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Tangerinn: il piacere di mostrare le radici

L’invito alla vulnerabilità del primo romanzo di Emanuela Anechoum

Alessandra Navazio
una storia scritta da
Alessandra Navazio
 
 
Tangerinn: il piacere di mostrare le radici

Ambientato tra Londra, la Calabria e il Marocco, il romanzo d’esordio di Emanuela Anechoum esplora la tensione tra il desiderio di piacere e l’autenticità, tra l’attaccamento alle proprie radici, doppie e ibride, e la ricerca di un futuro incerto, altrove. Attraverso una scrittura poetica e affilata, Tangerinn invita a riflettere sul piacere di mostrarsi vulnerabili e la possibilità di radicarsi attraverso i sensi

Quando pensiamo alle radici, le vediamo sempre sotto terra: intricate, profonde e con una distribuzione segreta che scorre sotto i nostri piedi. Eppure, esistono anche radici visibili ed esposte alle fatiche del mondo, in superficie: quelle dell’edera rampicante, delle orchidee o delle mangrovie. Sono radici che si mostrano per ciò che sono: vulnerabili.

Mina, la protagonista di Tangerinn (Edizioni E/O, 2024), il primo romanzo della scrittrice Emanuela Anechoum, le ha soffocate nel desiderio spasmodico di piacere. Non sa più cosa sia casa e, estranea anche a se stessa, rifiuta il proprio corpo nell’estremo tentativo di controllare ciò che la circonda.

Emanuela Anechoum è nata a Reggio Calabria nel 1991 e vive a Roma. Dopo gli studi ha iniziato a lavorare nel mondo dell’editoria a Londra, e successivamente si è trasferita in Italia. Ha scritto per “Vice”, “Doppiozero”, “Marvin Rivista”. Tangerinn (edizioni E/O, 2024) ha vinto il Premio Letterario Città di Lugnano (2024) ed è risultato finalista per premio Bancarella (2024), premio Rapallo BPER Banca (2024), premio Alassio Centolibri (2024) e premio John Fante Opera Prima (2024)

Il profumo di menta e spezie del piccolo paese calabrese, la sensualità dei luoghi della sua infanzia, la morte del proprio padre, Omar, saranno l’inizio di un percorso di disvelamento delle radici che non ha una fine, perlomeno non nel romanzo. Ma che continua nella mente di chi legge, a cui spetta rispondere ad un’ultima, radicale, domanda: che succede se mi espongo? Se mostro le mie radici al mondo?

L’intreccio delle radici di Mina

Sul tavolo rettangolare di vetro si staglia un rametto di petali, arancioni come i mandarini tangerini della copertina del libro che sta per essere presentato: questo l’omaggio di Irene Paganucci e Alfredo Marasti di Millimètrica APS1 alla scrittrice Emanuela Anechoum prima del dialogo al festival di arte contemporanea Giungla2.

Mentre fuori l’inverno nebbioso si impossessa di Lucca, lo spazio dentro la Casermetta San Regolo è intimo, familiare: perfetto per capire di più su quella generazione nomade e ibrida, nata tra gli anni ‘90 e i 2000, che si chiede costantemente che cosa sia “casa”3.

L’albero di mandarini tangerini4 della copertina è quello piantato da Omar, il padre di Mina, prima che lei nascesse, destinandola a un albero gemello, «acidognolo, un po’ sbilenco, ma carico di frutti e resiliente all’inverno» che, al contrario suo, sarebbe sempre rimasto ben radicato a terra, nel giardino di casa. Ma Tangerinn, Tangeri,è anche il nome del bar aperto da Omar come luogo di ritrovo per persone con la sua stessa storia alle spalle, per ricordarsi sempre la città portuale, crocevia culturale del Marocco, da dove era partito.

Mina è una ragazza sulla trentina che da diversi anni vive a Londra, dove si è trasferita per lavorare in un’agenzia letteraria. È cresciuta in un paesino della Calabria, non ben identificato ma molto isolato, e Londra è la città che spera possa trasformarla, liberandola da quel senso di inadeguatezza che prova nei confronti degli altri e del proprio corpo.

«Mi sono chiesta», ha raccontato Emanuela Anechoum durante la presentazione al Giungla Festival il 17 novembre scorso, «come si possa diventare se stessi quando i tuoi genitori non ti danno degli elementi chiari e definiti per capire chi sei e il luogo in cui nasci è abbandonato a se stesso».

