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Il doppio che illumina

La luce vive nella convivenza di diversità

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
Il doppio che illumina

La luce obbliga gli scienziati ad accettare la sua doppia natura, ispira gli artisti a sfruttarla per creare emozioni e insegna a tutte e tutti il valore della coesistenza

L’umanità si interroga sulla luce sin da quando ha visto le stelle, alzando gli occhi al cielo. Alcuni hanno trovato risposta nella poesia o nelle religioni, nella letteratura e in una delle arti, ma altri si sono intestarditi a voler capire la natura di questo fenomeno dal punto di vista anche scientifico. La nostra civiltà ha speso anni di studi per classificarlo, e poi ha scoperto di non poterlo fare, perlomeno non in modo univoco, perché la luce ha una natura doppia. È onda, ma anche materia.

Naturalmente e inevitabilmente doppia

«Come una moneta a due facce, la luce possiede tutte le caratteristiche di un’onda, come la frequenza, il colore, la lunghezza, ma anche quelle da materia. Infatti, è formata da quanti di luce detti fotoni che, proprio come gli elettroni e i protoni, rientrano nella grande famiglia delle particelle elementari con cui i fisici cercano di descrivere sia la materia e le forze che agiscono nell’universo». A cercare di spiegare la convivenza delle due diverse nature della luce è Giulia Fabriani, l’astrofisica italiana che a questo fenomeno ha appena dedicato un intero libro: Storia della luce (Il Saggiatore).

Giulia Fabriani è laureata in astrofisica alla Sapienza di Roma e docente di matematica e fisica nelle scuole superiori. Si occupa da diversi anni di giornalismo scientifico, scrivendo per testate fra cui Le Scienze e MIND. Collabora con associazioni di divulgazione scientifica dell’università di Tor Vergata di Roma e con centri di educazione alle tecnologie aerospaziali per cui cura eventi e contenuti editoriali. Nel 2024 è uscito il suo primo libro, “Storia della luce”, edito da Il Saggiatore.

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Per una scienziata come lei, la doppia natura della luce offre parecchi vantaggi: «Ci permette di studiarla sfruttando sia le sue caratteristiche da onda, rifacendoci a quelle sonore, che quelle da particella. A seconda di come si comporta di volta in volta, possiamo scegliere. Sembra incredibile, ma è tutto dimostrato da teorie ed esperimenti condotti con rigoroso metodo scientifico».

Due teorie, tanti esperimenti, una (doppia) verità

A scienziati e scienziate, soprattutto a chi si occupa di fisica, piace trovare sempre un perché e classificare i fenomeni in modo più possibile univoco. Non è stato quindi affatto facile accettare di non poterlo fare con un fenomeno così difficile da nascondere come la luce. Onda o corpuscolo?

Per diversi secoli le scoperte scientifiche a supporto dell’una o dell’altra teoria hanno fatto ping-pong. «Nella ricerca scientifica accade spesso. Anche con la teoria del Big Bang, prima delle prove osservative, la comunità scientifica era spaccata in due» ricorda Fabriani. «C’era chi riteneva l’universo eterno e immutabile, e chi credeva ci fosse stato un istante iniziale da cui tutto è partito. In questo caso, alla fine, le osservazioni cosmologiche hanno decretato la vittoria dei sostenitori del Big Bang. Con la luce le cose sono andate però diversamente: è stato uno dei pochissimi casi in cui la natura ha dato ragione ad entrambe le squadre, portando a un accordo finale tra due teorie».

Prima della resa alla doppia natura della luce, però, entrambe le “squadre” hanno effettuato numerosissimi esperimenti e regalato molte nuove scoperte attorno a questo fenomeno. Uno dei padri del metodo scientifico, Isaac Newton, era a favore dell’ipotesi corpuscolare: infatti, se puntiamo dei raggi di luce su un prisma e guardiamo come si scompongono in tutti i colori dell’arcobaleno, possiamo dedurre che la luce sia un flusso di corpuscoli. «La sua ipotesi spiega fenomeni fisici come la riflessione e rifrazione della luce, ma lascia irrisolti altri problemi» spiega Fabriani. «Uno è quello della fenditura: perché, quando un fascio luminoso attraversa una fenditura otteniamo un’immagine in cui luce e ombra compongono un disegno che a primo avviso è inaspettato? Si può spiegare solo ipotizzando che la luce sia un’onda».

