Si può disegnare un mondo in cui donne e uomini siano misurati equamente, lo si può modellare con i dati, lo si può analizzare. Forse lo si deve costruire daccapo, o quasi, ma esisterà. Ecco come un’artista, una data scientist e una economista ci stanno lavorando.
Un gruppo di uomini seri e potenti seduti intorno a un tavolo interroga una donna. Lei è davanti a loro, costretta in piedi, lasciata sola. Con linee semplici, colori decisi e pochi significativi dettagli, Zehra Ömeroğlu rappresenterebbe così la situazione del genere femminile nel mondo del lavoro.
Zehra Ömeroğlu (classe 1985) ha iniziato a disegnare da bambina con le penne del padre. Ammirando i burocrati della sua famiglia, ha studiato economia aziendale e conseguito un MBA. Poi si è dedicata esclusivamente all’umorismo: ha iniziato la sua carriera professionale come vignettista nel 2012 con la rivista Bayan Yanı, proseguendo poi con la rivista LeMan. Ha contribuito con vignette e storie illustrate alle principali riviste umoristiche turche e continua a farlo. Ha pubblicato tre libri: “Karikatürler” (2015), “Bitikler için Olumlamalar” (2022) e “Psikoloji Karikatürleri” (2024). Nel 2023, ha iniziato a disegnare cartoni animati settimanali per il canale televisivo francese France 24. Continua a pubblicare i suoi lavori su vari giornali e media, tra cui LeMan, France 24, Le Monde e Cartooning for Peace.
Visita il suo profilo instagram Visita il sito ufficiale«In ogni settore si cerca sempre di isolarci, per indebolirci» spiega. L’artista turca è sotto processo da quattro anni per una vignetta sui sintomi del Covid-19, pubblicata il 25 novembre 2020 sulla rivista umoristica turca Leman1. «Credo che la prospettiva dello Stato sulle donne e il ruolo che attribuisce loro abbiano un ruolo significativo in questo. I vignettisti maschi che disegnano scene simili non vengono perseguiti per oscenità».
Tratteggiare la discriminazione
Cosa conta davvero nella valutazione delle performance lavorative? Chi lo ha fatto? Cosa ha fatto? Come? La vicenda di Ömeroğlu, da lei stessa raccontata durante la cerimonia di premiazione dell’European Cartoon Award2, colpisce anche per l’ambito in cui avviene: «Nell’arte dovrebbe prevalere il pensiero libero, ma non è così. Io e i miei colleghi uomini facciamo lo stesso lavoro, affrontiamo gli stessi temi, ma quando è una donna a creare queste opere, la società e lo Stato la giudicano in modo completamente diverso» racconta.
A suo avviso, perfino le reazioni alle sue vignette variano: «Sebbene la risata sia una delle reazioni più elementari e incontrollate, la vedo cambiare a seconda del genere dell’autore» sottolinea. «Donne e uomini sono entrambi soggetti a rigide restrizioni nel mio Paese, ma in modi diversi. Quando una donna disegna una vignetta dura, si sente dire che “non si addice a una donna” o che dovrebbe “essere più morbida e modesta”. Ma se un uomo ne disegna una ancora più dura, viene accolto con maggiore favore». Ogni volta che disegna scene politiche o di attualità, Ömeroğlu riceve sempre le stesse critiche: «Perché non disegni temi femminili?».
La sensazione è che «Solo perché sei una donna, alcuni si sentono in diritto di decidere cosa dovresti disegnare. E in generale di dirti cosa devi fare».
Guardandosi attorno in cerca di spunti per le prossime vignette, questa artista continua a notare quanto sia difficile trovare un settore in cui tra donne e uomini ci sia equità di valutazione delle performance. Questo non la scoraggia, anzi, le regala occasioni per «continuare a sfidare i ruoli prescritti e interiorizzati assegnati alle donne» ci spiega.
Basta sfogliare le sue opere per capire che la sua strategia consiste nel collocarle in ruoli diversi e raffigurarle in modi diversi da quelli che siamo abituati a vedere. «Voglio combattere gli stereotipi di genere presentando le donne sotto una luce non convenzionale, per spingere tutti ad adottare una nuova prospettiva»spiega. Oltre alla penna, usa l’umorismo: «lo strumento più potente in questo senso».
