C’è dell’acqua salata che fuoriesce dai nostri occhi: sono le lacrime. La fotografa Rose-Lynn Fisher ne contempla “la topografia” e i diversi significati. Il professore di Economia Alex Krumer ne studia la distribuzione durante le gare olimpiche. Entrambi hanno colto l’oceano di emozioni e di messaggi che ciascuna di esse racchiude, preziosa come l’acqua dei nostri mari
Temperature, precipitazioni, processi di evaporazione e molti altri fattori influenzano la composizione chimica dell’acqua del mare: ma salata, lo è sempre. È una delle poche certezze che ci insegnano da bambini e su cui possiamo ancora contare, per ora. La percentuale di salinità media dell’acqua di mare è di 3,5: significa che per ogni litro d’acqua si hanno 35 grammi di sale, di cui 27 solitamente sono di cloruro di sodio. Noto per il suo sapido ruolo in cucina, questo composto è anche l’ingrediente che rende speciali le nostre lacrime, regala loro un sapore salato e a noi la sensazione di avere un po’ di mare dentro. Per lo meno quando lasciamo scorrere le emozioni.
Di cosa è fatta una lacrima
Una lacrima è formata per il 98,2% da acqua, più una piccola percentuale di cloruro di sodio e minime quantità di altri sali, proteine, urea, glucosio e un enzima, il lisozima, in grado di distruggere numerose specie batteriche. Non ne esiste una ricetta precisa, come confermano gli esperti in dacriologia (dal greco dakryon, lacrima, e logia, studio). La scienza che studia i diversi tipi di lacrime ne ha identificato tre tipologie: le basali, fisiologiche, idratano automaticamente gli occhi per lubrificarli; le riflesse, rispondono meccanicamente a stimoli irritanti esterni (cipolle sbucciate comprese) e le psichiche, stimolate solo da stati emotivi. Grazie alla contaminazione scientifica tra dacriologia e neuroscienze, oggi sappiamo che queste tre tipologie di lacrime hanno anche una composizione chimica diversa: ma ciò che più ha sorpreso gli scienziati è stato scoprire che anche tra le stesse lacrime psichiche vi sono differenze chimiche. A seconda dell’emozione scatenante, possono contenere sostanze proteiche complesse: ormoni, enzimi, anticorpi di diverso tipo e in diverse proporzioni.
Le emozioni potenzialmente causa di pianto sono state associate ad alcune particolari sostanze: secondo il biochimico americano William H. Frey1, lo stress sarebbe associato all’ormone adenocorticotropo mentre il dolore alla leucina encefalica, un ormone noto per il suo potere antidolorifico naturale. Non si tratta di una semplice curiosa coincidenza: ciò che sta emergendo dalle ricerche è che, ogni volta che piangiamo, le lacrime ci aiuterebbero a espellere in modo funzionale delle sostanze dannose per la nostra salute. Per esempio, si pensa che dopo un evento traumatico, eliminare manganese (essenziale per la coagulazione del sangue) e potassio (regolatore della pressione) possa aiutare a prevenire il rischio dell’infarto cardiaco e a ristabilire l’armonia psicofisica.
La topografia delle lacrime
Mentre le scienze cercano di trovare una spiegazione per ogni dettaglio della vasta diversità chimico-fisica delle lacrime, nel 2008 la fotografa americana Rose-Lynn Fisher ha deciso di trasformarle in un progetto artistico imponente, unico al mondo e in continua evoluzione: The Topography of Tears, la “topografia delle lacrime”2.
Rose-Lynn Fisher è una fotografa nordamericana. È autrice di due libri di microfotografie: “BEE”, l’ape vista attraverso un microscopio elettronico a scansione, ingrandita fino a 5000x (Princeton Architectural Press 2010), e “The Topography of Tears”, una serie di lacrime osservate attraverso un microscopio ottico standard (Stampa letteraria Bellevue 2017). Altri progetti includono indagini nel microregno delle ossa, dell’oceano e di altro materiale biologico. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in gallerie, festival e musei di arte, scienza e storia naturale.
