Il fenomeno collettivo dei meme
Un festival per esplorare il linguaggio più potente del presente

I meme sono diventati una delle forme espressive più potenti del nostro tempo. Memissima, il primo festival italiano dedicato alla cultura memetica, ideato da Max Magaldi, ne esplora limiti, trasformazioni e impatto sul presente. In un’epoca in cui ogni cosa sembra già pronta per diventare virale, i meme non si limitano più a raccontare la realtà: finiscono per anticiparla e condizionarla.
Simboli collettivi ed espressioni estetiche nate da una sovversione al digitale e che sfuggono a ogni definizione tradizionale: i meme non appartengono al fumetto, né alla grafica, né tantomeno alla pubblicità. Secondo lo scrittore Alessandro Lolli de La guerra dei meme (Effequ, 2020), sono una vera e propria “undicesima arte”1 che vive di relazione, riconoscimento e trasformazione. Meme come Wojak, Pepe the Frog o Hide the Pain Harold hanno creato dei miti nuovi del nostro tempo, sopravvivendo solo grazie alla loro riproduzione collettiva, come unità narrative che mutano e si rinnovano all’infinito.
Ma cosa succede quando la realtà stessa assume forme memetiche? L’artista e musicista Max Magald racconta il suo incontro con i meme come una forma di riconciliazione con il contemporaneo: “una fascinazione per il caos” da cui è nato, nel 2021 Memissima, il primo festival italiano interamente dedicato alla cultura dei meme. Non una celebrazione fine a sé stessa, ma un laboratorio critico sul potere estetico, comunicativo e politico di questi oggetti digitali. L’edizione del 2025 sarà dedicata alla morte dei meme, in un’epoca in cui eventi talmente paradossali non hanno bisogno di essere parodiati, perché “nascono già memati”.
Che cosa sono i meme
«I meme sono la forma di comunicazione più potente del nostro tempo proprio perché nessuno pensa che siano il mezzo di comunicazione più potente del contemporaneo»
Così Magaldi, ideatore del festival Memissima che ogni anno dal 2021 indaga il pensiero contemporaneo attraverso i meme, spiega la loro forza dirompente: un contenuto che si infiltra nei flussi comunicativi senza difese, bypassando il filtro critico dell’utente medio e agendo sotto pelle. Non solo battute o immagini buffe, ma veicoli di significato.

Max Magaldi, musicista e artista, ha suonato in tutta Europa con diversi progetti musicali. A partire dal 2018 sperimenta azioni performative digitali che intrecciano musica, arte contemporanea e hacking sui social network. Ha realizzato sonorizzazioni e installazioni in Italia, Francia, Grecia, Arabia Saudita, sia da solo che lavorando con artisti come Edoardo Tresoldi, Gonzalo Borondo, Studio Azzurro, Andrea Villa, Alberonero. Dal 2021 è ideatore e direttore artistico di Memissima, il Festival della cultura memetica.
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Il meme è in genere composto da un’immagine e da un breve testo, con una fusione tra elemento scritto e visivo: da quelli di reazione che condensano emozioni precise, come nel caso di Success Kid, ai meme deep-fried, saturati e distorti per criticare l’eccessiva manipolazione digitale. Ogni anno ne nascono e ne ritornano di nuovi: nel 2024, ad esempio, ci sono stati i Symphony Dolphins, delfini psichedelici su base musicale che ironizzano sulle emozioni della generazione Z o il Chill Guy, un cane antropomorfo che appare rilassato di fronte al caos, ma anche tutti quelli che sono stati alimentati dalle Olimpiadi o dalle controversie politiche2.
La differenza tra la nascita di un meme e quella di un contenuto virale sta proprio qui: il meme non mira a diffondersi ma a reinventarsi, si adatta proprio come un linguaggio vivo perché, come afferma lo stesso Magaldi, «non è mai finito ma sempre in divenire, ciò che lo rende tale è il suo essere manipolabile, ibrido».
È vero che la cultura memetica nasce e si sviluppa nel cuore della guerra per l’attenzione3 ma «non è mai il singolo meme a diventare virale, è il brulicare continuo intorno a esso a renderlo tale».