Mina, infatti, sente di non appartenere a nulla: la madre soffre di depressione e il padre ha un passato che lei non comprende. Da un lato, c’è il Marocco che Mina conosce solo attraverso i racconti del padre; dall’altro, la Calabria con dinamiche sociali che percepisce spesso come oppressive.

La morte del padre la richiama “a casa”, dove finirà con il restare molto più a lungo del previsto alla ricerca della propria identità, ossessionata dal trovare risposte all’esterno di sé. L’amica londinese Liz, la sorella Aisha, la madre Berta, i ricordi del padre e il giovane Nazim che incontra al bar Tangerinn non fanno altro che offrirle degli esempi di vita con i quali confrontarsi. «Sono parti di lei» ha spiegato la scrittrice, «che Mina idealizza e incasella. Liz è quello che vorrebbe essere e che allo stesso tempo critica: un corpo magro che fa tutte le scelte socialmente giuste. La mamma Berta è la sua stessa fragilità, che Mina rifugge. Aisha è una donna musulmana che rappresenta l’alternativa di Mina: ovvero quel che sarebbe successo, se fosse rimasta a casa».

Foto dell’incontro con Emanuela Anechoum, scrittrice del romanzo “Tangerinn”, in occasione del festival Giungla di Lucca. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso di autori e autrici.

Nel romanzo nessun racconto di questi personaggi è però reale: la visione risulta sempre «inquinata», come l’ha definita Anechoum, «dalle descrizioni di Mina: sono sue le interpretazioni dei fatti e delle persone. Solo nei dialoghi, in quelli conflittuali che ha, ad esempio, con Aisha e Nazim, traspare l’autenticità dei personaggi». Mina fa loro resistenza perché non è abituata all’intimità di un rapporto profondo. «Questo, però, è l’unico modo» ha confessato la scrittrice «per creare un senso di casa: tessere dei legami così stretti da sentirsi radicati».

I sensi che ci radicano

«C’erano delle volte in cui le strade erano silenziose. Una notte incrociai una volpe, mi fissò e io fissai lei. Anche lei, come me, un’aliena nascosta in bella vista»5 afferma Mina all’inizio del romanzo. «Mi dicevo che avrei potuto continuare a perdermi e inventarmi per sempre, senza cercarmi mai davvero»6. Londra non l’ha trasformata come sperava: sin da subito, è chiaro che la superficialità dei suoi rapporti l’ha spinta a un punto di rottura dove il desiderio di piacere a quelli che si possono definire i suoi idolisi scontra con un bisogno di autenticità.

Il percorso di crescita che le fa intraprendere, allora, Anechoum è quello che passa attraverso i sensi, in particolare l’olfatto e il gusto, che la guidano ad entrare in contatto, sempre di più, con il suo vero sé e con chi la circonda, fino a rendersi presente a se stessa e prendersi ciò piace a lei e a lei soltanto: Nazim, ad esempio.

«Lo scambio del gusto, nel romanzo, precede qualsiasi rapporto: che sia familiare o d’amore» ci spiega Anechoum: dalle mandorle tostate che Nazim regala a Mina «di un profumo penetrante, legnoso e dolce»7per rivelarle con un semplice gesto che la desidera, all’henné di cui sanno le mani della nonna, sulle quali la piccola Mina si addormentava come fossero la sua tana. E, soprattutto, la menta che ritorna spesso tra le pagine, con quell’intenso profumo che «mi fece sentire radicata come un fungo: mimetizzata, invisibile, ma legata al suolo da migliaia di sottili radici, da ragnatele di ricordi»8. In Tangerinn l’uso delle spezie e il rituale del tè alla menta hanno un significato simbolico e pratico: quello di far provare il piacere dell’essere insieme e del costruire relazioni. È solo attraverso i sensi che Mina riesce a intrasentire un legame di appartenenza e a mettere da parte quel senso di vuoto che l’ha sempre caratterizzata. Soprattutto nei rituali che hanno a che fare con il cibo e con gli odori, Mina scopre le sue radici. «Cucinare è un atto di cura ma è anche un atto fisico, un modo alternativo di comunicare l’affetto» sottolinea Anechoum.

«Quando ci sono dei medium sensoriali, come le mandorle, la menta o le spezie, Mina riesce a mostrarsi con più facilità. È un piano più istintivo, che non necessita di razionalizzazione, che è il grande problema di Mina».

Il suo bisogno di piacere è un modo per coprirsi e per proteggersi mentre ciò che la avvicina agli altri sono i suoi sensi emotivi, in grado di riportarla indietro nel tempo e di mostrarsi nel legame con gli altri.