Scopri le mostre e molto altro sul suo sito webL’idea è nata durante un periodo difficile e cruciale di perdita e dolore: lei stessa descrive la sua opera come «un’indagine visiva sulle lacrime, per rendere visibile il regno invisibile delle mie emozioni. In un giorno di pianto incessante, mi sono improvvisamente chiesta “Che aspetto hanno le lacrime? Quelle di dolore hanno lo stesso aspetto di quelle di gioia”?».
Trovandosi senza una risposta, né scientifica né di altra natura, Fisher ha iniziato a raccogliere e fotografare le proprie lacrime ogni volta che piangeva, annotando l’emozione che le provocava. «Questo mi ha spinto a prestare maggiore attenzione alla gamma e alle sfumature dei miei sentimenti – racconta – e a proseguire questo progetto di ricerca personale, nato nell’ambito del mio lavoro artistico, esplorando il piccolo campo di una lacrima come un paesaggio e fotografandone le strutture organiche e le composizioni casuali».
In ogni lacrima, la nostra moltitudine
La curiosità, e il non trovare mai una lacrima uguale all’altra, hanno spinto Fisher a proseguire per anni, anche chiedendo in prestito lacrime a parenti e amici. Pur senza alcuna ambizione di realizzare uno studio scientifico sistematico, ha adottato fin dall’inizio un approccio che ricorda quelli della ricerca in laboratorio. Dopo aver “versato lacrime” direttamente su dei vetrini, ne ha compresse alcune tra due strati di vetro sottile e ne ha lasciate altre ad asciugare all’aria, per poi osservare tutto attraverso le lenti di un microscopio ottico standard, uno Zeiss d’epoca, montato con una fotocamera per microscopia digitale, con un ingrandimento di 100x e talvolta di 400x.
«Ci sono molte variabili che influenzano l’immagine risultante: il volume del liquido lacrimale, l’evaporazione o il flusso, le variazioni biologiche, le impostazioni del microscopio e della fotocamera. Il modo in cui decido di elaborare e stampare l’immagine fotografata della lacrima impatta ulteriormente sul risultato finale – racconta – Da subito e man mano che procedevo, mi rendevo conto che non era possibile catalogare le lacrime in base all’emozione o al modello e alla struttura visiva. Ogni lacrima che osservavo aveva caratteristiche uniche, una sorta di firma».
Abbandonata ogni pretesa di razionalizzare la propria collezione di lacrime, Fisher non ha abbandonato anche il proprio progetto, anzi, lo ha trasformato in una “esplorazione contemplativa”.
«Le lacrime rappresentano una componente fondamentale del nostro linguaggio primordiale, elementare come la fame di un neonato, implacabile come il dolore. Sono la prova della nostra vita interiore che spontaneamente trabocca dai suoi confini, riversandosi nella coscienzanella coscienza – spiega – Fotografandole, le ho percepite come un appassionante e impossibile enigma della percezione, un modo per rapportarsi alle emozioni che oggi più che mai potrebbe restituirci una consapevolezza più profonda di ciò che proviamo davvero, al di là del pensiero letterale».
Le lacrime ci interrogano, le loro forme sempre diverse ci ricordano l’infinità di ragioni per cui le versiamo e la moltitudine di significati che gli altri possono loro attribuire. Escono in momenti di catarsi che portano a una nuova chiarezza, ma anche in una riconciliazione dopo troppe discussioni fallite, nell’accettazione di una verità inconfutabile oppure in momenti di risate incontrollabili o profondo stupore.
«Si piange liberandosi di una vecchia pelle a cui si è ancora affezionati, ma anche per celebrare un nuovo inizio».
Le lacrime sono un mezzo di espressione diretto e non modificabile né manipolabile, al contrario delle parole: hanno un potere innegabile.
