Quando l’arte diventa educazione alimentare
Il progetto pilota che mette al centro l’infanzia
Un progetto pilota ribalta l’educazione alimentare: invece di lezioni sulla biodiversità, giovani studenti la dipingono su tela. Con I colori raccontano storie® per Nutrire la Biodiversità, l’arte a Milano diventa strumento scientifico per formare ambasciatori consapevoli, capaci di portare nelle famiglie scelte più sane e sostenibili.
Delle 6000 specie vegetali coltivate nella storia dell’umanità, solo nove rappresentano oggi il 66% della produzione agricola globale1. La biodiversità alimentare si sta riducendo a un ritmo allarmante, e la qualità della nostra alimentazione anche. Mentre tanti scienziati lanciano allarmi e pubblicano studi accademici, c’è chi ha scelto una strada diversa per denunciarlo: tornare a scuola. Non per insegnare, né per imparare, ma per chiedere ai bambini di dipingere possibili soluzioni alla perdita di natura attualmente in corso a livello globale. Il progetto si chiama I colori raccontano storie® per Nutrire la Biodiversità e lo ha ideato da Cristina Ciusa, esperta di comunicazione etica e biodiversità2.
Cristina Ciusa, laureata in filosofia scrive di cultura, economia, marketing, cucina e crea modelli di divulgazione scientifica. Ha un’esperienza multidisciplinare nella comunicazione e realizza concept creativi legati all’arte e alla biodiversità. Dalla trasformazione digitale a quella delle persone, sviluppa architetture formative, affiancando le aziende nel percorso di crescita etica e sostenibile. Crea progetti di arte contemporanea e attualmente è borsista di ricerca presso il Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica del Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense dell’Università di Pavia.
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È iniziato a novembre 2025, coinvolgendo ottanta bambini della Scuola Elementare di via Bergognone a Milano3. Eleggendoli ambasciatori della biodiversità a tavola, Ciusa li ha incoraggiati a esplorare concetti come “ecosistema”, “microbiota intestinale” e “Planetary Health Diet”4 attraverso l’arte e la tecnologia. Il risultato? Una tela di 8 metri dipinta a 160 mani, un manifesto collettivo sospeso tra gli alberi di un cortile metropolitano, e tante risposte alla domanda che ossessiona nutrizionisti e policy maker: che relazione c’è tra quello che mettiamo nel piatto, la salute delle città e la sopravvivenza degli ecosistemi?
Una grande opera collettiva
L’iniziativa lanciata a Milano parte da una premessa radicale: gli studenti e le studentesse più giovani sono portatori di una saggezza istintiva che può arricchire il sapere scientifico. Come spiega Ciusa:
«L’arte contemporanea ha il privilegio di tradurre un concetto complesso attraverso la semplicità di un segno, che diventa poi forma e sostanza».
I colori raccontano storie® per Nutrire la Biodiversità, non a caso, si pone l’obiettivo di trasformarli in artisti per un giorno: sentendosi investiti della responsabilità di esprimere liberamente le loro idee, gli alunni e le alunne della scuola primaria riescono a restituire i perché delle proprie abitudini alimentari e a riflettere su come l’aggiunta di varietà al proprio piatto si possa tradurre in benefici sia in termini di salute umana, ma soprattutto di quella ambientale.
Pur inserendosi nel contesto scientifico del National Biodiversity Future Center5, primo centro nazionale italiano interamente dedicato alla biodiversità, il progetto volutamente deraglia dai binari della convenzionale ricerca accademica e segue una strada alternativa. Ad ammetterlo con fierezza è Rachele De Giuseppe, ricercatrice in Scienza dell’Alimentazione.
Rachele De Giuseppe, ricercatrice presso l’Università di Pavia, dove opera nel Laboratorio di Dietetica e Nutrizione Clinica del Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense. Laureata in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Milano, ha conseguito nello stesso Ateneo il dottorato di ricerca in Biochimica e la specializzazione in Scienza dell’Alimentazione. La sua expertise in progetti di ricerca nazionali e internazionali integra la dietetica, la nutrizione clinica e la Lifestyle Medicine, con un approccio life- course alla promozione della salute e alla prevenzione delle malattie non trasmissibili tra cui l’obesità e le patologie cardiometaboliche. Il suo lavoro si concentra sullo studio della malnutrizione in tutte le sue forme come determinante modificabile del rischio e del carico di malattia.
