
Cosa lega il simulacro di Elena allo specchio di Alice? Il ritratto di Dorian Gray allo Stargate? Dr. Jekyll e Mr. Hyde a Il Fu Mattia Pascal? Le commedie di Plauto al tuo avatar digitale? Viaggio all’interno del doppio, dove niente è come sembra
«La notizia della mia morte è stata un’esagerazione1» dirà il tuo avatar al tuo funerale. O forse no. In ogni caso, non sarai lì per stabilirlo. Dovresti preoccupartene? Ogni azione che compiamo online è tracciata, registrata, e da oltre trent’anni contribuisce a formare il nostro doppio digitale. Se riunissi l’insieme delle informazioni presenti nei tuoi diversi profili sulle piattaforme digitali, avresti una buona approssimazione delle tue abitudini, reti sociali, preferenze e, sempre di più, dei tuoi dati biometrici, ovvero delle informazioni che identificano il tuo corpo tra migliaia di altri presenti sul pianeta. Da oltre vent’anni2 si parla di digital twin, un gemello digitale che è un po’ la tua copia e un po’ la tua ombra. O forse no.
Dal 2019 (2020 in Italia) sulle piattaforme Meta puoi aggiungere la tua faccia al tuo alter ego “fumettoso”, ovvero puoi personalizzare il tuo avatar. Dallo scorso aprile (2024), sui visori di realtà mista Apple Vision Pro puoi invece condividere il tuo ologramma “realistico”, che si muove insieme a te in uno spazio digitale condiviso con altri utenti collegati nello stesso momento. Più miglioreranno i motori grafici e le infrastrutture di rete, più sarà possibile “dare corpo” 3D al tuo gemello. Ma anche senza “metterci la faccia” in tre dimensioni, le silhouette che abbiamo creato nelle diverse piattaforme costituiscono la versione più aggiornata della tensione tra ciò che vogliamo mostrare e ciò che resta. Una storia che ha radici lontane e che, ancora una volta, ci dice qualcosa di noi esseri umani.
Dal simulacro di Elena al ritratto di Dorian Gray
A Troia non andò la vera moglie di Menelao ma un «simulacro dotato di respiro»: su questa tesi, cantata nella Palinodia dal poeta della Magna Grecia Stesicoro un secolo prima, il drammaturgo greco Euripide incentrò la tragicommedia Elena, in cui, già dal prologo, è lei stessa a raccontare la propria versione della storia. Il dio Ermes aveva creato un «vuoto miraggio», fatto con «un pezzo di cielo», e lo aveva mandato sulla nave per Troia con Paride, nascondendo la vera Elena in Egitto: i Greci e i Troiani avevano quindi condotto la guerra per niente, avevano sofferto «per una nuvola», come dirà Menelao sul palco del teatro di Dioniso, nel 412 a.C., mentre fuori infuriava da anni la guerra del Peloponneso che vedeva contrapposte Sparta e Atene.
Platone sarebbe nato solo sedici anni dopo: il simulacro dell’Elena di Euripide è precedente sia al mito della caverna3, in cui il filosofo sistematizzò la superiorità del mondo “reale” delle idee su quello della materia, sia al mito dell’androgino4, in cui il desiderio erotico-amoroso venne spiegato come una “compensazione” da parte degli dei per avere diviso in due metà gli esseri umani originari, “doppi”, composti da una testa, due facce, otto arti e due organi sessuali, quindi tre generi (maschile, femminile e androgino). Da Platone in poi, il doppio sarà quindi sinonimo di ambiguità, che il discorso razionale sarà chiamato a rischiarare e “sezionare” alla luce delle Idee, per non confondere la vera realtà dei concetti con la falsa rappresentazione delle immagini.
Eppure, da secoli, il simulacro veniva usato per indicare quel che resta nell’oltre: sono simulacri le ombre che Ulisse incontra nell’Ade, come quella della madre che non riesce ad abbracciare5, in una scena che verrà ripetuta molti secoli dopo, nell’Eneide, tra Enea e il padre Anchise6. E saranno simulacri le immagini degli antenati (Imagines majorum) che i gentili romani, ovvero le persone non cristiane di lingua e cultura greca che vivevano a Roma, portavano in processione e indossavano durante i funerali, ciascuna con la maschera dell’antenato a cui somigliava di più.