«Guardandone le immagini ho imparato ad apprezzare l’intero spettro di emozioni, il modo in cui un momento transitorio può essere una rivoluzione, un punto di svolta, mentre forse in un altro momento non c’è una risoluzione da raggiungere, ma si deve rimanere all’interno di ciò che è, accettandolo».
Dal pianto agli oceani
Ogni lacrima porta con sé un microcosmo dell’esperienza umana, “come le gocce di un oceano”, secondo Fisher, che sta ampliando la sua “Topografia delle lacrime” dal contesto umano a quello più ambientale. Sempre attraverso il suo microscopio, ora immortala modelli di acqua salata in ogni scala, esplora le forme ramificate sia di gocce che di lacrime sentendo riecheggiare modelli di erosione incisi nella terra, o la felce che cresce fuori dalla finestra di casa.
La sua è stata una scelta artistica, ma anche sociale: accostando l’acqua salata che è in noi a quella dei nostri mari e degli oceani che stiamo ogni giorno contaminando o sprecando, Fisher sta mandando un forte messaggio. Un richiamo alla connessione con la natura di cui facciamo parte e di cui non siamo né proprietari, né creatori. Un appello al ritrovare sinergia con ciò che rappresenta la vita, scatto dopo scatto, rivolto a tutti, che vuole far riavvicinare persone e acque salate, ma anche persone a persone che magari abitano su due sponde diverse. «Le lacrime spesso invocano ed evocano vera empatia e compassione, riallineamento con se stessi e con gli altri – ricorda – E in questi tempi di frattura e polarizzazione, è importante riconoscere le nostre somiglianze essenziali».
Nel mare turbolento dell’umanità, le nostre lacrime ci collegano.
L’inestimabile prezzo delle lacrime
Mentre il divario tra ricchi e poveri nel mondo è in continua crescita dal 2020, come rivela lo Human Development Report 2023/2024 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite3, le lacrime lo provano a colmare ricordandoci che siamo esseri umani, tutti uguali e ugualmente diversi l’uno dall’altro. Non sembra infatti esserci alcuna relazione tra la ricchezza di un Paese e la propensione a piangere, per lo meno non nella categoria atleti: le lacrime di gioia che versano a ogni vittoria sono universali, totalmente indipendenti dalla loro ricchezza e da quella del Paese da cui vengono.
Per svelare questa e altre connessioni tra lacrime di gioia, origini, sesso, religione e società sulla rivista Emotion è appena uscito uno studio ad hoc realizzato da Alex Krumer, professore di economia dello sport alla Facoltà di Economia aziendale e Scienze sociali del Molde University College in Norvegia, in collaborazione con il collega Andrew Musau4.
Alex Krumer, PhD, è professore alla Facoltà di Economia aziendale e Scienze sociali del Molde University College in Norvegia. Ha conseguito il dottorato di ricerca in economia presso l’Università Ben Gurion in Israele ed è stato borsista post-dottorato nell’Università di San Gallo in Svizzera. Attualmente è redattore associato del Journal of Behavioral and Experimental Economics. Utilizza lo sport come laboratorio per studiare il comportamento umano. Ha pubblicato su importanti riviste di economia comportamentale. I suoi studi sono stati pubblicati su giornali, riviste, radio e televisione, tra cui BBC, Times, Business Insider, Forbes, Harvard Business Review, Research Digest of the British Psychological Society, Freakonomics Radio, Der Spiegel, Telegraph e molti altri.
Visita il suo sitoOsservando le medaglie d’oro di tutti i 450 eventi individuali ai Giochi olimpici estivi 2012 e 2016 alla fine delle rispettive competizioni e durante le cerimonie delle medaglie, ha approfittato dell’unicità delle gare sportive per studiare questo fenomeno come mai fatto prima d’ora. «Tutte le ricerche sulle lacrime si sono sempre basate su valutazioni auto-riferite che presentano molte limitazioni legate alla dimenticanza o alla vergogna associata al pianto. Solitamente, per rimuovere i bias di auto-segnalazione, si conducono esperimenti di laboratorio suscitando risposte emotive – spiega Krumer – ma cosa c’è di meglio di studiare quelle di chi ha appena vinto una medaglia olimpica?».