Nonostante la richiesta di condanna da tre mesi a sei anni di carcere e gli innumerevoli attacchi sui social media, la voce e l’arte di Ömeroğlu brillano di grinta e sagacia. E l’ironia non l’abbandona mai. Quando le si chiede come disegnerebbe il mondo tra 10 anni, con uomini e donne trattati in modo uguale, non manca di sottolineare l’errore… “di performance”. «Dieci anni sono davvero pochi per questo! Le donne devono ancora oggi pagare un prezzo elevato solo per esistere: ne manca per arrivare a essere misurate in modo equo! Quando accadrà, sarò lieta di disegnarlo, ma ho ancora molto tempo per immaginare come farlo». Scherza, ma poi si fa seria e vuole assicurarsi di non passare per pessimista. «Oggi le cose stanno cambiando rapidamente e i progressi che abbiamo fatto nei diritti delle donne e nell’uguaglianza di genere sono incredibili – precisa – Non ho dubbi che le donne arriveranno a essere valutate equamente, al pari degli uomini. C’è solo bisogno di tempo».
Alla fonte delle misure distorte
Il tempo spunta anche nelle riflessioni di chi illustra il ruolo delle donne nel mondo del lavoro con un altro tratto. Non usa matite e colori ma numeri: analizza quelli con cui oggi si misurano le performance lavorative, che ne deformano la qualità, assottigliandola quando la protagonista è donna.
Per raccontare questo scenario, l’economista Marcella Corsi non recita le solite cifre su gender gap, gender pay gap, gender role gap3 a cui siamo ormai assuefatti. Sceglie di risalire la corrente, andando alla fonte, per capire come si misurano le performance lavorative e perché questo “come” non sia efficiente, quindi, per paradosso, “performante”.
Marcella Corsi è professoressa ordinaria di economia politica all’Università La Sapienza di Roma. Ha conseguito un Ph.D in Economics all’Università di Manchester (Gran Bretagna). E’ tra le fondatrici della rivista online inGenere.it. Ha svolto attività di consulenza per diverse istituzioni internazionali (Commissione europea, Parlamento europeo, OCSE). Dirige, dal 2017, la International Review of Sociology. Coordina, dal 2017, Minerva – Laboratorio su diversità e disuguaglianze di genere all’interno del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’università La Sapienza. Dal giugno 2023 è parte del board della International Association for Feminist Economics.
Scopri inGenere.it Scopri la International Review of Sociology Scopri il Dipartimento di Scienze Statistiche dell’università La Sapienza Scopri la International Association for Feminist EconomicsÈ un processo che richiede pazienza: per estirpare un problema radicato nel profondo, bisogna scavare, sporcarsi le mani e non avere fretta. «La valutazione si può basare sul tempo o sulla quantità di lavoro erogato, oppure sulla sua remunerazione» spiega, per poi mostrare come in entrambi i casi il metodo usato non sia equo. Sul tempo e la quantità di lavoro erogato, ad esempio, impattano il tasso di attività o inattività (quante donne affermano di voler lavorare), il tasso di occupazione (quante donne trovano lavoro) e quello di disoccupazione (quante delle donne che vogliono lavorare trovano lavoro).
«Tutti questi tassi in Italia raggiungono soglie preoccupanti: i divari di genere sono cronici e ci sono precise dinamiche che li rendono tali – spiega Corsi – Più che non voler lavorare, molte donne sono probabilmente ancora condizionate da forti stereotipi culturali, o costrette a gestire figli o parenti. Il loro non lavorare non è una reale scelta libera». Anche il basso tasso di occupazione femminile, secondo Corsi, è legato al tipo di occupazione: «le donne trovano spesso solo lavori fragili e sottopagati, che impattano sulla qualità della performance alla radice: risultano inevitabilmente meno qualificati e meno qualificanti» spiega. Lo stesso vale per il tasso di disoccupazione, alto perché sempre alto è quello di chi svolge lavori fragili. «Le donne sono più colpite dalla crisi lavorativa, segregate spesso in quelli che chiamiamo settori chiave della nostra economia come terziario, commercio, alberghiero – racconta Corsi – Caso vuole che siano proprio i settori ad alto rischio di disoccupazione».