Infatti, a fine 800, «Il fisico James Maxwell ha formulato le omonime equazioni, descrivendo la luce come un’onda elettromagnetica» spiega Fabriani. Ma, anche in questo caso, altri problemi restavano irrisolti. «Pochi decenni dopo» ricorda Fabriani «Albert Einstein ha scoperto l’effetto fotoelettrico, per cui ha vinto il Nobel nel 1921, dimostrando che quando una radiazione elettromagnetica colpisce una superficie metallica questa emette elettroni, perché la luce è composta da quanti di luce chiamati fotoni, quindi da particelle». Il doppio aspetto della luce e quindi della materia, ondulatorio e corpuscolare, sarà poi formalizzato dal fisico Louis De Broglie nell’equazione che porta il suo nome e per cui ha ricevuto il Nobel nel 1929.

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Prove di doppia natura evidenti e utili

Chi non ha familiarità con le equazioni, non è obbligato a crederci per fede: anche nella vita quotidiana ci sono incontestabili “prove” della doppia natura della luce. Ogni volta che appare scomposta in tutti i suoi colori, come nella copertina dell’album dei Pink Floyd The Dark side of the moon, si propende per la teoria corpuscolare. Allo stesso tempo, basta una semplice fenditura per cambiare idea e pensare alla luce come un’onda, ammirando la sua capacità di creare un’immagine in cui si alternano zone buie e illuminate.

«Trovo sempre affascinante la capacità di trasformazione di un raggio luminoso, che cambia aspetto semplicemente passando attraverso un foro» confessa Fabriani.

Senza nulla togliere allo stupore provocato dalla doppia natura della luce, questa sua condizione porta con sé anche dei vantaggi pratici. Fabriani fa l’esempio dell’effetto fotoelettrico, quello alla base delle omonime cellule (fotoelettriche) integrate in dispositivi di allarme o in cancelli a chiusura automatica. «Sono sistemi che sfruttano la natura particellare della luce, esattamente come i pannelli solari che, grazie all’effetto fotovoltaico, trasformano in energia elettrica quella solare dei raggi che li colpiscono», spiega. «Entrambi basano il loro funzionamento sull’interazione tra luce e materia».

L’arte di far luce con le ombre

Oltre che nella vita quotidiana, il concetto di doppio legato alla luce si trova anche nel mondo dell’arte. Alcuni artisti, per esempio, si sono cimentati nella rappresentazione della sua doppia natura, affrontandone gli aspetti scientifici. Nel suo libro, Fabriani cita Edmondo Bacci, un artista futurista che con le opere Albe e Avvenimenti l’ha colpita profondamente: «Riesce a immortalare sulla tela il sorgere della luce in una sorta di Big Bang artistico, rappresentato come un’esplosione luminosa di un bagliore iniziale» spiega.

Maysoon Masalha e Bassam Al-Selawi sono due artisti che creano sculture di ombre combinando tecniche moderne con la calligrafia araba tradizionale. Nati e cresciuti in Giordania, fino al 2012 hanno insegnato arte nelle scuole UNRWA per oltre 7 anni, anche con i rifugiati palestinesi, per poi trasferirsi negli Emirati Arabi Uniti. Hanno partecipato a eventi internazionali come la Beirut Art Fair, la Abu Dhabi Art Fair, i festival del Liwa Art Hub e, nel 2023, sono stati invitati per la seconda volta dalla Royal Commission for Jubail a organizzare una mostra di shadow art.

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Altri artisti invece si focalizzano sulla contrapposizione tra luce e ombra: tra quelli che l’hanno messa al centro delle proprie opere ci sono due scultori giordani, Maysoon Masalha e Bassam Al-Selawi.

«Abbiamo scoperto il potere trasformativo di luce e ombra nel plasmare sia la forma fisica che il significato di una scultura», spiegano. «Ci affascina la loro straordinaria capacità di trasformare l’ordinario in qualcosa di magico e intricato, facendo emergere contrasti e complessità che altrimenti rimarrebbero invisibili».

