
La bicicletta è la protagonista del percorso artistico del fotografo Filippo Trojano, al fianco della comunità indiana di braccianti della Sabaudia. Mandeep e altri racconti1 raccoglie il frutto di dieci anni di lavoro, in bilico tra arte e antropologia. Un’ode alla lentezza, ma anche alla fotografia intesa come presenza tra corpi e atto relazionale.
«Per chi ci abita, o comunque frequenta quei posti, è evidente: gli indiani vanno in bici sulla Litoranea, una strada trafficata dove le macchine sfrecciano e loro possono restare un po’ nascosti dai pini. Gli italiani, invece, pedalano sul lungomare, alla luce del sole e ben in vista». Filippo Trojano, fotografo e insegnante, da più dieci anni realizza scatti di queste due comunità, italiana e indiana, che vivono nelle stesse aree intorno a Sabaudia, nel Lazio. La provenienza è differente e la condizione socio-economica pure: le strade percorse, metaforicamente come nella vita di tutti i giorni, sono parallele. Eppure, entrambe le comunità condividono un passato di migrazioni e le pedalate lungo le pianure della Pontina: da un lato, mountain bike nuove di zecca o adorabili bici da città con tanto di cestini, dall’altro due ruote scassate, la vernice scrostata e qualche accenno di ruggine qua e là.
Il risultato di centinaia e centinaia di foto è raccolto in Mandeep e altri racconti (Trojano, 2021), un libro in cui, la macchina fotografica – rigorosamente stampando su pellicola – diventa la chiave di lettura di una terra di migrazioni.
Com’è nato Mandeep e altri racconti
«Una sera ero in macchina e nel nero della notte, sotto una forte pioggia, mi giro e vedo quattro indiani che pedalavano lentamente, addosso avevano solo delle buste per ripararsi come potevano. Questa immagine mi ha toccato profondamente e da quel momento ho cominciato a osservare il fenomeno dei ciclisti».
Comincia così il lavoro di Trojano, dall’osservazione di una zona di pianura, come ce ne sono tante.

Filippo Trojano vive a Roma dove lavora come fotografo, insegnante di fotografia e attore. Studia con diversi fotografi e noti registi, tra cui Arno Minkkinen, Manoel de Oliveira, Marco Bellocchio. Nel 2003 conosce il maestro Abbas Kiarostami con il quale realizza il cortometraggio “Fuori Concorso” e l’installazione “Linee sembrano vento”. Dall’esperienza come protagonista del film “Tickets” nasce il suo primo libro “Viaggio”. Nel 2009 inizia il suo progetto a lungo termine “Ritratti di Mari”, mentre il progetto “Strade Parallele”, sugli abitanti di vecchia e nuova immigrazione della pianura Pontina, è selezionato da Fotografia, Festival internazionale di Roma nel 2012. Nel 2018 realizza come regista il cortometraggio “I suoi occhi”.
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«È un territorio lento, con due grandi strade. Ho voluto raccontare le due comunità che le percorrono: gli anziani – i loro figli e nipoti – arrivati più di 80 anni fa dal Nord Italia in questi territori appena bonificati; fino al fenomeno degli ultimi decenni, con l’insediamento di numerose comunità indiane, provenienti principalmente dal Punjab e impiegate soprattutto come braccianti», spiega Trojano.
È proprio a Bella Farnia – una sorta di “ghetto indiano sulla litoranea” – che nel 2012 Trojano ha inaugurato un laboratorio di fotografia per bambini e ragazzi. In quell’occasione ha conosciuto Mandeep (al tempo aveva 10 anni), che ha dato poi il nome alla raccolta fotografica del 2021: «Eravamo tanti bambini a vivere là, giocavamo insieme. Dopo appena pochi giorni siamo diventati i suoi assistenti e traduttori», ricorda il giovane. «Ci spiegava cosa aveva in mente e noi traducevamo il progetto agli adulti cercando di convincerli a farsi fotografare. A volte non volevano, ma siamo riusciti ad andare avanti». Ed è da queste foto, scattate coralmente, che nasce, anni dopo, l’opera di Trojano.

Mandeep oggi ha 24 anni e si è trasferito a Bergamo, dove lavora come magazziniere in una multinazionale.
Mandeep
Nato e cresciuto vicino a Sabaudia, Mandeep si è trasferito a Bergamo tre anni fa e ora lavora in un’azienda di logistica. Ha 24 anni e una passione per la fotografia, che però al momento non ha tempo di coltivare come vorrebbe.