Una foto stock del 2015, ad esempio, che ritrae un uomo mentre cammina mano nella mano con la sua (presunta) fidanzata e si gira a guardare un’altra ragazza (Distracted Boyfriend), continuerà a essere riadattato in migliaia di versioni con etichette diverse. Gli stessi dank memes sono poi figli di questa costante manipolazione: immagini così rivisitate e lavorate dagli utenti da rendere incomprensibile il meme stesso. Il processo di creazione di un meme è, infatti, qualcosa di rizomatico, con ogni utente che aggiunge il proprio contributo e significato4. Alla base c’è sempre, però, secondo Magaldi, la capacità di riconoscere il potenziale narrativo o emotivo intrinseco di un determinato elemento: «una sensibilità che coglie lo spirito, il genius loci5 dei contenuti digitali e che ricorda il meccanismo della visione paranoico-critica teorizzata da Salvador Dalí», quella in cui l’artista si abbandona a una forma di “delirio controllato” e inconscio per vedere più cose in un’unica immagine e restituirle a chi guarderà l’opera.
Esperienze psichedeliche condivise
A partire dalla seconda edizione del festival sono stati proclamati i Meme Awards, che non premiano il “miglior meme” ma quello che ha incarnato lo spirito culturale dell’anno: sono «un esperimento di comunicazione» afferma Magaldi, «ben diverso dall’assegnazione di un Oscar o di un tapiro perché acquistano una connotazione positiva o negativa in base al “sentiment” che i meme su quel personaggio hanno suscitato e continuano a suscitare».
«Come viene percepito e si diffonde un meme è anarchia pura, è indeterminatezza ed è la cosa che più mi affascina di questo mondo».
Forse perché i meme in realtà raccontano qualcosa di profondo su di noi dato che li creiamo, li condividiamo e li riconosciamo. «Ci connettono in un’esperienza psichedelica condivisa», dice Max Magaldi, evocando l’idea che una caption brillante su un’immagine sgranata possa far scattare una scintilla di senso collettivo6, che ci spinge a piangere, ridere o arrabbiarci insieme. «I meme funzionano perché attivano una risonanza profonda, quasi magica» continua Magaldi, un’intesa immediata che non ha bisogno di spiegazioni: siamo tutti, in qualche modo, già “iniziati” al loro linguaggio entro i confini di nicchie culturali più o meno grandi, date dall’età, dal background e dalla comunità di riferimento.
«Per questione anagrafica non ho mai visto Dragon Ball, che è un grande serbatoio di basi memetiche, e quindi non ho accesso a quel particolare tipo di ironia» osserva ad esempio Magaldi. «In questo i meme sono sì un fenomeno collettivo ma sono anche profondamente esoterici: accessibili solo a chi possiede le chiavi per decifrarli».
Per far nascere e diffondere un meme, allora, serve un numero sufficiente di persone che vi riconosca qualcosa di significativo, di profondo e di collettivo, che precede la spiegazione razionale. Certo, l’algoritmo può aiutare a diffonderli: «può ricreare in vitro i numeri di visualizzazione» dice Magaldi, ma non può creare quella scintilla. «Appena provi ad addomesticare un meme e lo sponsorizzi», infatti, «perde la sua brillantezza, diventa un parlare al mondo dei normie7 ed è per questo che le aziende sono sempre molto restie a usare questo tipo di linguaggio».
Cercare di sfruttare un linguaggio nato dal basso, spontaneo e caotico, con le logiche verticali e controllate della pubblicità rischia di produrre l’effetto opposto a quello desiderato: «ne è un esempio la campagna Open to Meraviglia del pubblicitario Armando Testa, pensata per sfruttare al meglio la sua memabilità e finita per essere usata dalla community in modo del tutto diverso. Per questo Memissima ha dedicato una sezione del festival, Meme per gli Acquisti», all’esplorazione del confine tra strategia e spontaneità.
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La realtà che supera il meme
Memissima nasce da un’ambivalenza, come spesso accade con ciò che si ama davvero. Alla domanda se il festival sia un atto d’amore o una critica verso la cultura memetica, Max Magaldi risponde che è entrambe le cose. «Non è detto che amare una cosa non ti faccia rendere conto del suo lato apocalittico che, poi, dal punto di vista creativo è sempre quello più affascinante».
I meme sono dei catalizzatori: accelerano processi che altrimenti maturerebbero lentamente, o al contrario li anestetizza del tutto. E in questa cultura velocissima, invasiva, dove «dopo otto ore c’è già un’altra situazione da memare», la domanda centrale, per Magaldi ancora parzialmente irrisolta è: i meme aiutano il dibattito collettivo, la riflessione pubblica o li rendono impossibili? Quando un’intera community si muove compatta su un certo fenomeno virale (wave), l’attenzione rischia di spostarsi sulla forma, sulla corsa al contenuto, e non sul merito della questione.
Magaldi lo dice con franchezza: «forse i meme, nella maggior parte dei casi, più che chiarire, ipnotizzano».
Non per mancanza di potenziale, ma per l’incapacità diffusa di maneggiarli consapevolmente.
