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Il respiro del ghiaccio

Un documentario tra creatività e sopravvivenza

Alessandra Navazio
una storia scritta da
Alessandra Navazio
 
 
Il respiro del ghiaccio

Un dialogo con Tommaso Barbaro e Francesco Clerici, i registi che hanno raccontato lo Zanskar (India) attraverso gli ice stupa: ghiacciai artificiali creati per garantire acqua ai villaggi colpiti dal ritiro dei ghiacciai naturali. Un documentario che racconta una comunità che lotta contro la crisi climatica con ingegno e dignità, lasciando al respiro delle immagini la forza della narrazione.

Arrivare nello Zanskar, una valle nel nord dell’India, non è mai semplice. Undici ore di jeep da Leh, la capitale della regione del Ladakh, su strade sterrate, tra passi di montagna e vallate coperte di neve. A ogni curva il paesaggio si fa più essenziale: rocce nude, silenzi solidi, aria rarefatta che brucia nei polmoni. È qui, in questo deserto d’alta quota, che nascono gli ice stupa o stupa di ghiaccio, piramidi di ghiaccio alte fino a quaranta metri. Strutture che conservano milioni di litri d’acqua per mesi, rilasciandoli lentamente al momento della semina. Una tecnologia fragile e poetica insieme, che tiene in vita interi villaggi.

Per i registi di The Ice Builders (2024), Francesco Clerici e Tommaso Barbaro, questo scenario è diventato un set tanto affascinante quanto difficile. «Di giorno ci saranno stati tra zero e cinque gradi, di notte meno venti» racconta Barbaro. «Vuol dire batteria delle telecamere scariche, mani congelate, persino le auto che non partivano. Ogni giorno era una sfida, eppure era impossibile non lasciarsi catturare dalla bellezza di quelle architetture di ghiaccio».

Tommaso Barbaro è montatore del suono e sound designer in ambito cinematografico per produzioni presentate in diversi festival internazionali. Collabora con registi quali Soldini, Parenti, D’Anolfi, Venier, Marazzi, Testi, Diril, Lucini. Nel 2019 il documentario La scomparsa di mia madre, di Beniamino Barrese, di cui cura il montaggio del suono e il mix, è presentato in concorso internazionale al Sundance Film Festival. Nel 2020 riceve una nomination per Best Use of Sound & Music al Berlin Commercial per “Rumori”, di SÄMEN. Parallelamente al cinema, si occupa di sound design in campo pubblicitario. Dal 2016 al 2021 realizza “The Huddle”, il suo primo documentario da regista, distribuito su Amazon Prime UK e USA.

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Come e dove nascono gli ice stupa

Nel cuore dell’Himalaya, a oltre tremila metri di quota, il tempo dell’acqua non segue i bisogni dell’essere umano. I ghiacciai che per secoli hanno alimentato la valle dello Zanskar nel nord dell’India si stanno ritirando, fondendo troppo presto o troppo tardi rispetto al calendario agricolo. Per rispondere a questa crisi, le comunità locali hanno imparato a costruire piramidi di ghiaccio alte fino a quaranta metri: gli ice stupa. L’idea è nata dall’ingegnere e attivista Sonam Wangchuk e dal 2013 viene portata avanti grazie alla collaborazione tra comunità locali e realtà come Trentino for Tibet Odv. Il principio è semplice quanto ingegnoso: durante l’inverno, l’acqua dei torrenti viene convogliata attraverso tubi fino al fondovalle. La pressione naturale la spinge verso l’alto, dove fuoriesce da un ugello e si ghiaccia immediatamente, formando coni di ghiaccio. La loro forma piramidale riduce l’esposizione al sole e rallenta la fusione: così, quando in primavera i campi hanno più bisogno d’acqua, i ghiacci artificiali cominciano a sciogliersi a poco a poco, garantendo irrigazione e sopravvivenza.

L’idea del documentario che ne racconta la costruzione passo dopo passo e il legame profondo della comunità con il territorio, nasce da Andrea Zatta e dal progetto Ice Stupa Zanskar1. «Quando Fabio Saitto, il nostro produttore, ci ha parlato degli ice stupa, non li conoscevamo nemmeno» ricorda Clerici. «Ma la forma, così simile agli stupa buddhisti, ci ha fatto capire che non era solo ingegneria: c’era dentro una dimensione culturale, spirituale e simbolica. È lì che abbiamo capito che c’era un film».

Un film che ha preso forma seguendo il ritmo di giornate scandite dal gelo e dagli imprevisti. «Ci si svegliava presto», racconta Tommaso Barbaro «con tè salatissimo, pane, cipolle, ravioli e tortelli per colazione. Piatti che da noi mangeresti a pranzo ma lì li provavi già alle sette del mattino». Poi iniziava il lavoro con Lobzang, la guida protagonista del film, che ha condotto i due registi, nelle settimane di riprese, nei punti strategici della costruzione degli ice stupa: dove si recuperano i tubi, dove vengono trasportati e dove vengono assemblati.

«Francesco ed io ci dividevamo per seguire più da vicino tutto il gruppo», continua Barbaro. «La giornata, infatti, finiva presto e verso le quattro, quando l’ombra calava sulla vallata, arrivava un gelo insostenibile ed eravamo costretti a rientrare».