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Muovendo da un interrogativo concreto – «quale legame intercorre tra ciò che poniamo nel piatto, la biodiversità e la salute di chi abita le città?» – si intende tradurre in esperienza condivisa nozioni complesse come ecosistemi, esposizione ambientale e patologie croniche non trasmissibili e non è certo fortuito che l’istituto capofila, l’Istituto comprensivo via Moisé Loria, sorga nel cuore di un contesto metropolitano. Vari studi dimostrano che le città stanno diventando sempre più epicentri di crisi sanitarie6 legate all’alimentazione: obesità infantile, malattie croniche, perdita di cultura alimentare nelle comunità multiculturali. E Milano può diventare una sorta di “laboratorio urbano”: in quanto firmataria del Milan Urban Food Policy Pact7, attraverso questo nuovo progetto ambisce a farsi modello di convivenza tra tradizioni alimentari di ogni continente. Intervenire ora, con strumenti innovativi come I colori raccontano storie® per Nutrire la Biodiversità, significa costruire una generazione in grado di maturare scelte alimentari consapevoli prima che le abitudini si cristallizzino. Ecco perché rivolgersi agli alunni della scuola primaria via Bergogna risponde a un’esigenza formativa: non è mai troppo tardi, ma è sempre meglio iniziare presto.
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Una scienza a colori
Tra pennelli e pennarelli colorati, in un’atmosfera libera e spontanea, gli organizzatori hanno nascosto contenuti scientifici rigorosi. Tre i messaggi fondamentali che svela De Giuseppe: «Il primo riguarda la biodiversità nel piatto: non esiste salute senza varietà alimentare. Una dieta che include molti tipi di cereali, legumi, frutta e verdura, specie locali e varietà dimenticate sostiene il microbiota intestinale, riduce il rischio di malattie croniche e protegge la biodiversità agricola. Il secondo asse collega cibo, ambiente e salute urbana: le scelte alimentari quotidiane in una città come Milano incidono su inquinamento, uso del suolo e sprechi. Il progetto aiuta i bambini e le bambine a collegare il cibo al suolo, all’acqua, agli insetti impollinatori, agli alberi del cortile della scuola».
«Il terzo pilastro è la food literacy8, sviluppare competenze per leggere il cibo, riconoscerne l’origine, la stagionalità e il grado di trasformazione consente di scegliere in modo critico non solo ciò che è sano ma anche ciò che è equo e sostenibile».
Tre fili conduttori di pari rilievo, destinati a reggere alle tensioni del presente e alle pressioni rivolte alla conoscenza scientifica, solo se mantenuti saldamente intrecciati, ora e poi. Quest’ultimo aspetto assume infatti particolare peso, se si considera come, su scala globale, la comunità scientifica sia sempre più oggetto di attacchi e delegittimazioni da parte di chi percepisce minacciata la propria posizione dalle verità che emergono dalla ricerca. Ecco, quindi, che la scelta di coinvolgere bambini tra i 9 e i 10 anni è una mossa strategica per seminare nuove generazioni più science-based. De Giuseppe definisce questa età «una finestra delicata e strategica» perché si hanno già buone capacità di ragionamento astratto, si iniziano a fare scelte autonome fuori casa, ma si è ancora curiosi e disponibili a mettere in discussione le proprie abitudini. Le ricerche sulla food literacy9 indicano che la scuola primaria è il momento chiave per costruire non solo conoscenze, ma anche atteggiamenti e abilità pratiche che tendono a consolidarsi negli anni successivi. Chiamarli ambasciatori non è un espediente retorico: possono diventare moltiplicatori di consapevolezza, portando a casa i disegni, raccontando ai genitori perché hanno dipinto legumi accanto agli alberi, discutendo perché un piatto tutto beige è meno interessante di uno variopinto.
