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Intervista

Gli odori del deserto

Olfatto e presenza nelle opere d'arte di Karola Braga

Josephine Condemi
una storia scritta da
Josephine Condemi
 
 
Gli odori del deserto

Annusare un’opera d’arte: da quasi un decennio Karola Braga sperimenta percorsi olfattivi per chi fruisce delle sue opere. Di ritorno dal deserto di Alula, in Arabia Saudita, l’abbiamo incontrata

Sabbia, roccia, cammelli, cani. Salvia, vischio, spezie, petrichor. Sudore, incenso, urina, rosa, oli volatili profumati. Il deserto è tanti odori, emanati dagli esseri viventi e non viventi che lo compongono. Odori che il vento trascina e mescola a propria volta per chilometri. Odori che a noi esseri umani arrivano direttamente al sistema limbico, la parte del cervello più antica e legata al soddisfacimento dei bisogni primari: mangiare, evitare i pericoli, riprodursi. Potenti e fugaci, gli odori ci fanno immergere in un’atmosfera e poi scompaiono, segnando il confine tra passato, presente e futuro. E se diventassero parte di un’opera d’arte?

Karola Braga lavora da un decennio su questo tipo di sperimentazioni olfattive: per Desert X AiUla 20241, la rassegna di land art che si svolge dal 2020 nel deserto dell’Arabia Saudita, ha realizzato Sfumato, un’opera che ripropone il legame dell’area con l’antica via dell’incenso. 

Karola Braga (1988) è un’artista e ricercatrice olfattiva brasiliana. Dopo un biennio di Studio Arts Intensive alla National Academy School of Fine Arts di New York si è laureata in “Poetica Visiva” all’Università di San Paolo (ECA/USP) e specializzata in “Belle Arti” alla Fondazione Armando Alvares Penteado (FAAP). Lavora sulla sfera olfattiva come via d’accesso alle emozioni e alle storie e sul rapporto tra olfatto e presenza/assenza e memoria/schema. Ha esposto in Arabia Saudita, Brasile, Francia, Iran, Svizzera. Ha fatto parte del programma di residenza della Cité Internationale des Arts di Parigi (2017) e della Residenza Kooshk di Teheran (2018). Ha vinto il Kooshk Artist Residency Award (2018) ed è stata finalista ai premi CIFO Grants & Commissions Program (2020, Miami) e “Bloom Weihenstephaner” (2019, Colonia), “Sadakichi Award” (2023, Los Angeles).

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Come si è avvicinata alla sperimentazione olfattiva?

Sono sempre stata molto appassionata al mondo degli odori, ma l’inizio della sperimentazione artistica è dovuta a un episodio personale: quasi dieci anni fa ormai, mentre studiavo alla Fondazione Armando Alvares Penteado mi ero innamorata di una persona che viveva a New York. E mi chiedevo sempre: come posso rendermi presente lì, anche se non ci sono? Come posso evocare la mia presenza senza risultare eccessiva, invadente? All’epoca usavo un profumo molto particolare e sapevo che le persone mi collegavano a quell’odore: così ho deciso di inviare una lettera a questa persona a New York con il mio profumo. In quel periodo stavo facendo la mia tesi di laurea e il mio tutor mi incoraggiò a riflettere sul rapporto tra odore e presenza, tra odore e memoria. 

Il titolo del lavoro di tesi è stato?

Make me present, in inglese, con un doppio significato: “rendimi presente” nella tua memoria attraverso l’odore ma anche “rendimi un dono”, se traduciamo “present” con “regalo”.

L’installazione era un nebulizzatore che diffondeva l’odore nella stanza, e dopo questa esperienza ho capito che le persone non sono abituate a pensare all’olfatto in un contesto artistico: da allora ho sempre lasciato degli indizi per far capire che l’odore fa parte dell’opera d’arte.

Se ci pensiamo, in un museo di arte contemporanea qualsiasi elemento visivo può essere associato ad un’opera d’arte: lo stesso vale per l’udito, ma non per l’odore. Allo stesso tempo, l’elemento visivo serve a far viaggiare l’opera: stiamo facendo questa intervista perché in redazione avete visto le immagini da Internet, giusto? Ma non sapete di quali odori stiamo parlando. 