Anche Anechoum nel processo di scrittura ha utilizzato i ricordi delle sue stesse sensazioni corporee e fisiche di quando è stata in Marocco, da piccola, o di quando abitava a Reggio Calabria. «Più mi sentivo immersa nell’atmosfera, più riuscivo a dare corpo ai personaggi, a renderli vulnerabili» racconta. «Sentivo di essere circondata dai miei odori, dalle mie sensazioni, in una sorta di immaginazione fisica. Se chiudevo gli occhi immaginavo il calore, il sale sulla pelle, le mie cugine in Marocco che cucinavano. Da lì ampliavo questi piccoli ricordi, creando un filo che fosse sensuale e poetico. C’è qualcosa di molto misterioso e potente, infatti, in un profumo che ti risveglia un flashback».

Il piacere della vulnerabilità

I legami-radice di Mina si possono creare solo attraverso dei medium sensoriali e non attraverso il corpo stesso. «Il piacere del proprio corpo non arriva mai a un reale compimento, in realtà, per nessuno dei personaggi femminili del romanzo» confessa Anechoum «perché faccio fatica a immaginare, anche nella vita vera, una donna che non abbia questa tipologia di problema, soprattutto nella società piccolo-borghese di provincia. Questo non significa che il piacere femminile non sia raggiungibile o non esista ma c’è sempre un aspetto che ci mette a disagio e confesso che faccio fatica a trattare questo tema con toni neutri perché c’è tanta rabbia». Il viso di Anechoum si rabbuia per qualche minuto, spegnendo il sorriso fin qui disteso e un po’ imbarazzato: «le parti in cui ho descritto la vergogna di Mina nei confronti del proprio corpo sono state le più dolorose da scrivere» ci spiega. «Proprio perché ripensavo a determinate scene della mia adolescenza e dell’adolescenza delle persone a me care».

Il finale di Tangerinn è sospeso perché il processo per imparare a mostrare le proprie radici è lungo, richiede tempo. «E a volte la soluzione sta nell’indefinitezza» ha rivelato Anechoum «non volevo metterci un fiocchetto di risoluzione finale perché nella vita non è così». La grande conquista di Mina sono, in fondo, le azioni che compie man mano e che definiscono sempre di più i suoi desideri e il suo piacere di stare nel mondo.

Un piacere che significa anche affermare la propria presenza, in modo più deciso: nelle azioni finali «c’è molta più fisicità dell’inizio, si intravede una direzione e c’è molto più bisogno di contatto» spiega Anechoum. «Anche nell’ultima scena, che si compie in un non-luogo9, l’aeroporto, lei c’è perché decide di rispondere al telefono e mostrarsi».

Mina riacquista presenza nei luoghi che vive attraverso i sensi e nel farsi presente si espone come le radici di una mangrovia, rendendosi più vulnerabile, ma di questo non bisogna avere paura perché, conclude Emanuela Anechoum, «quella vulnerabilità è la costruzione di un’intimità con qualcuno. Non è un’esposizione al giudizio e richiede sempre reciprocità. Mina lo comprende, trovando il coraggio di fare le domande e di dire le cose dolorose. E, vedendo che la gente non scappa se ci si apre, inizia la propria guarigione».

 
  1. Per scoprire di più sull’Associazione Millimètrica: https://www.instagram.com/millimetrica_22/ ↩︎
  2. GIUNGLA è un festival di arte contemporanea attivo dal 2020 a Lucca, un’occasione unica di incontro e confronto sul rapporto tra umano, natura e tecnologia. Ogni edizione si concentra su una parola chiave, attraverso la quale artistǝ e ospiti provenienti da diverse discipline, esplorano nuove forme di produzione artistica e riflessione. ↩︎
  3. Per approfondire: Arianna Dagnino, (2023, 3 luglio). Una nuova generazione di nomadi: storia di chi non ha un lavoro stanziale. The Bottom Up. https://thebottomup.it/2023/07/03/nomadi-digitali-lavoro-precario/ ↩︎
  4. Il mandarino tangerino (Citrus × tangerina Yu.Tanaka, 1927) è un agrume della famiglia delle Rutacee, un ibrido del mandarino con l’arancio. ↩︎
  5. Tratto da Anechoum, E. (2024). Tangerinn. E/O Edizioni, pp. 44. ↩︎
  6. Ibidem. ↩︎
  7. Ibidem, pp. 162 ↩︎
  8. Ibidem, pp. 170. ↩︎
  9. Per approfondire il concetto di non-luogo, Augé M. (2024). Non luoghi, Elèuthera. ↩︎

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