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Sentirsi insieme, cogliere il vero sapore

Un catering dal mondo unisce ricette, persone e visioni

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
Sentirsi insieme, cogliere il vero sapore

Folivi Kokoevi cucina da sempre e tutto il giorno. Ha imparato in Togo, ha continuato a Milano dove coordina la cucina di un servizio di catering e ristorazione collettiva unico. Si chiama M’ama Food ed esiste perché la Cooperativa Farsi Prossimo ci ha creduto profondamente.

«Può capitare che qualcuno entri e non sia in vena di scherzare. A me piace farlo, ma ognuno è diverso. Se non è giornata, lo avverto subito e sto sulle mie. Non desidero che qui si litighi: siamo una squadra, bisogna mettersi nei panni dell’altro. E preparare i piatti per tempo». Oltre agli ingredienti, in cucina vanno mescolate anche le persone, soprattutto le persone, e Folivi Kokoevi sa fare bene entrambe le cose. È un suo talento naturale, ma lo allena ogni giorno nelle vesti di responsabile di una cucina situata nel cuore del quartiere Greco, a Milano. Il suo “stare sulle mie”, non è una porta chiusa ma uno sguardo aperto all’altro, pronto per superare una visione unilaterale e assaggiare il sapore del mondo. Non serve viaggiare per farlo: benvenuti a M’ama Food, il catering dal mondo.

M’ama food

Gli ingredienti principali delle ricette di questo catering dal mondo sono le persone provenienti da diversi paesi che lavorano fianco a fianco per prepararle. Offrono colazioni e coffee break, merende e aperitivi, pranzi e cene, con uno stile e sapori unici, autentici e tutti da gustare. Si vogliono distinguere per qualità e professionalità, continua ricerca di innovazione gastronomica, originalità, gusto e colore, tutto, condito dalla passione e dalla gioia del riscatto di persone che riaffermano sé stesse. La sede di M’ama Food è a Milano, nel quartiere Greco, in uno stabile adibito ad housing sociale dedicato a un progetto di inclusione tra persone che vivono situazioni di difficoltà e la comunità locale. La palazzina ospita infatti persone con diversi tipi di disagio e persone con disabilità.

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Noi siamo “dal mondo”

«Non scriva “etnico”, non vogliamo si definisca così. È diverso» mi precisa Rocco Festa di Farsi Prossimo, spiegando che nello stesso piatto loro mescolano tante tradizioni diverse, dando vita a nuovi sapori.

E che questo non è un dettaglio o un caso, né una scelta di comodo o un compromesso, ma la volontà di predisporre all’ascolto, sia in chi prepara il piatto, sia in chi lo assaggerà. Sfruttando il potere che ha il cibo di abbattere ogni barriera linguistica, questo progetto nasce 15 anni fa come esperimento del tutto estemporaneo in un Centro di accoglienza del comune di Milano dedicato alle donne rifugiate. Un laboratorio di cucina per favorire l’integrazione di donne in arrivo da tanti Paesi e con storie dolorose ma diverse tra loro: chi perseguitata, maltrattata o in fuga dai paesi in guerra. A unirle è stata l’idea di preparare e offrire i propri piatti tradizionali per una festa con oltre 70 persone. Il successo dell’evento si è trasformato, poi, in un progetto vero e proprio: strutturato e, chissà, forse un giorno anche economicamente sostenibile.

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Dall’esordio al quotidiano

«Per la maggior parte delle donne ospitate, abituate nei loro paesi d’origine a cucinare per grandi nuclei famigliari, il cibo si è rivelato la chiave giusta per riconquistare la propria dignità», racconta Festa.

«Il catering solidale ha offerto a tante di loro anche la capacità di formarsi e di creare nuovi legami, ma allo stesso tempo di coltivare la propria cultura attraverso i saperi con cui sono cresciute».

Tra l’entusiasmo tipico dei primi passi in cucina e l’attenzione che Milano sa dedicare alle novità del territorio, il primo anno di M’ama food è stato molto positivo. Il problema è stato dare continuità al progetto, dopo la prima fase. Conquistare il palato e il consenso anche al di fuori dalla cerchia dei “già convinti”.

Il primo passo è stato strutturare sia la cucina che la squadra che ci lavorava. Appena in tempo, si direbbe, visto poi il grande “boom” registrato in occasione di Expo 2015, svoltosi proprio nella stessa città. «Ci ha dato una spinta significativa, ma sapevamo di non poterci contare per molto tempo», spiega Festa. «Così ci siamo messi a tavolino per capire come rendere M’ama Food duraturo».

Farsi prossimo

Farsi Prossimo Onlus scs, fondata il 29 novembre 1993, è una cooperativa sociale promossa nell’ambito delle attività della Fondazione Caritas Ambrosiana con lo scopo di sviluppare e gestire servizi socio-educativi rivolti soprattutto a bambini, adolescenti, famiglie in difficoltà italiane e straniere, donne vittime di tratta e maltrattamento, persone in grave stato di emarginazione, rifugiati e richiedenti protezione internazionale. Progetta e gestisce servizi e centri socio educativi in Lombardia, sviluppando reti e relazioni sociali e territoriali, in collaborazione con enti pubblici, amministrazioni locali, università, fondazioni, associazioni e cooperative del territorio. Insieme a Caritas Ambrosiana ha promosso la creazione del Consorzio omonimo, di cui oggi fa parte con altre 11 cooperative. Perché solo insieme è possibile concretamente “Farsi Prossimo”.