La valle dello Zanskar dove è ambientato il documentario The Ice Builders (2024). Tutti i diritti riservati. Riprodotta con il consenso dell’autore.

Lo Zanskar e l’“empatia silenziosa”

Se c’è un volto che è rimasto impresso nei ricordi dei due registi, è quello di uno dei costruttori, Dorjey. «Aveva questo volto da tartaruga bruciata dal sole. Non parlava quasi mai, ma possedeva una capacità empatica enorme», racconta Francesco Clerici. Un dettaglio apparentemente marginale ha creato fra loro una connessione inattesa: «Sono partito per le riprese, indossando i pantaloni di velluto di mio nonno, il capo più caldo che avevo. Una sera, Dorjey, incuriosito, ha chiesto a Lobzang da dove venissero. Quando ha saputo che appartenevano a mio nonno, e che io ero cresciuto con lui, si è creata un’immediata sintonia: anche lui stava crescendo sua nipote. Da quel momento mi ha invitato un paio di volte a bere il tè con lui. Non ci siamo mai detti una parola, ma stavamo lì, in silenzio, tra sorrisi e gesti».

«È stata una forma di empatia silenziosa e una simpatia reciproca fatta di sguardi più che di parole».

Questa stessa forma di comunicazione si è ripetuta più volte, in gesti semplici e quotidiani tra i registi e gli abitanti della valle. «Gli operai ci hanno visto tutti i giorni per due settimane», ricorda Tommaso Barbaro «inevitabilmente a un certo punto c’è stata un’interazione. Ricordo, in particolare, una festa di pensionamento di un abitante del villaggio: non conoscevamo nessuno, ma un uomo mi ha coinvolto perché stessi con loro a mangiare e a provare i piatti preparati. Senza chiedere nulla in cambio, semplicemente per il piacere di condividere. Era così: la stessa mamma di Lobzang che ci ha ospitati in casa insieme a tutta la famiglia durante le settimane delle riprese, era sempre impegnata tra cucina e faccende, eppure trovava il tempo di sorriderci e mostrarci come cuoceva il pane. Ne è sempre nata una comunicazione affettuosa, pur senza parole».

Francesco Clerici, laureato in Storia e Critica dell’Arte è documentarista autodidatta e docente universitario presso Università degli studi di Milano, Politecnico di Milano, IULM Milano, Raffles Milano, ETH di Zurigo e visiting professor all’Accademia di Architettura di Mendrisio. “Il Gesto delle Mani”, il suo primo documentario lungometraggio, è stato presentato al Festival del Cinema di Berlino 2015 nella sezione FORUM, dove ha vinto il premio della critica internazionale FIPRESCI. I suoi lavori sono stati presentati a festival in tutto il mondo (London Film Festival, Viennale, RIDM Montreal, Dok.fest, Leipzig, Berlinale, British Film Institute di Londra, Cineteca Mexicana di Città del Messico, Centro del cinema documentario di Mosca, Institute of Contemporary Arts di Londra, Barbican, MART di Rovereto). Nel 2018 la cineteca di Grenoble ha dedicato una retrospettiva al suo lavoro. Il suo ultimo lungo documentario “La paz del futuro” (diretto con Luca Previtali) è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022, mentre il cortometraggio sperimentale “Even Tide” ha vinto il premio speciale della giuria al festival del cinema di Torino 2023 e il corto “The Ice Builders” diretto con Tommaso Barbaro e girato sull’Himalaya è stato presentato al 72° Trento Film Festival 2024 da dove poi ha girato più di 40 festival vincendo 14 premi.

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Non è un caso che l’unica parola imparata dai registi sul posto sia stata Jullay: «quella che vuol dire tante cose diverse a seconda del contesto: bello, grazie, buono, come stai, va tutto bene», spiega Clerici. «Non è mai la parola in sé a definirne il senso, ma il gesto, lo sguardo o la situazione. Tutti capiscono cosa intendi davvero, senza bisogno di spiegazioni».

Il documentario The Ice Builders si nutre proprio di questa delicatezza: di gesti che valgono più delle parole e di uno scambio che non ha bisogno di spiegarsi. «Certo, alcuni – come Lobzang stesso o altre persone legate alle ONG locali – sono più abituati a parlare davanti alle telecamere e a discutere di cambiamento climatico. Ma la maggior parte degli abitanti», aggiunge Clerici «continuava semplicemente la propria vita: cucinare, costruire e lavorare. Per loro eravamo “il mondo esterno” che arrivava in casa loro e proprio per questo ci hanno accolti senza barriere, come a dire: “venite, vi mostriamo la nostra quotidianità”. Era un’apertura generosa, fatta più di gesti e presenza che di discorsi». Di respiri, della stessa aria rarefatta.

