creativo». Altrimenti non esisterebbero le insuline a rilascio prolungato, per esempio, o quei nuovi farmaci che utilizzano nanoparticelle per colpire specificamente i tumori.
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Pensare oltre le terapie tradizionali
Il “fare farmaci” richiede fantasia, a ogni fase, ma anche a ogni persona che partecipa al processo. Non ci si può astenere dall’essere creativi. Deodato racconta infatti che a medici e biologi molecolari la creatività serve per scoprire i meccanismi biologici responsabili di una malattia e per identificare nuovi target per terapie personalizzate. Ai ricercatori in chimica farmaceutica, per ideare molecole innovative, migliorare l’affinità verso il target biologico e superare problemi di stabilità e sicurezza della molecola, per esempio. Anche figure apparentemente insospettabili di creatività come data scientist e bioinformatici ne hanno bisogno per sfruttare big data, algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale che servono a ottenere suggerimenti su nuovi approcci terapeutici ispiranti. E chi teme e si domanda se la tecnologia minacci di appiattire questo ciclo creativo, la risposta di Deodato è no. Anzi, “dipende”, e come sempre, da noi.
«Usate in maniera sinergica, creatività e innovazione tecnologica, innescano un circolo virtuoso che consente di sviluppare farmaci all’avanguardia ma anche con un minor dispendio di risorse» afferma.
E come esempio di sinergia porta il “modelling molecolare”, un insieme di tecniche computazionali che consente di esplorare rapidamente migliaia di composti chimici e di simulare le interazioni tra farmaci e bersagli biologici nelle fasi più precoci della sperimentazione. Anche qui, la creatività è indispensabile, per scegliere le ipotesi da testare e identificare soluzioni fuori dagli schemi.
Un altro esempio di “pharma-creatività”, Deodato lo pesca nel delicato campo dell’oncologia, nello specifico nell’ambito dei tumori mammari. Si tratta del trastuzumab emtansine (T-DM1), un farmaco della classe degli “anticorpi coniugati”2 (Antibody-Drug Conjugates, ADC), chiamati così «perché combinano un anticorpo monoclonale con un agente chemioterapico», spiega. «L’anticorpo “riconosce” e si lega a uno specifico target presente sulla superficie delle cellule tumorali e il complesso anticorpo-farmaco viene internalizzato nella cellula, dove l’agente antitumorale blocca processi cellulari critici, impedendo al tumore di crescere». In questa complessità ad alta dose di scienza, la parte creativa sta nel combinare, nello stesso farmaco, molecole con azione sinergica, per potenziarne l’efficacia e/o la selettività, e ridurne gli effetti collaterali.
Anche guardando il concetto di “medicina” e “terapie” più in generale, si nota come le sfide che ci attendono non possano essere affrontate senza il coraggio e la capacità di essere creativi. In particolare, con Deodato guardiamo alla medicina di genere e personalizzata, poiché entrambe richiedono approcci innovativi per creare o adattare le terapie in base alle caratteristiche individuali dei pazienti.
«È cruciale pensare in maniera critica per identificare differenze, biologiche e non, tra uomini e donne (ormonali, metaboliche, genetiche, ambientali) che possono influenzare la risposta ai farmaci, così come quelle legate al profilo genetico e molecolare o al quadro clinico del singolo individuo».
Spiega poi con precisione Deodato: «Solo grazie alla creatività riusciamo e riusciremo a sviluppare terapie mirate che agiscono su specifici sottogruppi di pazienti o sul singolo individuo o a ideare farmaci con dosaggi e formulazioni specifici per ciascun genere».
L’arte che aiuta a liberarsi dalle dipendenze
A ciascuno le proprie terapie: quelle create con sostanze “tangibili”, ma anche quelle generate assemblando pensieri ed emozioni, intenzioni e sogni. Necessarie, che non escono dagli stessi laboratori, ma hanno il medesimo bisogno di una gran dose di creatività per funzionare davvero. Attraverso l’arte, per esempio, come è successo a Malicia, una “graffiti artist” spagnola che nel 2018, in un quartiere di Barcellona, ha avviato laboratori artistici per un gruppo di donne che soffriva di abuso di droghe.

