
Un film nato da un archivio familiare e diventato memoria collettiva. In My Father’s Diaries, Ado Hasanović legge i diari del padre, che filmò la quotidianità durante il genocidio del 1995 a Srebrenica. Le sue parole, la voce del figlio e la musica originale di IOSONOUNCANE si intrecciano in un racconto intimo e corale, che dà nuova forma alla memoria e restituisce umanità alla Storia.
Nel luglio 1995, nella città di Srebrenica, oggi parte della Bosnia ed Erzegovina, più di ottomila uomini e ragazzi bosgnacchi furono uccisi dalle forze serbo-bosniache. Quei fatti sono stati riconosciuti come genocidio da diversi tribunali internazionali e restano uno dei momenti più drammatici della guerra in ex Jugoslavia.
Dietro i numeri ci sono sempre storie personali, spesso rimaste inascoltate. Una di queste riemerge oggi attraverso My Father’s Diaries – I diari di mio padre, primo lungometraggio di Ado Hasanović, musicato da IOSONOUNCANE. Un padre filma la propria città sotto assedio. Un figlio, anni dopo, ritrova quelle immagini e quelle parole, e costruisce un racconto che unisce due generazioni e due tempi. «Un’opera che mai avrei pensato di girare. Anzi, inizialmente non volevo nemmeno farlo. Ma oggi so che era necessaria, per me e per chi vorrà guardarla», racconta il regista.
Non è solo un documentario su Srebrenica: è una narrazione dal basso, un presente personale in cui riecheggia un dolore privato, mai pienamente condiviso, un dialogo interrotto tra due generazioni che torna a parlarsi attraverso le immagini. Un gesto intimo che diventa universale.
Perché un documentario sul genocidio di Srebrenica
Prima ancora del riscontro del pubblico, Hasanović sottolinea l’effetto trasformativo che questo film ha avuto su di sé. «Mi ha fatto maturare molto ed elaborando il lutto, mi ha aiutato a elaborare un lutto».
«Ho capito che la mia resistenza iniziale nascondeva un bisogno profondo di affrontare i traumi che continuavano a tormentarmi ogni notte, anche dopo aver lasciato la Bosnia per studiare a Roma».
«Quasi ogni notte, per otto lunghi anni, fino a quando il film non è uscito».

Ado Hasanović è un regista italo-bosniaco nato nel 1986 a Srebrenica, ora Bosnia ed Erzegovina, e vive a Roma. Si è diplomato in regia all’Accademia del cinema di Sarajevo e al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Dal 2015 è direttore artistico del festival “Passaggi d’Autore: Intrecci Mediterranei” a Sant’Antioco in Sardegna. Nel 2024 ha fondato il Silver Frame FF a Srebrenica. “My Father’s Diaries” è il suo primo lungometraggio.
Dopo che nel maggio del 2024 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato l’11 luglio Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 19951, parlare apertamente di ciò che è accaduto è diventato «un po’ più semplice», spiega Hasanović, «anche se per anni ho evitato di farlo. Mi sentivo sminuito, giudicato. C’era ancora chi negava, o semplicemente non voleva vedere».
Ma il film non è una denuncia: è un lavoro introspettivo che trasforma il silenzio in parole, l’incubo in arte, un dolore intimo in un racconto collettivo e condiviso. E tutto parte dalla scelta di mettere al centro non se stesso ma suo padre, un uomo che nell’agosto del 1993, in pieno assedio di Srebrenica, ha scambiato una moneta d’oro per una videocamera e, assieme ai suoi amici della Djon, Ben & Boys, l’ha usata per catturare la vita quotidiana in tempo di guerra.
Invece di cercare la morte, inquadrava la dignità di un popolo che cercava di mantenere viva la propria umanità nell’inferno più profondo. Non si trattava di un reportage di guerra e, oggi, nel ruolo di co-regista del figlio, il suo sguardo diventa essenziale.
Un archivio intimo come memoria collettiva
Recuperando e riorganizzando le riprese del padre, Hasanovic riesce a conservarne l’autenticità commovente senza trasformarle in un dramma spettacolare. Ne emerge una narrazione interna al conflitto, vista con l’occhio e la voce di chi era coinvolto: persone normali che hanno voluto lasciare ore e ore di girato, non tanto per spiegare o giudicare ma per ricordare, affinché la storia non venisse raccontata solo da testimoni esterni o dai “vincitori”.
«Non c’è mai stata finora una proiezione dove le persone non si sono commosse e non hanno pianto», racconta Hasanović, ricordando una delle tappe più recenti, a Trento, durante l’Estival2. Dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Bosnia, il film tocca universalmente delle corde profonde. «Finalmente – mi hanno detto in tante persone – vediamo un film da Srebrenica e non su Srebrenica, che parla di Srebrenica da fuori».
L’eredità delle pellicole paterne era un dono fragile: potente ma non semplice da valorizzare in modo vincente e onesto, rispettoso della memoria ma efficace nel presente. Hasanović ci riesce scegliendo di esporsi, senza mai mettere se stesso davanti alla storia. Lo si percepisce per tutta la durata della pellicola ed è ciò che la rende davvero unica. In ogni scena si avverte la fatica amorevole di un figlio che cerca di capire il padre attraverso la memoria. I silenzi pesanti come macigni, i non-detti e le tensioni familiari: si respira una sensazione intima e familiare che rende la Storia meno distante e più umana. Quella che appare sullo schermo, infatti, non è più “la storia di Srebrenica” ma “la storia di mio padre”, “la storia della mia famiglia”, “la storia che potrebbe essere la mia”. In questa identificazione sottile e profonda, il film non impone un messaggio, ma genera consapevolezze non manipolabili.