«Per ora sto bene qua, non vorrei tornare», racconta. «L’unico rimpianto è che non ho tempo per seguire un corso di fotografia, ma mi piacerebbe molto farlo in futuro». La passione è sbocciata proprio da piccolo grazie al laboratorio arrangiato in quella cittadina in provincia di Latina. «Uno dei ricordi più belli che ho – continua Mandeep – è l’attesa di Filippo: aspettavamo con ansia il giovedì, che arrivasse con la sua strana macchinetta, dove metteva i rullini per poi iniziare a scattare insieme a noi. Ci sembrava un gioco: oltre alle foto lui portava il pallone e il frisbee ed era un divertimento».
Proprio ai giovani di quel laboratorio, il lavoro è dedicato: la loro presenza traspare dalle stesse foto, scattate con un cavalletto un po’ più basso della norma per permettere anche ai più piccoli di guardare nel pozzetto della fotocamera ed essere partecipi del processo creativo.
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La bici nello scatto su pellicola
Inforcata in mezzo alla strada o tenuta per il manubrio, appoggiata a un muretto o usata a mo’ di bastone, la bici è usata da tutti i soggetti di Mandeep (Trojano, 2021) per affrontare la realtà pianeggiante che li circonda, implicito veicolo (in senso letterale) di un messaggio che costringe alla lentezza e apre gli occhi sull’uguaglianza, senza però fingere di ignorare le differenze, materiali e non. «Ho scelto di raccontare gente in bici, vere e proprie tartarughe, dall’andamento lento come approccio alla vita», racconta Trojano che per rappresentarle non poteva che realizzare il progetto interamente su pellicola, come non se ne fanno quasi più.
«Macchina medio formato, cavalletto: scattando così, infatti, devi per forza essere lento e molto visibile», spiega Trojano. «Lo scatto stesso diventa una dichiarazione di intenti verso i soggetti che stai per immortalare, non è una fotografia di rapina». Il progetto è anacronistico anche per una forte motivazione sociale: «Visto che le foto non si possono rivedere all’istante, ci dovevamo scambiare i numeri e così spesso ci incontravamo una seconda volta per osservare il lavoro finale: è un modo per tenere la rete, i contatti. Sei quasi costretto a un secondo appuntamento», continua il fotografo.
«Scattare in pellicola ti costringe a viaggiare al passo con la bici, ha tempi più lunghi e ti obbliga all’incertezza: devi aspettare, sviluppare, e ovviamente c’è il rischio che venga male».
In maniera forse simbolica, non a caso, la prima foto del libro è stilisticamente sbagliata e ha i bordi bruciati: è “una dichiarazione di fallibilità”.
Quello contenuto in Mandeep e altri racconti (Trojano, 2021) è, inoltre, il suo primo progetto a colori: «Di solito opto per il bianco e nero, che conduce verso una sorta di sospensione onirica, di certo meno realistica. Il colore, al contrario, mi dà un altro contatto con la realtà: in questo caso io volevo stare nel presente, agganciarmi alla contemporaneità del momento».
Fotografare come atto di presenza
L’agognata centralità del ruolo delle relazioni umane non si ferma alla scelta della pellicola e del colore per Trojano, ma è parte del fotografare stesso, inteso come atto relazionale “in presenza”. Parlando di “contemporaneità”, infatti, non si può non pensare alle opportunità ormai espresse dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Si può recuperare una foto venuta male, accelerare alcune fasi del lento processo di sviluppo e, eventualmente, risparmiare anche sulla componente “umana” del lavoro. Probabili migliorie nell’ambito della tecnica che, però, porterebbero a una perdita inestimabile: «Verrebbe meno l’incontro – specifica Trojano – e per me fare il lavoro che faccio sta proprio nell’incontrare persone, conoscersi.
Sono profondamente convinto che l’Intelligenza Artificiale sia un potente strumento creativo e non penso vada demonizzata. Allo stesso tempo si tratta anche di un’altra forma di creazione. Fare fotografia è un atto di presenza fisica. Al contrario di altre forme espressive come la pittura o la scrittura, che si possono realizzare anche in assenza, lo scatto rappresenta una relazione».
L’unica eccezione, in caso di morte o inesistenza: «Se non ci sei più o non ci sei mai stato, allora entra in gioco l’AI con le sue enormi potenzialità. Dichiaro il gioco di prestigio, ti creo. Mi piace pensare all’Intelligenza Artificiale come il tavolino a tre zampe che usava mia nonna quando ero piccolo per fare le sedute spiritiche. La utilizzo per chiamare i morti che non ci sono più».
- Trojano, F. (2021). Mandeep e altri racconti. ↩︎