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Esiste un profit che sa di buono

Che non fosse solo una questione di sistemare i conti, era chiaro. Trasformare un esperimento venuto bene e gestito con entusiasmo in un progetto in grado di stare in piedi da solo “a tempo indeterminato”, richiedeva un cambio drastico. Un superamento dell’impostazione iniziale, unicamente no profit, verso un approccio che prevedesse la presenza anche «dell’altro mondo: quello del profit».

Servivano non solo competenze di business ma anche persone che volessero sposare un progetto come M’ama food. E che M’ama Food volesse portare a bordo.

Dire sì a chi fa business, aprirgli la porta e lasciare che si sieda accanto per condurre il progetto assieme, non è stato un passo banale e nemmeno l’unico compiuto dalla cooperativa. Aprirsi alla ristorazione collettiva, un settore dove «la bellezza conta meno, ma si contano migliaia di piatti» come fa notare Kokoevi, durante il lockdown del Covid-19, si è rivelato vitale per lei e tutta la sua squadra.

Il permettersi di prendere in considerazione un nuovo ambito ha reso M’ama Food immune dalla pandemia e oggi tutto il suo team può guardare avanti. Sognare nuovi centri più grandi e nuovi piatti da sperimentare, meglio se con ingredienti sostenibili sia dal punto di vista ambientale che sociale.

Alcuni scatti di Roberto Morelli per M’ama Food. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso dell’autore.

Cucinare diversità

Un nuovo centro, in realtà, è già in arrivo. Festa racconta infatti che ne sta sorgendo uno sempre a Milano in sostituzione di uno degli esistenti. Permetterà di crescere collettivamente al progetto stesso, che finora ha consentito a tante persone di crescere personalmente: le ha aiutate a integrarsi, a raggiungere l’indipendenza economica e a ritrovare fiducia in sé. Ad alcune ha regalato nuove competenze, in altre ha rafforzato quelle pre-esistenti, proprio come avvenuto con Kokoevi. «In Togo avevo frequentato la scuola alberghiera, prima di arrivare in Italia, nel 2012. Qui ho imparato la lingua nella scuola della Cooperativa per sei mesi e ho dato gli esami di terza media», racconta. «Poi, appena ho saputo di questo progetto attraverso mio marito, ne sono entrata a far parte». Basta ascoltare come brilla la sua voce mentre racconta la sua giornata tra i fornelli. «Come responsabile di una delle due cucine, inizio alle 6 ogni mattina, da sola. Appena arrivo inizio a preparare i vari cibi partendo da quelli che hanno bisogno di essere raffreddati», racconta. «Poi arriva l’altro responsabile e man mano tutti gli altri. Cucino tutto il giorno, poi quando arrivo a casa, cucino di nuovo, per la mia famiglia».

«Ma io amo cucinare: è la mia vita. Il cibo è vita, quotidianità, condivisione».

Quando le chiedo i suoi piatti preferiti, Kokoevi tentenna, cita le lasagne e il risotto, convinta ma senza l’entusiasmo con cui nomina il “suo” foufou, felice che io sappia di cosa si tratta. Non le dico che ho assaggiato solo la versione ghanese, so che è una ricetta fonte di rivalità perché diffusa in diversi Paesi africani in diverse versioni. Non voglio perdere la nostra risonanza e “devio” il discorso verso la vita in cucina.

«Siamo in otto e ciascuno è una persona diversa. Ho imparato ad accettarlo, come ho imparato a capire come comportarmi con ciascuno, guardandolo in faccia e accorgendomi come è la sua giornata», spiega.

«Possono esserci delle incomprensioni, il sapore più o meno deciso di una pietanza o un ingrediente che finisce prima del previsto, ma tutti problemi che si risolvono con il dialogo e l’ascolto». Soprattutto con i nuovi arrivati, il secondo, è fondamentale. Kokoevi ne offre molto, e accoglie anche proposte di ricette nuove, fuori menù ma spesso ben dentro alla mente e ai ricordi di chi ha lasciato la propria terra lontana. Prima le valuta, le ascolta, appunto, e poi capisce se possono essere introdotte, magari nel catering, dove è più facile sperimentare perché ci sono meno piatti e chi lo chiede ha spesso voglia di sperimentare. «Il budino di riso, è un dolce che spesso a Milano rispunta», racconta. Penso all’assonanza con il risotto, quello giallo che abbraccia l’ossobuco nella cucina tipica lombarda, sorrido ma tengo per me l’ accostamento. In una cuoca professionista come Kokoevi e dal suo team, temo non susciterebbe grande consenso.

 

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