Divisioni religiose e capacità di gioire
Analizzando con metodo e pazienza queste lacrime “fresche” e spontanee, la prima cosa emersa è stata che «sono una caratteristica universale dell’essere umano, non esiste un luogo al mondo in cui le persone non piangono: non abbiamo riscontrato differenze culturali» spiega Krumer. Ciò non vuol dire che non ci siano dei trend: gli atleti maschi africani piangono meno, mentre quelli sudamericani piangono di più rispetto ad altri continenti, per esempio.
Il risultato che fa più riflettere riguarda però la relazione negativa tra la frammentazione religiosa all’interno di un paese e la propensione di un atleta vincitore a piangere di gioia. Più un’area racchiude in sé diversi culti, meno le persone che vi vivono sembrano inclini a commuoversi. «È difficile determinare il motivo esatto della nostra scoperta, ma esistono diversi possibili meccanismi che potrebbero essere correlati tra loro». Krumer azzarda a ipotizzare: «Più c’è frammentazione religiosa, minore è il livello di patriottismo, il che potrebbe essere motivo di emozioni positive più deboli dopo aver vinto una medaglia d’oro olimpica».
Continua: «Ma alla base di questo calo di lacrime di gioia potrebbero esserci anche conflitti armati legati a guerre civili o attacchi terroristici. Sono tutti eventi che portano effetti negativi a lungo termine sul funzionamento emotivo. Lo si vede anche nella scarsa capacità dei bambini esposti a questi eventi di riconoscere emozioni diverse da quelle negative».
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Patriarcato ruba lacrime
Grazie a un’analisi di regressione multivariata delle lacrime, effettuata utilizzando caratteristiche individuali e variabili di tipo socioeconomico, gli autori dello studio hanno messo in evidenza altri aspetti del piangere dalla gioia. Gli atleti più anziani e le donne, per esempio, piangono di più, in perfetta linea con gli stereotipi attuali.
Ma è stato anche scoperto che nelle società con maggiore emancipazione di genere, misurata in base alla quota di donne che partecipano alla forza-lavoro, gli uomini hanno maggiori probabilità di piangere di gioia.
L’esperto prova a spiegare questo dato così: «È possibile che nei paesi con una maggiore parità di genere nel mondo del lavoro i ruoli sociali si sovrappongano e ci sia meno divergenza tra uomini e donne quando si tratta di valori positivi, di sensibilità e modestia, e di ciò che può influenzare la propensione al pianto».
Un altro elemento a favore dell’uguaglianza di genere nelle lacrime è la presenza di role model sportivi maschili che piangono, come Micheal Jordan (USA), Tiger Woods (USA), Iker Casillas (Spagna) e Roger Federer (Svizzera). Secondo Krumer il loro esempio «rende le “lacrime virili” più accettabili. Il pianto degli uomini, in queste società, può arrivare a essere interpretato come una forza piuttosto che come una debolezza.».
L’odore delle lacrime allontana violenze
Esperto anche in economia comportamentale, Krumer attribuisce alle lacrime un importante ruolo fisiologico di regolatore delle emozioni. «Le persone si sentono meglio dopo aver pianto perché le lacrime rilasciano endorfine e ossitocina, ormoni utili per alleviare il dolore e migliorare l’umore ma anche perché emettono un segnale sociale che le aiuta a connettersi con gli altri e a ricevere empatia e attaccamento» spiega.
Questa affermazione ricorda un recentissimo studio pubblicato su Plos Biology5 con un forte impatto globale, che ha interrogato il mondo sul rapporto tra lacrime e generi.
Nelle donne, questa “acqua salata” potrebbe essere funzionale a ridurre i comportamenti aggressivi nei loro confronti, grazie alla presenza di un particolare e misterioso mix di sostanze chimiche con tale effetto.