Le loro opere invitano a bilanciare ciò che si vede e ciò che non si vede, il fisico e l’astratto, suggerendo che “ogni cosa ha un lato nascosto”. Esplorando i temi più vari e le tante possibili connessioni umane, tra cultura e spiritualità, emozioni e patrimonio, Masalha e Al-Selawi vogliono «incoraggiare le persone a guardare le cose da una nuova prospettiva e a riflettere su quei livelli della vita che spesso passano inosservati».

Sculture di ombre realizzate da Maysoon Masalha e Bassam Al-Selawi. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso di autori e autrici.

Imparare a coesistere come luci e ombre

Una particolarità delle creazioni che questa coppia di artisti presenta è l’identità propria che riconoscono all’ombra, come ombra, non solo come sottoprodotto della luce. È essenziale per poter attraversare il concetto di doppio che tanto meraviglia nell’osservarle. «Luce e ombra sono entrambe elementi attivi e costruttivi che rimodellano la realtà e aggiungono nuovi strati di significato».

In un certo senso, l’ombra diventa una nuova dimensione per le sculture 3D che creiamo e offre una nuova prospettiva che va oltre la forma fisica.

Oltre all’estetica di ogni scultura, infatti, c’è un doppio contenuto intangibile composto dal loro patrimonio culturale antico e dalla spinta alla modernità che incarnano. «L’arte tradizionale è un’enorme fonte di ispirazione, ne traiamo elementi per esprimere messaggi sull’identità e sulla spiritualità, mettendo in evidenza le parti autentiche della nostra cultura ma mostrando anche come esse possano coesistere armoniosamente con la modernità».

Coesistere. L’arte del fare arte con luci e ombre, o con la doppia natura della luce, senza l’obbligo di scegliere quale è meglio o ha più diritti, porta con sé un profondo messaggio di cui l’umanità ha fortemente bisogno: i due artisti lo hanno percepito in modo particolarmente potente durante la loro esperienza di insegnamento a giovani rifugiati palestinesi in Giordania. «Li abbiamo aiutati a realizzare progetti artistici che permettessero loro di esprimere i propri sentimenti e la propria identità attraverso l’arte, un canale in cui trovano spazio emozioni e storie che le parole da sole non possono catturare» raccontano. «Lavorare con loro ci ha spinto a esplorare modi più umani e socialmente consapevoli di comunicare attraverso l’arte e la sua profonda capacità di mettere in contatto le persone, trasmettendo messaggi significativi soprattutto in circostanze difficili».

Le opere di Masalha e Al-Selawi tendono a suscitare molta contemplazione: «Le persone si dicono stupite dal modo in cui il significato si sposta tra luce e ombra, e sono spinte a vedere il mondo da prospettive diverse», raccontano. «Ci siamo accorti che il nostro lavoro solleva domande sulla realtà e sull’apparenza, indipendentemente dal background di chi le guarda».

E indipendentemente dalle tecnologie con cui sono state realizzate. Aperti all’uso di qualsiasi strumento, moderno o tradizionale, che li aiuti a esprimere la propria visione, questi due artisti infatti sperimentano volentieri nuove tecnologie per migliorare il messaggio e l’impatto emotivo provocato. «Che si tratti di progressi nell’illuminazione, nei materiali o negli strumenti digitali, le innovazioni tecnologiche ci hanno spesso aperto a nuove dimensioni di creazione», raccontano. «Quelle nell’illuminazione ci hanno reso più precisi nel modo in cui luce e ombra interagiscono nelle sculture, gli strumenti digitali supportano la progettazione, permettendoci di sperimentare e mettere a punto le idee prima di realizzarle. Si tratta per noi di utilizzare tutto ciò che può elevare la nostra arte e aiutarci a connetterci più profondamente con le persone. La tecnologia è solo uno dei modi in cui possiamo continuare a crescere e trovare nuovi modi per raccontare le nostre storie, ma è sempre al servizio dell’arte stessa».

Come nella scienza, anche nell’arte la luce ci suggerisce di optare la coesistenza, che non significa solo accettare il doppio, e l’altro, ma anche saperne riconoscere il valore e la capacità di regalare innovazione, conoscenze, emozioni.

 

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