L’arte che scrive ricette
In che modo il progetto sovverte l’approccio educativo tradizionale? Lo fa accogliendo i bambini in uno spazio-atelier, dove sono liberi di osservare, toccare, miscelare colori e tradurre su tela ciò che per loro rappresentano il cibo, la natura e la città. L’arte si configura come strumento maieutico, subentrando alla tradizionale combinazione di spiegazioni ed esercizi, con modalità ben più incisive. È l’immaginazione che guida, ed è l’emozione a farsi veicolo conoscitivo: si riconosce ai bambini la libertà di interrogare e interrogarsi, con il coraggio di ammettere ciò che ancora non si conosce, senza bisogno di celarlo. Raccontando quanto fatto, Ciusa sottolinea come si sia plasmato «un modello cognitivo che stimola la conoscenza e la memorabilità, ponendosi dubbi e domande, che diventano poi colori co-creati su una grande tela. Una tela che racconta la diversità di ognuno». Rispetto a una lezione frontale, il linguaggio artistico offre vantaggi specifici. È multisensoriale: si dipinge, ci si muove, si negoziano spazi sulla tela condivisa e il corpo intero partecipa all’apprendimento. È emotivo e narrativo: ogni bambino porta nel disegno la propria storia alimentare, la cultura di origine, i piatti di famiglia, rendendo i messaggi più memorabili e inclusivi. È collettivo: l’opera finale è una creazione condivisa dove la biodiversità diventa anche varietà di sguardi, ricette e culture. De Giuseppe lo conferma con vigore: la letteratura scientifica10 da tempo attesta che gli interventi scolastici assumono la loro massima efficacia proprio quando sono multiformi, esperienziali e prolungati nel tempo — come quello che questo progetto ambisce a divenire. Progetti che combinano colori, arte visiva e messaggi nutrizionali mostrano un aumento della capacità dei bambini di riconoscere cibi salutari, diversificare il piatto e sviluppare un pensiero critico rispetto all’offerta alimentare. Data la ricchezza di background culturali che la scuola pilota ospita, inoltre, il pensiero critico cresce anche rispetto a un più ampio concetto di biodiversità culturale.
La tecnologia come megafono di una salute planetaria
In questo rivoluzionario esperimento artistico-culinario basato sulla scienza, il ruolo della tecnologia è deliberatamente discreto ma allo stesso tempo strategico. Come spiega Ciusa:
«È un elemento che non invade o non sovradetermina l’esperienza creativa e gnoseologica11, ma ne amplifica la diffusione e la capacità di generare consapevolezza sull’importanza e interdipendenza fra salute e ambiente».
Gli esperti la chiamano Planetary Health Diet, ma tutti la possono ammirare e coltivare facendo attenzione a quanto il benessere del pianeta sia collegato a quello di chi lo abita. Quando lo percepiscono i bambini, spesso accade che lo trasmettano alle famiglie e alle comunità urbane di riferimento, sollecitando stili di vita virtuosi, dal basso della loro altezza, dall’alto della loro fresca e potente voglia di vivere bene. In tutto ciò la tecnologia non può restare neutra, ma il suo compito è quello di facilitare comprensione e connessioni, non quello di sostituire o invadere spazi che arte e scienza occupano di diritto. È delicato e non banale capire come utilizzarla facendo in modo che resti al proprio posto, dialogando con entrambe ma senza alzare troppo la voce. Nella fase di documentazione e replicabilità può portare parecchi vantaggi, trasformando il progetto in un modello scalabile su tutto il territorio nazionale.
Quanto all’integrazione con Intelligenza Artificiale generativa, Ciusa per ora la definisce un’opzione in studio ma non è un elemento già costitutivo del progetto. Si osservano le relazioni possibili fra scienza, tecnologia, arte e immaginazione senza forzature. In un’era dominata dalla tecnologia, il gesto creativo pittorico dei bambini offre un contrappeso alla standardizzazione digitale. Questo peculiare equilibrio tra analogico e digitale rappresenta una scelta metodologica precisa. La tecnologia viene utilizzata per documentare l’esperienza, condividere i risultati con altre comunità scolastiche, costruire una rete di buone pratiche replicabili.