Malicia, nata nel 1984 a Barcellona, inizia a dipingere nel 2001 scegliendo di studiare arte e disegno per la vita. Le sue opere, prevalentemente graffiti, sono comparse in esibizioni di varie aree del mondo tra cui Corea del Sud, Seoul, Amsterdam e Parigi e altri luoghi. Ha scritto un libro sulla diversità di genere e la co-educazione, “Sentirxser”, assieme a Trans Locura, dedicandosi soprattutto alla realizzazione di materiali grafici per il progetto Euronpud, dedicato alla difesa degli interessi delle persone che fanno uso di droghe nell’Unione Europea. Organizza spesso laboratori scolastici su temi LGTBIQ+ e di educazione sessuale generale, per diverse fasce di età.
Visita il sito ufficiale Visita il profilo InstagramUn progetto legato a un programma di intervento più ampio, ma che non è stato “il tocco artistico aggiuntivo”, ma un elemento decisivo nel percorso delle persone coinvolte. Di tutte le persone coinvolte. «Ho generato uno spazio per lavorare sull’espressione di ciascuna delle loro esperienze, attraverso i graffiti: è diventato una valvola di sfogo», racconta. «Lavorare con l’arte in contesti profondamente dolorosi, soprattutto a causa dell’abbandono della società e oltre che delle violenze subite e della scarsa assistenza che ricevono, le ha fatte sentire ascoltate. Ha regalato loro momenti molto liberatori, di calma. Momenti che deviavano il loro pensiero dal consumare o farsi in qualche modo ancora del male».
Troppa e non opportuna la dose di sostanze chimiche, mai troppa la dose di creatività che, stavolta, odora di vernice e ha rivelato alle donne coinvolte «le proprie inespresse capacità e le tante opportunità che avevano ancora davanti» racconta Malicia, ancora emozionata dal ricordo di questa sua prima esperienza artistica-terapeutica-sociale. Un’esperienza che l’ha anche personalmente arricchita, come donna, «mostrandomi che avevamo molte più cose in comune di quanto avessi immaginato, insegnandomi molte cose che non avevo elaborato da molto tempo». E come artista, «facendomi rendere conto del forte legame delle mie attività con la politica e il sociale».
«Desidero diventi un’arma per denunciare e combattere le disuguaglianze che non si vogliono mostrare e vedere».
La vita oltre lo stigma
Quello del 2018, il primo di tanti, resta per Malicia «uno dei lavori più emozionanti e costruttivi della mia vita, in cui ho imparato di più e in cui ho potuto entrare in empatia con molte realtà», racconta. Ne sono seguiti molti altri, soprattutto in collaborazione con il programma europeo Euron Pud3 e un gruppo di attivisti per i diritti delle persone che fanno uso di droghe.
«Abbiamo realizzato manifestazioni e campagne per rappresentarle, per chiarire che esistono droghe legali e illegali, per combattere lo stigma, la condanna e la persecuzione», spiega. «In particolare, ho lavorato sull’uso del naloxone, usato anche per prevenire le emorragie, e in generale sull’uso sicuro dei farmaci per ridurre i danni». Avendo carta bianca e creatività per rappresentare persone e sostanze, Malicia si è resa presto conto di come i disegni possano stigmatizzare entrambe. «È stato sfidante per me, ma mi è piaciuto molto: è stata una crescita di consapevolezza enorme e man mano mi sono sentita sempre più a mio agio», ammette.
«Ho definitivamente deciso che la mia arte deve essere critica, e non lasciare indifferenti le persone. Voglio sia un’arma per combattere tutte le disuguaglianze e le iniquità, anche nell’ambito della salute».
- Un approfondimento sulle Terapie CAR(T) dell’Agenzia del Farmaco: https://www.aifa.gov.it/documents/20142/0/Terapie_CAR-T.pdf ↩︎
- Uno studio sul futuro dei coniugati anticorpo-farmaco: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39272947/ ↩︎
- A cosa serve e come procede il progetto dedicato al supporto di chi fa abuso di droghe realizzato dall’Unione Europea: https://www.euronpud.net/ ↩︎