E se questo già fosse un traguardo, c’è un elemento che lo rende ancora più urgente: la sua rilevanza contemporanea.
«Quando ho iniziato a lavorare al film nel 2021, pensavo di raccontare l’ultima guerra in Europa», spiega Hasanović. «Poi è arrivata l’Ucraina e, mentre eravamo ancora in montaggio, Gaza. Lì mi sono chiesto: ha ancora senso fare questo film?».
La risposta era già nel film stesso che diventa una opportunità per sentire la trasversalità del dolore che una guerra provoca: «Chi ha sofferto riconosce la sofferenza degli altri, chi ha attraversato l’inferno sa riconoscerne i segni ovunque si manifesti. Il film non è solo un documento storico ma è un grido di allarme, un ponte di empatia tra tutte le vittime delle guerre», precisa infatti Hasanović, «un monito che ci ricorda che la storia si ripete perché non sappiamo ascoltare le voci di chi ha già pagato il prezzo più alto».
Come dare forma al ricordo
Trasformare un materiale grezzo, intimo, emotivamente carico in un’opera cinematografica accessibile e rigorosa e senza spettacolarizzazione di una tragedia storica richiede un equilibrio raro. Per questo, sottolinea Hasanović, il film è anche il risultato di un lavoro corale: «Esiste grazie alla fiducia di Carlo Degli Esposti e della casa di produzione Palomar3, ma anche alla professionalità, e all’umanità, delle persone che mi hanno accompagnato».
Il produttore Antonio Badalamenti, le tre montatrici – Esmeralda Calabria, Desideria Rayner e Elisabetta Abrami – e i due sceneggiatori, Armando Maria Trotta e Anna Zagaglia: il regista cita tutti più volte, assieme a IOSONOUNCANE4, autore della colonna sonora perché «sono professionisti che si sono messi al servizio di una visione e hanno lavorato su un materiale difficile ed emotivamente forte, senza paura di entrare in uno spazio doloroso, ma con rispetto. Mi hanno aiutato a creare una struttura narrativa robusta, che tenesse insieme tutto senza forzare il senso delle immagini o delle parole» afferma, raccontando fase per fase il lungo lavoro effettuato per trasformare il girato e il testo lasciato dal padre in un prodotto omogeneo e fluido.

Il primo passo è stato rivedere, per mesi, tutto il repertorio girato dal padre. Poi è arrivata la selezione, e infine la scommessa: come raccontare una storia che già esiste, ma in una narrazione efficace. La sfida tecnica più grande è stata proprio questa: creare un linguaggio cinematografico che integrasse armoniosamente il materiale d’archivio del padre con le riprese contemporanee, senza soluzione di continuità e senza falsare la memoria.
«Il passaggio chiave è stata la scelta di affidare alla mia voce tutta la narrazione e lasciare che le parole pronunciate fossero solo quelle scritte da mio padre. Ciò ha creato un dialogo impossibile tra passato e presente, tra chi non c’è più e chi è rimasto a portare il peso della memoria».
«Questo vincolo autoimposto ha richiesto una precisione quasi matematica nel montaggio e una sensibilità musicale nel creare i passaggi tra presente e passato: non si stava semplicemente montando un documentario, ma era in atto l’invenzione di un modo nuovo di raccontare. Una forma di documentario che nasce direttamente dal contenuto».
Una scelta tecnica e cinematografica che ha imposto ad Hasanović di scogliere dei nodi personali, come quella di includere o meno nel film la storia dell’amante del padre. «Ero combattuto, poi una delle sceneggiatrici mi ha detto: “lei ha salvato i diari e tua madre li ha conservati. Insieme, queste due donne hanno custodito la memoria di tuo padre e permesso che tu oggi ce l’abbia in mano”. Con queste parole mi ha convinto: era una storia necessaria». Il film è dunque il risultato di una collaborazione che non è solo tecnica, ma profondamente umana. Solo mettendo in gioco le competenze e le sensibilità di tutti è stato possibile arrivare a una pellicola viva in cui il presente ha lasciato spazio al passato, senza sovrastarlo. E ogni volta che il film viene proiettato, continua a vivere, in chi lo vede ma anche in chi lo ha creato. «Ogni feedback che ricevo mi fa pensare e mi fa crescere. È un’opera collettiva che continua».
- L’ONU istituisce la Giornata internazionale di riflessione per il genocidio di Srebrenica: https://unric.org/it/lonu-istituisce-la-giornata-internazionale-di-riflessione-per-il-genocidio-di-srebrenica/ ↩︎
- Estival, un festival dedicato alla politica, alla società e alla cultura dell’Europa centrale, orientale e balcanica. Ogni anno a Trento, grazie a Osservatorio Balcani Caucaso: https://www.balcanicaucaso.org/Estival-2025 ↩︎
- La realtà di Palomar: https://palomaronline.com/ ↩︎
- IOSONOUNCANE è un artista di origine sarda che, oltre che cantautore, è anche produttore artistico: https://www.iosonouncane.com/about-it/ ↩︎