Uno dei suoi primi lavori è Deve haver um poema que fale sobre nós2 in cui delle piastrelle profumate e incise con caratteri ispirati alla scrittura cuneiforme raccontano una storia d’amore tra due donne. A seguire, in pandemia, A vida não é um mar de rosas3 è stata costruita attraverso una distesa di rose di gesso profumate e la frase “Mi dispiace per questo”. Le scritte servono anche a dare una cornice di significato alle opere? Perché l’odore è anche culturale, per un popolo vuol dire qualcosa, per un altro qualcos’altro…

È così: ad esempio quando sono andata in Iran, ed è stata la mia prima volta in Medio Oriente, ho scoperto quando sia diverso il significato che attribuiamo al profumo di rosa. In Occidente lo associamo a un odore delicato, che a propria volta rimanda alla bellezza femminile. Lì invece si riferisce al profeta Maometto, ha un significato sacrale e spesso riempie le moschee, frequentate dagli uomini. Il risultato, quando ero lì, è stato che le persone mi chiedevano perché avessi il profumo di un uomo!

Ciascun odore può rappresentare qualcosa di diverso per ogni cultura ma anche per ogni persona, a seconda delle esperienze che ha vissuto e dei ricordi che possiede: in questo senso, ciascuna opera è molto aperta a diverse letture. Gli indizi sono sul significato che un odore ha per me, ma a te può portare altrove: un odore che per me può essere semplicemente di mandarino, a te può ricordare l’infanzia. L’odore del Carnevale per noi in Brasile ha un significato, se presento la stessa opera in Italia ne avrà uno diverso. 

A proposito dell’opera Lembranças de um baile de carnaval 4: perché ha selezionato otto diversi odori e come ha fatto a non farli mescolare, se sono tutti nella stessa stanza?

È sempre una sfida. Ho riflettuto sul fatto che quando si arriva in un posto, si sente l’atmosfera piena degli odori delle attività che si svolgono lì. In questo caso, ho pensato all’interno di un locale durante i balli di Carnevale all’inizio del ventesimo secolo, in cui la gente poteva fumare sigarette, puzzare di urina, bere liquori o inalare alcol etilico (una droga che veniva chiamata ‘Lança-perfume’), e in cui gli odori erano dovuti, ieri come oggi, anche ai vestiti e ai corpi delle persone.

Ho messo differenti composizioni di alcuni questi odori in bottiglie di ceramica, e ogni bottiglia si riferisce all’odore di un personaggio diverso del carnevale. Come se tu entrassi in una stanza, avvertissi l’odore dell’intero locale ma poi ti avvicinassi a ciascun corpo/bottiglia. In questo modo chi visita è invitato a percorrere diverse tappe di un viaggio olfattivo.   

Mentre nel deserto, come ha fatto a lavorare all’aperto? E perché ha chiamato l’opera Sfumato?

AlUla, in Arabia Saudita, era una tappa della via dell’incenso: a DesertX AlUla ho voluto ricreare l’odore del commercio dell’incenso. Quando ho pensato al titolo dell’opera, volevo portare qualcosa che facesse parte della storia dell’arte nel regno dei profumi: la parola sfumato richiama il fumo dell’incenso ma è anche una tecnica pittorica in cui i colori si fondono, così come l’odore si fonde con l’atmosfera. In questo senso, è come se avessi fatto un dipinto con questo odore. Quando Marcelo Dantas, uno delle due persone curatrici di DesertX AlUla, mi ha raccontato a Los Angeles il tema 2024 della rassegna, In the Presence of Absence, ho riconosciuto il percorso della mia ricerca. Gli ho chiesto: ‘Fammi profumare il deserto’. Giustamente mi ha risposto: ‘Hai idea della scala di dimensioni di cui parliamo? Ma se ci riesci, per me va bene’. Dopo dieci giorni ero in Arabia Saudita a fare il primo sopralluogo. 

Le rifaccio la stessa domanda: di che scala parliamo?

L’area totale di lavoro era di circa 462 metri quadrati. Quando ero lì ho pensato che fosse davvero impegnativo, perché all’aperto è ancora più difficile provare a controllare l’odore.  Ricreare l’odore della via dell’incenso non è stato difficile, anche se ho fatto 11.000 prove in Brasile. La parte più complicata è stata rendere l’odore protagonista, facendo “scomparire” la struttura enorme che serviva per bruciarlo. Ho usato le dune di sabbia per far sì che si fondesse in modo uniforme con il paesaggio. 

Quindi la fonte dell’odore era un unico punto…

Sì, il tetto dorato della struttura dentro la duna di sabbia. Tutti i test in Brasile hanno funzionato ed ero molto convinta che sarebbe andato tutto bene. In realtà, quando sono arrivata lì a fare le prime prove, i test non hanno funzionato subito a causa del forte vento. Allora ho capito che non dovevo combattere la natura, ma lavorare con la natura: ho studiato le direzioni dei venti e sono diventati i veri ambasciatori dell’opera, trasportando l’odore dell’incenso per tutto il deserto. Le persone si chiedevano da dove venisse quell’odore, lo seguivano e arrivavano alla fonte. 