La cultura memetica corre così il rischio di svuotare ogni narrazione della sua profondità e di gettare le basi per una fruizione veloce della realtà stessa, lì dove il meme smette di essere un linguaggio digitale e diventa materia viva, fuori dallo schermo. Quando Elon Musk ha proclamato «I’m becoming meme», strizzando l’occhio alla famosa citazione di J. Robert Oppenheimer8, durante la Conservative Political Action Conference (CPAC) del febbraio 2025, non stava facendo ironia: si stava inserendo in un fenomeno per cui è la realtà che si modella secondo i codici della viralità. «Questo è il lato apocalittico», afferma Magaldi «in cui prende forma la morte dei meme»: un’espressione che non indica la fine, ma una mutazione profonda in cui ogni gesto pubblico assume le sembianze del contenuto condivisibile.
«Stanno accadendo delle cose così assurde che non c’è bisogno di memarle», racconta Magaldi «perché nascono già memate».
«In quel momento il rapporto tra rappresentazione e fatto è rovesciato. Il meme muore». Ma mai del tutto perché «rilascia delle spore, che attecchiscono nel reale e continuano ad agire», alterando il nostro modo di comunicare, pensare, e perfino votare.
Ed è qui che Memissima mostra la sua vera natura: non una sfilata di contenuti virali, ma un esercizio collettivo di consapevolezza per fermarsi a riflettere sul quando, cosa e perché abbiamo memato, sulle spore dei meme che circolano e su come ci cambiano. Perché oggi, condividere un meme è raccontare il mondo in tempo reale. E ogni meme, in fondo, è una domanda aperta sulla verità, l’immaginazione e il potere.
- Le “dieci arti” sono architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza, cinema, teatro, radio-televisione, fumetto. Le ultime due sono state aggiunte dal critico francese Claude Beylie nel 1964. ↩︎
- Kinnard, M., & Price, M. L. (2024, June 18). The politics of memes: How Biden and Trump are fighting each other on the internet | AP News. AP News. https://apnews.com/article/biden-trump-dark-brandon-memes-2024-election-2e31e2347d1045babf1229fe210dddf5 ↩︎
- La guerra dell’attenzione (in inglese attention economy o attention war) è un concetto che descrive la competizione tra aziende, piattaforme digitali, media e contenuti per ottenere e trattenere l’attenzione delle persone. In un contesto in cui l’informazione è abbondante ma l’attenzione umana è limitata, questa diventa una risorsa preziosa e contesa. Cfr. Williams, J. (2023b). Scansatevi dalla luce: Libertà e resistenza digitale. effequ. ↩︎
- Si parla adesso di layers of irony, strati di ironia. I meme vengono divisi in pre-ironic, ironic, meta-ironic e post-ironic memes; queste categorie si distinguono principalmente nel modo in cui utilizzano la “cornice memetica” (il template): il meme pre-ironico usa la cornice per costruire la storia, per indirizzare la battuta; tutti gli altri (chiamati anche “meme riflessivi”) rendono la cornice qualcosa da rivalutare e contestare, portandola all’assurdo. Cfr. Lolli, A. (2020b). La guerra dei meme: Fenomenologia di uno scherzo infinito. effequ. ↩︎
- Il genius loci è lo spirito o l’identità profonda di un luogo. Rappresenta l’atmosfera unica legata alla sua storia, cultura e natura. In architettura, rispettarlo significa progettare in armonia con quel contesto. ↩︎
- Ibarz, V., & Villegas, M. (2007). El método paranoico-crítico de Salvador Dalí. Revista De Historia De La Psicología, 28(2), 107–112. ↩︎
- La comunità di memers è divisa in due zone: autist e normie. Gli autist sono coloro che tengono conto dell’evoluzione di un meme e sono in grado di decodificarlo ed evolverlo a loro volta. I normie, non conoscono il processo memetico, ma prendono i prodotti degli autistici e li banalizzano, li volgarizzano distruggendone ogni capacità umoristica. Per contrastare la “normificazione” dei loro meme gli autistici continuano a modificare ed evolvere il loro umorismo aggiungendo sempre più strati d’ironia, rendendo i loro meme più difficili da comprendere. Cfr. Lolli, A. (2020b). La guerra dei meme: Fenomenologia di uno scherzo infinito. effequ. ↩︎
- Durante il test della prima bomba atomica nel 1945, J. Robert Oppenheimer citò la Bhagavad Gita dicendo: «Now I am become Death, the destroyer of worlds», esprimendo il peso morale della creazione di un’arma tanto distruttiva. Questa frase simboleggia il momento in cui la scienza tocca i limiti etici dell’umanità. ↩︎