Ma l’esperienza centrale rimane fisica, corporea, relazionale. I bambini devono toccare i colori, negoziare movimenti, corpi e spazi sulla tela, confrontarsi con i compagni. Solo dopo questa esperienza incarnata la tecnologia può intervenire per amplificarne la portata, trasformando un evento locale in un modello di educazione alimentare. Per adesso nazionale, almeno.
- La perdita biodiversità in numeri: World Health Organization: WHO. (2025, February 18). Biodiversity. https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/biodiversity ↩︎
- Legame tra comunicazione etica e biodiversità: https://www2.ceris.cnr.it/bioetica/Etica_e_Biodiversita.html ↩︎
- La scuola di via Bergognone, per chi non la conoscesse: https://www.icsfmoiseloria.edu.it/pagine/scuola-primaria-via-bergognone ↩︎
- Planetary Health Diet: https://www.thelancet.com/commissions-do/EAT-2025) ↩︎
- National Biodiversity Future Center: https://www.nbfc.it/en ↩︎
- Per approfondire: Cacciatore, S., Mao, S., Nuñez, M. V., Massaro, C., Spadafora, L., Bernardi, M., Perone, F., Sabouret, P., Biondi-Zoccai, G., Banach, M., Calvani, R., Tosato, M., Marzetti, E., & Landi, F. (2025). Urban health inequities and healthy longevity: traditional and emerging risk factors across the cities and policy implications. Aging Clinical and Experimental Research, 37(1), 143. https://link.springer.com/article/10.1007/s40520-025-03052-1; Colozza, D., Wang, Y., & Avendano, M. (2023). Does urbanisation lead to unhealthy diets? Longitudinal evidence from Indonesia. Health & Place, 83, 103091. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1353829223001284 ↩︎
- Milan Urban Food Policy Pact, vai al sito ufficiale per saperne di più: https://www.milanurbanfoodpolicypact.org/ ↩︎
- La food literacy è la capacità di comprendere, valutare e usare le informazioni sul cibo in modo da compiere scelte alimentari sane, consapevoli e sostenibili. Cfr: Truman, E., Lane, D., & Elliott, C. (2017). Defining food literacy: A scoping review. Appetite, 116, 365–371. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28487244/ ↩︎
- Per le ricerche sulla Food literacy: Ahmadpour, M., Omidvar, N., Doustmohammadian, A., Rahimiforoushani, A., & Shakibazadeh, E. (2020). Children Food and Nutrition Literacy – a new challenge in daily health and life, The new solution: using intervention mapping model through a mixed methods protocol. Journal of Medicine and Life, 13(2), 175–182. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC7378349/ ; Ares, G., De Rosso, S., Mueller, C., Philippe, K., Pickard, A., Nicklaus, S., Van Kleef, E., & Varela, P. (2023). Development of food literacy in children and adolescents: implications for the design of strategies to promote healthier and more sustainable diets. Nutrition Reviews, 82(4), 536–552. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC10925906/ ↩︎
- Per approfondire: Hahnraths, M. T. H., Jansen, J. P. M., Winkens, B., & Van Schayck, O. C. P. (2022). The effects of a Multi-Component School-Based Nutrition Education intervention on children’s determinants of fruit and vegetable intake. Nutrients, 14(20), 4259. https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC9607228/ ; Van Cauwenberghe, E., Maes, L., Spittaels, H., Van Lenthe, F. J., Brug, J., Oppert, J., & De Bourdeaudhuij, I. (2010). Effectiveness of school-based interventions in Europe to promote healthy nutrition in children and adolescents: systematic review of published and ‘grey’ literature. British Journal of Nutrition, 103(6), 781–797. https://www.cambridge.org/core/journals/british-journal-of-nutrition/article/effectiveness-of-schoolbased-interventions-in-europe-to-promote-healthy-nutrition-in-children-and-adolescents-systematic-review-of-published-and-grey-literature/395946DD3390CC8E036DBBCEEA492A9B ↩︎
- Gnoseologia, definizione: https://www.garzantilinguistica.it/it/gnoseologia/689148e9d53226fa46077c26 ↩︎