C’era anche un senso di sacro, in questo incenso che saliva verso il cielo?

Alla combustione degli aromi come l’incenso dobbiamo la parola pro-fumo, che significa “attraverso il fumo” proprio perché in tutte le culture è stato utilizzato per comunicare con le divinità, per preparare medicine…ma anche per profumarsi! In Arabia viene ancora usato per questo, con strumenti speciali che servono a nebulizzare il fumo di incenso sui capelli. 

Com’è stato l’impatto col deserto di Alula?

Ero già stata sia nel deserto iraniano che a Coachella, in California, ma in Arabia Saudita ho trovato un’energia quasi mistica, un confronto con la natura che non si può descrivere a parole e che riguarda davvero il tema della presenza e dell’assenza.  

E quindi dopo questa esperienza, il suo concetto di deserto è cambiato? In che senso?

Sì, è cambiato. In Brasile non abbiamo il deserto, solo un po’ di zone aride. Ero convinta che nel deserto non ci fosse natura, nel senso di esseri viventi. E invece ci sono animali, esattamente come una foresta: vedevo le loro impronte sulla sabbia ogni mattina, quando tornavo a controllare l’opera. E poi c’è questa idea di immensità, di esposizione all’infinito e alla vita, che non riesco a esprimere a parole ma è magica così come lo è vedere il tramonto, l’alba, i loro suoni.

Il deserto non è vuoto. È vasto, ma non è vuoto, direi anzi che è pieno di molte cose. Mi piace correre e ho corso anche nel deserto: finché ero nell’area del Desert X, piena di gente, non ho visto animali, ma quando mi sono spostata mi è capitato di incrociare un branco di cani selvatici e ho subito cominciato a camminare all’indietro, lentamente, fino a raggiungere altre persone, perché può essere davvero pericoloso. 

Ricorda qualcosa del deserto di notte?

Di notte l’opera veniva spenta ma il profumo dell’incenso continuava ad attirare gli animali. Sono contenta di aver fatto molte ricerche per garantire che l’incenso utilizzato fosse più naturale possibile, evitando qualsiasi danno agli animali e all’ambiente. L’intero progetto Desert X è stato pianificato meticolosamente con una forte enfasi sul rispetto e la conservazione della natura.

Le opere di Karola Braga “Sfumato “(Immagini 1 e 2), “Lembranças de um baile de carnaval” (3), “Deve haver um poema que fale sobre nós” (4) e “A vida não é um mar de rosas” (5). Tutti i diritti riservati. Riprodotte per cortesia dell’autrice.

Utilizza tecnologie particolari nel suo lavoro?

Per Sfumato ho utilizzato solo materie prime naturali, ma in altre opere per riprodurre sinteticamente gli odori mi avvalgo della tecnologia Headspace, che fa una specie di “fotografia olfattiva” di un fiore o di un oggetto. In pratica si tratta di una specie di campana di vetro che riesce a “catturare” la composizione molecolare dell’odore dell’oggetto che viene inserito dentro, in modo che al laboratorio sia possibile riprodurlo.  

Su cosa sta lavorando adesso?

La mia prossima mostra personale, a San Paolo, intitolata Inalaçao, è stata inizialmente ispirata al percorso dell’incenso, ma si è espansa per esplorare il concetto più ampio del viaggio del profumo, dall’inalazione alle complesse reazioni che gli aromi innescano nel corpo umano.

Lavoro molto con la ceramica e ho pensato di creare un percorso olfattivo inserendo delle resine grezze nelle fessure dei materiali, come se fossero delle linee di fuga. In Occidente siamo abituati al bastoncino d’incenso, ma in Oriente si usano resine messe a bruciare su un carboncino. Queste resine che ho portato dall’Arabia saranno la guida per queste “mappe” che sto ricreando con materiali diversi, tutti da annusare: cannella, spezie, bisogna andare “a naso” e fidarsi del proprio istinto. Siamo ancora capaci? Questa è la sfida.

  


  1. https://desertx.org/ ↩︎
  2. Trad. “Ci deve essere un poema che parla di noi” ↩︎
  3. Trad. “La vita non è un mare di rose” ↩︎
  4. Trad: “Ricordi di un ballo di Carnevale” ↩︎

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