Quanto vale l’equità?
Se la misura del tempo speso lavorando non porta all’equità, gli euro o i benefici guadagnati ancora meno. Nel 2024, secondo il Global Gender Gap Index del World Economic Forum4, l’Italia ha perso otto posizioni rispetto al 2023, scivolando all’87esima su scala globale. In Europa occupa la 37esima, seguita solo da Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia.
«Essere pagate meno significa non avere autonomia decisionale» sottolinea Corsi.
«Esistono leggi per contrastare questo fenomeno, ma ci sono tante forme di ingiustizie, ricatti e modalità al momento del contratto che vedono le donne spesso soggette a ribassi. E fanno in modo che non si sentano forti in fase contrattuale». Chi imputa le cause di questo fenomeno alle donne, disegnandole “affette” dalla sindrome dell’impostore5 sbaglia, secondo Corsi. «È la conseguenza del crescere in ambienti ancora fortemente maschilizzati, dove le donne sono viste e trattate come aliene. È una sindrome indotta, di chi si è già misurato con una sfida e sa cosa la aspetta» spiega, per poi proporre azioni di cambiamento.
L’educazione alla parità deve iniziare dalle immagini del sussidiario, dai giochi per la prima infanzia, dai comportamenti in famiglia. «I bambini non nascono il senso di ingiustizia di genere, nasce dopo, con gli stereotipi» spiega Corsi. Parla di equità e non usa che questo termine perché «non siamo uguali. L’obiettivo deve essere quello di fare sì che i maschi stirino e facciano cose che oggi sono considerate “da femmine”». Scalando le responsabilità verso le istituzioni, serve poi investire nel mondo del lavoro, «in quello pubblico però, dove ci sono meno discriminazioni – spiega Corsi – Oggi al contrario si tende a privatizzare tutto. Ci vorrebbe poi una generale educazione a una gestione del tempo più equa e allo scambio di ruoli, oggi in Italia totalmente assenti».
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Aggiustare il mondo con dati nuovi
Guardando i dati sia italiani che globali, l’unico modo per far sì che le performance lavorative delle donne siano valutate equamente sembra quello di truccarli. Per eliminare il gender gap bisogna barare? C’è chi ha scoperto come farlo in modo lecito e virtuoso, correggendo i numeri che descrivono la realtà, perché siano più equi e veritieri.
È un modo per ripristinare una visione oggettiva del mondo, diversa da quella ricca di bias che continuiamo ad accettare e con cui continuiamo ad allenare i modelli di AI che stanno disegnando il nostro futuro. È un’operazione non banale ma che potrebbe essere una strada valida verso l’equità di valutazione performativa. Shalini Kurapati ha iniziato a percorrerla avventurandosi nel mondo della finanza con Clearbox AI, la società che ha fondato e con cui sta provando a riequilibrare i dataset. Lo fa producendo dati sintetici, «creati tramite algoritmi AI da campioni di dati reali e che mantengono le stesse proprietà statistiche dei dati originali, ma permettono di popolare aree meno rappresentate, come ad esempio quelle relative a gruppi demografici o classi minoritarie» spiega.
Questo “trucco” impatta sui bias, anche su quelli di genere: «se i dataset reali sono sbilanciati il modello tende a privilegiare la classe maggioritaria, influenzando negativamente le sue prestazioni in termini di equità e generando pregiudizi».
«Con i dati sintetici, è possibile incrementare il numero di esempi della classe minoritaria e migliorare le metriche di equità del modello: gli si permette di “imparare” in modo più equilibrato, riducendo il rischio di prendere decisioni discriminatorie o distorte».
Shalini Kurapati è un’imprenditrice, ricercatrice, speaker e formatrice nel campo del “Data-Centric AI” e “Responsible AI”. È co-fondatrice di una startup di dati sintetici a Torino che ha ricevuto il premio WomeTechEU dalla Commissione europea come la migliore delle 50 startup deeptech guidate da una donna. La sua esperienza si colloca all’intersezione tra tecnologia, politica e gestione. Shalini ha conseguito un dottorato di ricerca alla Delft University of Technology (Paesi Bassi). È specializzata in questioni di trasparenza, privacy e correttezza lungo tutto il ciclo di vita dei dati ed è anche Certified Informational Privacy Professional/Europe (CIPP/E) con una conoscenza comprovata del GDPR e delle leggi europee sulla e-Privacy.