«Come certi popoli credono che l’anima di un uomo sia nella sua ombra, così altri (o gli stessi) credono che sia nel suo riflesso nell’acqua o nello specchio», scriverà l’antropologo James Frazer ne Il ramo d’oro (1915).
Da qui, sottolinea lo stesso Frazer, potrebbe avere avuto origine il mito di Narciso7 che morì per aver visto il proprio riflesso nell’acqua. Da qui arriva l’usanza di coprire gli specchi o girarli verso il muro se muore qualcuno in casa, per il timore che chi è morto porti con sé l’anima delle persone che si trovano riflesse. Anche da qui arriva il timore di farsi ritrarre o fotografare, per evitare di farsi “catturare” l’anima. E non è un caso che il Doppelgänger, letteralmente “il doppio che passa”, il gemello maligno della tradizione popolare tedesca, non proietti ombre di sé né si rifletta negli specchi e nell’acqua: una caratteristica che lo avvicina ai vampiri del folklore est-europeo. Né vivi, né morti.
Se, nella cultura latina, il servo Sosia può incontrare per strada il proprio alter ego, impersonato dal dio Mercurio, in una commedia degli equivoci a lieto fine8, nella letteratura romantica dell’Ottocento europeo lo stesso incontro è presagio di tragedia: da William Wilson (1839) di Edgar Allan Poe a Il Sosia (1846) di Dostoevskij, da Dr. Jekyll e Mr. Hyde (1866) di Robert Louis Stevenson a L’Horla (1886-87) di Guy de Maupassant, interagire con il proprio alter ego, spesso persecutorio, può essere sintomo o causa di follia, ma, allo stesso tempo, cercare di uccidere il proprio doppio comporta sempre anche uccidere se stessi, le proprie parti socialmente o personalmente inaccettate o inaccettabili.
È questa l’interpretazione di Otto Rank, allievo di Freud, nel saggio Il doppio (1914): l’alter ego, il Doppelgänger che irrompe improvvisamente nella vita quotidiana, si configura come un ritorno del rimosso di chi lo vede e gli crede. Il tema del rapporto tra verità e rappresentazione, ovvero della vita come opera d’arte e dell’opera d’arte come specchio che mostra ciò che non vogliamo vedere, è al centro de Il ritratto di Dorian Gray (1890) di Oscar Wilde. Un romanzo in cui il simulacro, l’immagine, la rappresentazione, il ritratto è «più vero del vero9», cioè del corpo che vive ma non invecchia mai. Come una statua. O un sempiterno avatar dalla stessa medesima faccia.
Dallo specchio di Alice ai nostri avatar
Se anticamente l’anima era riflessa nello specchio, lo specchio di Dorian Gray, al contrario del suo ritratto, riflette un’immagine che non è “vera”, ma rispecchia i suoi desideri. «Specchio, specchio delle mie brame» invocava la regina di Biancaneve dei fratelli Grimm (1812) per avere la conferma di essere la più bella del reame.
Alice torna nel paese delle Meraviglie Attraverso lo specchio (1871), al confine tra quello che è e quello che potrebbe essere. Mattia Pascal si guarda allo specchio prima, durante e dopo essere diventato Adriano Meis, e ogni volta lo specchio sembra rivelargli inquietanti dettagli che lo portano sempre “altrove” rispetto a dove si trova10. L’esteta Aleksej resta imprigionato in uno specchio mentre il suo doppio vaga per la città, finché, riuscito ad evadere, si accorge di non riuscire a riflettersi più nel vetro e di essere quindi diventato un «doppio del doppio»11. Atreju nella «Porta dello Specchio magico» non vede riflesso il proprio io ma quello del suo lettore, Bastiano, ne La storia infinita (1979) tra chi legge e chi è letto, il regno di Fantàsia e il mondo reale.