Quando il documentario diventa contemplazione

Gli stupa di ghiaccio non sono soltanto ingegneria idraulica: nella valle dello Zanskar la loro forma conica richiama immediatamente quella degli stupa buddhisti, monumenti architettonici a forma di cupola destinati a conservare sacre reliquie o a ricordare eventi memorabili della vita terrena del Buddha. «L’idea registica», spiega Francesco Clerici, «era proprio di non raccontarli come qualcosa di scollegato dal tessuto culturale locale, ma di inglobarli nei ritmi, nelle cadenze e nella sensorialità che appartiene a quel contesto. Non un oggetto alieno, come potrebbe esserlo un pannello solare, ma un elemento che nasce dalle forme, esigenze e lotta quotidiana degli abitanti della valle». Questa attenzione al patrimonio immateriale si riflette, non a caso, anche nello stile del film, sospeso e contemplativo, lontano dal documentario didascalico. «Sono abituato a lavori in cui le riflessioni emergono dalle immagini e non da qualcuno che le spiega», racconta Clerici.

«Qui abbiamo cercato di bilanciare una parte informativa, necessaria, con una parte più sensoriale, antropologica, fatta di suoni, di ritmi e di gesti. È molto più interessante, infatti, creare una finestra dentro cui lo spettatore possa proiettare e far emergere riflessioni personali».

«È la potenza del cinema: dare indizi, aprire spazi, far risuonare nello spettatore ciò che per lui è significativo. Non spiegare troppo, ma lasciare aperte tante possibilità di lettura».

The Ice Builders Zanskar locals 2024
Abitanti dello Zanskar dove è ambientato il documentario The Ice Builders (2024). Tutti i diritti riservati. Riprodotta con il consenso dell’autore.

Per questo, oltre alle riprese visive, Tommaso Barbaro ha registrato con un geofono, uno strumento nato come rilevatore sismico capace di catturare frequenze troppo basse per l’orecchio umano. «L’idea era dare voce al ghiacciaio», racconta Barbaro, restituendo non solo ciò che si vede, ma anche ciò che normalmente resta nascosto: la dimensione più intima e vitale di un paesaggio che vive di silenzi e di respiro. «Nello Zanskar l’acqua scorre sotto la neve, spesso non si vede ma con il geofono potevamo ascoltarla davvero, nel suo suono autentico» spiega Barbaro. «Così in due o tre scene è possibile sentire il ghiaccio accompagnato da un rumore sotterraneo, profondo, che è la voce stessa dell’acqua».

Resilienza, resistenza o sopravvivenza?

Un filo rosso che attraversa le proiezioni di The Ice Builders è la sorpresa del pubblico davanti a uno strumento tanto semplice quanto geniale. «In generale», racconta Tommaso Barbaro, «c’è sempre molta curiosità. Siamo andati perfino all’UNESCO2 a presentarlo, e ogni volta piovono domande. Forse perché gli ice stupa non sono solo un’invenzione tecnica: sono una risposta concreta a condizioni estreme e un atto quotidiano di sopravvivenza».

Non un film “sul cambiamento climatico”, dunque, ma un film che lo rende tangibile. «Quello che succede nello Zanskar è lo specchio amplificato delle conseguenze delle nostre scelte quotidiane in città.

Non sono due mondi separati: siamo tutti nello stesso pianeta», aggiunge Barbaro.

Lo stesso concetto è stato ribadito da Francesco Clerici: «Quello che mi ha colpito di più è che il film è stato apprezzato in contesti diversissimi. Dai glaciologi dell’UNESCO alle scuole elementari in Nevada, fino alla popolazione locale dello Zanskar. Tutti hanno colto lo stesso messaggio: non è un film colpevolizzante, ma propositivo. È un invito ad agire, a non limitarsi alla lamentela». Vivere settimane in un ambiente tanto fragile ha significato anche imparare dal modo in cui le comunità locali affrontano le difficoltà.

«Quello che colpisce», spiega Barbaro, «è la leggerezza con cui accettano le condizioni avverse. C’è quasi una grazia nell’affrontare la durezza quotidiana».

«Cercano soluzioni radicate e hanno un atteggiamento pragmatico: “c’è un problema quindi troviamo un modo per affrontarlo“, sembrano dire. Gli ice stupa nascono proprio da questo: non da un’ideologia astratta, ma dal bisogno concreto di sopravvivere in armonia con il paesaggio».

Come spiega Clerici: «Portare l’acqua con pompe a petrolio sarebbe stato più “logico” per noi occidentali, che tendiamo a lamentarci e a maledire l’imprevisto. Ma non sarebbe stato rispettoso né della natura né delle comunità, che si sarebbero ritrovate con meno risorse. Gli ice stupa sono anche questo: un atto politico che unisce sopravvivenza, resilienza e resistenza. Una comunità che sceglie di adattarsi senza distruggere l’equilibrio degli altri».

La sopravvivenza degli abitanti dello Zanskar si traduce in un resistere senza distruggere, un adattarsi senza spezzare il legame con la terra e con chi verrà dopo. È una forma di resilienza che trasforma il poco in qualcosa di vitale.

 

  1. Con il supporto di Trentino for Tibet Odv, Montura e la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Scopri di più: https://www.trentinofortibet.it/progetti-2/ice-stupa-zanskar/ ↩︎
  2. A Parigi in apertura del primo incontro per il 2025 International Year of Glaciers’ Preservation. ↩︎

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