Vai al suo linkedinApplicare tutto ciò nel mondo della finanza, significa contrastare le discriminazioni dirette e indirette nelle valutazioni di performance e nelle decisioni finanziarie6. Per esempio, evitare che si ripeta quanto accaduto con la Apple Card, che ha assegnato limiti di credito differenti tra uomini e donne, «basandosi su modelli statistici che indicavano una tendenza delle donne a spendere di più, senza considerare il contesto più ampio» ricorda Kurapati.
Sempre restando nel settore finanziario, esiste ancora un notevole gender gap in decisioni cruciali come la concessione di mutui o prestiti: «Dato che le donne guadagnano mediamente meno degli uomini, i modelli tendono a penalizzarle, favorendo invece gli uomini anche a parità di condizioni economiche o di affidabilità creditizia».
Il quadro svelato ricorda e rinforza quello storico raccontato da Corsi, ma offre anche una strada per disegnarne uno nuovo, in cui riequilibrare dando i numeri, numeri equi, e non solo nel settore finanziario. La pervasività dei numeri che finora ha penalizzato le donne e distorto le loro performance, ora può giocare a loro vantaggio, specialmente in settori particolarmente sensibili come quello sanitario e legale.
«Nel primo caso, la disponibilità di dati sintetici accurati e rappresentativi permette di sviluppare modelli predittivi affidabili, specialmente nella diagnosi medica, nella ricerca sui farmaci o nella personalizzazione dei trattamenti – spiega Kurapati – Nel settore legale, si possono migliorare significativamente l’equità e la precisione dei modelli, in particolare quando si utilizza l’intelligenza artificiale per supportare decisioni legali, come la valutazione del rischio di recidiva o l’assegnazione di pene».
Ottenere equità di performance in tre settori fortemente impattanti sulla qualità di vita delle persone come finanza, sanità e giustizia sarebbe un sogno, ma si può sognare ancora più in grande: Kurapati assicura successo anche nell’educazione e nelle politiche sociali. Grazie a quella stessa tecnologia che spesso si fa complice e amplificatrice di disuguaglianze (non solo di genere), attraverso i dati sintetici, si può ripristinare equità in modo seriale. Un’opportunità quasi inaspettata, ma cercata e voluta, che oggi possiamo cogliere, senza lasciarci a nostra volta bloccare da pregiudizi su ciò che è artificiale. In questo caso, potrebbe diventare il miglior metodo naturale per provare ad “aggiustare il mondo”.
- Per il processo a Zehra Ömeroğlu, Admin-Cfp, & Admin-Cfp. (2024, April 24). Alert Türkiye – Zehra Ömeroğlu – Cartooning for Peace. Cartooning for Peace – Dessins pour la paix. https://www.cartooningforpeace.org/en/alerte-turquie-zehra-omeroglu/ ↩︎
- Per il racconto della serata degli European Cartoon Award, Del Rosso, E. (2024, October 18). Uncategorized Archives – European Cartoon Award. European Cartoon Award. https://europeancartoonaward.com/category/uncategorized/ ↩︎
- Rispettivamente, “divario di genere”, “divario salariale di genere”, “divario di ruolo di genere”. ↩︎
- Per consultare il report, World Economic Forum. (2024). Global gender gap report 2024. https://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2024.pdf ↩︎
- Percezione psicologica di non meritare il successo personale e di aver quindi “mentito” sulle proprie capacità e competenze. ↩︎
- L’iniquità di valutazione delle performance finanziarie in numeri è ben spiegata in Browne, R., & Sigalos, M. (2023, June 23). A.I. has a discrimination problem. In banking, the consequences can be severe. CNBC. https://www.cnbc.com/2023/06/23/ai-has-a-discrimination-problem-in-banking-that-can-be-devastating.html ↩︎