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Lo specchio come Stargate (1994) continua ad assumere la propria funzione nella saga di Matrix: se nel primo capitolo (1999) l’eletto Neo viene “risucchiato”, “smaterializzato” dallo specchio che segna l’uscita dal mondo simulato e l’entrata nel mondo reale, in Matrix Resurrection (2021) gli specchi sono varchi spazio-temporali. La saga delle sorelle Wackowski ha ritratto in forma cinematografica una delle paure più grandi alle soglie del Terzo Millennio: che il digitale, allora chiamato virtuale, sostituisse il mondo reale a scapito della libertà e della creatività degli individui, immobilizzati e costretti a servire da “pile viventi” alle macchine dominanti. Venti anni dopo, nel capitolo finale, Neo è uno sviluppatore di videogiochi: la logica del gaming12, delle soddisfazioni immediate, delle azioni rapide, dei livelli progressivi di apprendimento correlati a punteggi e competitività, è entrata in ogni aspetto della vita quotidiana ed è alla base del business model delle grandi piattaforme che governano il mercato di Internet.
Ed è proprio ai videogiochi che dobbiamo la rinascita del termine avatar: derivato della parola “avatara”, comparsa in India tra il III e II secolo a.C. nel testo sacro induista Bhagavadgītā, indicava la discesa del dio Visnù in forme diverse, per restaurare ordine cosmico. Un’incarnazione, totale o parziale, del divino nella materia, che già dai primi romanzi francesi del 1900 è diventata simbolo di bodyswapping, i trasferimenti e gli scambi di anime nei corpi sbagliati o in ambienti extraterrestri. Ma è stato solo nel 1986, all’uscita del primo videogame multigiocatore, Habitat, che avatar è diventato «la reincarnazione digitale del giocatore», secondo l’espressione usata in quell’occasione dal produttore George Lucas. Una reincarnazione con carne fatta da bit, ovviamente: l’avatar digitale è smaterializzato, nei fatti è la rappresentazione grafica digitale di un corpo umano. Un avatar che ci assomiglia sempre più, a cui, attraverso l’elaborazione di algoritmi di Intelligenza Artificiale, riusciamo a dare già la nostra immagine, la nostra voce e talvolta anche i nostri movimenti.
Anche questo secolo si troverà quindi, sempre di più, a dover affrontare i propri Doppelgänger: riusciremo a guardarci allo specchio?
La storia di cui parla questo articolo è stata individuata utilizzando un tool di intelligenza artificiale, Asimov, sviluppato da ASC 27 appositamente per Mangrovia. Il tool ci ha aiutato a scoprire la storia, ma il resto del contenuto che leggi e vedi è il risultato di processi creativi e sensibilità umane, e non è in alcun modo generato dall’intelligenza artificiale. Ecco perché usiamo l’intelligenza Artificiale in redazione!
- Per approfondire, Oxford University Press. (2013, April 18). Misquotation: “Reports of my death have been greatly exaggerated.” Oxford Academic Tumblr. https://oupacademic.tumblr.com/post/48310773463/misquotation-reports-of-my-death-have-been ↩︎
- Per scoprire di più sui “digital twins”, Grieves, M. (2014) Digital twin: Manufacturing excellence through virtual factory replication. White paper ↩︎
- Per approfondire il mito, Platone (IV sec. a.C.), La Repubblica, libro VII, vv. 514 b – 520 a ↩︎
- Per approfondire il mito, Platone (IV sec. a.C.), Simposio, vv. 189 c 2-193 d 5 ↩︎
- Come si può leggere in Omero (IX sec.a.C.), Odissea, libro XI, vv. 150-224 ↩︎
- Per consultare il passo, Virgilio (29/19 a.C.), Eneide, libro VI, vv. 841-887 ↩︎
- Per approfondire il mito, Ovidio (2/8 d.c.), Metamorfosi, libro terzo, vv 339 – 509 ↩︎
- Per leggere di più, Plauto (III sec a.C.), Anfitrione ↩︎
- Tratto da Baudrillard, J. (1981), Simulacres et simulations, Paris: Galilée ↩︎
- Per immergersi nella storia di Mattia Pascal, Pirandello, L. (1904), Il fu Mattia Pascal, Roma: Nuova Antologia ↩︎
- Tratto da Čajanov, A. (2013), Lo specchio veneziano [1922], Roma: Elliot ↩︎
- Per approfondire la logica del gaming, Baricco, A. (2018). The game. Torino: Einaudi ↩︎