Prendendo spunto da precedenti ricerche effettuate sui roditori, un team del Weizmann Institute of Science in Israele ha fatto questa scoperta lavorando su due gruppi di uomini, chiedendo a uno di annusare lacrime versate da donne, all’altro una soluzione salina. I volontari del primo hanno mostrato un calo drastico del 43,7% in comportamenti aggressivi e una corrispondente diminuzione dell’attività cerebrale nella corteccia prefrontale e l’insula anteriore, le regioni del cervello legate all’aggressività. Questi dati hanno fatto loro pensare che le lacrime potessero funzionare da protezione chimica naturale contro l’aggressività, soprattutto maschile.
Studiare le lacrime per capire noi stessi
Questo esito ha riportato l’attenzione della comunità scientifica sulla funzione delle lacrime. «Ora si vuole indagare l’effetto delle lacrime delle donne su altre donne e quello delle lacrime dei bambini sugli adulti, in particolare per i neonati che, non potendo comunicare a parole, molto probabilmente ne sono forniti e le sfruttano ampiamente come strumento per ridurre l’aggressività» spiega Krumer. Una volta acquisita la parola, perché durante l’evoluzione umana non abbiamo perso la capacità di produrre lacrime in età adulta? Probabilmente ne abbiamo ancora bisogno, anche da “neonati cresciuti”. Krumer la pensa così: «Le lacrime, e le emozioni che esprimono, fanno parte del processo evolutivo e gli esseri umani ne hanno assolutamente bisogno per affrontare lo stress o godersi la felicità. La vasta gamma di emozioni che proviamo è ciò che ci rende così unici. Secondo me, sono e restano per tutta la vita una parte fondamentale del processo decisionale razionale – spiega – ci aiutano a esprimere meglio le emozioni e a restare coerenti al nostro vero stato d’animo».
Ci ricordano che siamo tutti diversi e tutti uguali.
Sono piccole ma fondamentali proprio come le gocce di acqua salata contenute nel mare, che combattono i parassiti soliti depositarsi sulle squame e sulle branchie di molti pesci, che disinfettano l’ambiente e proteggono il microclima, anche quello in cui noi stessi viviamo e stiamo ora re-imparando ad amare. Lacrima dopo lacrima.
- Per consultare lo studio sulla composizione chimica delle lacrime, delle tre differenti categorie individuate dagli esperti, si veda Frey, W. H., Desota-Johnson, D., Hoffman, C., & McCall, J. T. (1981). Effect of stimulus on the chemical composition of human tears. American Journal of Ophthalmology, 92(4), 559–567. https://secure.jbs.elsevierhealth.com/action/getSharedSiteSession?rc=1&redirect=https%3A%2F%2Fwww.ajo.com%2Farticle%2F0002-9394%2881%2990651-6%2Fabstract ↩︎
- Per apprezzare l’opera di Fisher dedicata alle lacrime nella sua interezza, si veda https://www.rose-lynnfisher.com/tears.html ↩︎
- Per il report relativo al 2023/2024 del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, si veda Programme, U. N. D. (2024). Human Development Report 2023/2024: Breaking the Gridlock – Reimagining Cooperation in a Polarized World. Stylus Publishing, LLC. https://hdr.undp.org/content/human-development-report-2023-24 ↩︎
- Per lo studio di Alex Kruger sulle lacrime degli atleti olimpionici, si veda Krumer, A., & Musau, A. (2024). Golden tears: A cross-country study of crying in the Olympics, Emotion, 24(1), 27–38. https://psycnet.apa.org/fulltext/2023-69213-001.html ↩︎
- Sullo studio che spiega perché le lacrime delle donne riducano i comportamenti violenti maschili si veda Agron, S., De March, C. A., Weissgross, R., Mishor, E., Gorodisky, L., Weiss, T., Furman-Haran, E., Matsunami, H., & Sobel, N. (2023). A chemical signal in human female tears lowers aggression in males. PLoS Biology, 21(12). https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3002442 ↩︎