
Rifiuti di plastica e biodiversità invisibile, discariche abusive e piante in evoluzione. Il patrimonio naturale e tutto ciò che lo minaccia possono essere protagonisti di attività artistiche per rigenerare qualsiasi luogo sofferente del pianeta, assieme a chi li abita. L’artista ambientalista GCV racconta cosa può accadere quando tutto funziona e tutti partecipano.
«Ci sono rifiuti sul fondo del mare, sui pendii montuosi, sulle isole in mezzo agli oceani e anche dentro le mie cellule sanguigne. Sono diventata… un rifiuto! Quando ho deciso di volere questo tipo di identità?». Con queste parole, GCV non apre solo una mostra, ma uno squarcio.

Con una formazione formale in studi culturali, GCV è attiva in campo creativo da 15 anni. Il suo percorso nella fotografia artistica è iniziato nel 2014, preceduto dalla fotografia documentaria, la sua prima apparizione in un festival di fotografia risale al 2020. La sua attività attuale combina: esplorazioni foto-performative, videowork, concetti espositivi, installazioni di oggetti d’arte e natura, progettazione di spazi immersivi e costumi, esercizi di illustrazione digitale e, più recentemente, pratiche di earth-based/ land-art, microscopi d’arte e alcuni interventi performativi; sotto, quasi continuo upcycling e artigianato. È cofondatrice del collettivo Plastic Art Performance, un gruppo artistico con sede a Bucarest che dal 2020 collega coscienza-corpo-ecologia attraverso l’arte.
Sul corpo, sull’ambiente, sulla crisi. Le sue performance, fatte di microscopi, semi che germogliano su pelle viva, plastica fusa nella carne della Terra, nascono da un’urgenza: curare i luoghi feriti, insieme a chi li abita.
Ma non si tratta solo di arte provocatoria. Nei progetti di GCV, l’attivismo ambientale si intreccia a un metodo. Dopo anni di sperimentazione tra comunità rurali, territori in sofferenza e discariche illegali, ha identificato tre elementi che rendono efficace ogni intervento artistico partecipato.
L’ABC dei progetti efficaci
Al primo posto GCV mette l’ascolto. Ma non uno qualunque, si tratta di «documentazione preliminare approfondita per acquisire una visione dettagliata delle interconnessioni tra geografia, demografia ed economia in strati sociali e culturali diversi», a loro volta collegati a specifiche questioni ecologiche. Questo processo è fondamentale, può durare mesi e richiede di instaurare relazioni vere, durature e paritarie. Come le insegna il suo lavoro di etno-antropologia, infatti, l’osservazione è la base di partenza e richiede «tanto tempo e persino tante visite sul campo, per far crescere un rapporto forte tra artisti, facilitatori e membri della comunità», ricordando sempre che «l’accedervi è una negoziazione costante, in cui sono le persone ad avere l’ultima parola». Tempo, pazienza e dedizione sono, poi, elementi importanti non solo nella fase iniziale, ma accompagnano l’intero processo di realizzazione del progetto.
«L’attività messa in campo», fa notare GCV, «non deve essere una toppa temporanea su ferite antiche e disuguaglianze sociali attuali, ma uno sforzo costante e continuo da parte di chi detiene il potere».
Al secondo posto c’è la presenza dell’arte. La vera sfida dei progetti consiste nel trovare, di volta in volta, approcci adeguati ad affrontare il tema della crisi climatica e dell’adaptation1. Questa ricerca «è sempre profondamente interdipendente dalle possibilità della comunità, dai suoi livelli di salute, istruzione, sicurezza e dai servizi di base forniti». Per individuare una strada vincente, proprio gli artisti sono sempre più richiesti nel team di lavoro e l’interdisciplinarietà è il pilastro indispensabile, secondo GCV, affinché un progetto possa avere reale significato per le persone coinvolte nel territorio. Il terzo riguarda l’origine:
«Qualsiasi soluzione si sceglie di sviluppare, deve sempre nascere da uno stimolo fornito dalla comunità stessa, deve crescere dall’ambiente locale ed essere condivisa dalla maggioranza», spiega.
«Impiantare idee altrui, “straniere”, anche se con buone intenzioni, è come pretendere di far crescere pomodori da semi di cetriolo».
Quando l’arte attecchisce nel reale
GCV si definisce “upcycler da sempre”: fin da bambina trasformava tutti gli oggetti scartati, persi o dimenticati che trovava in giro. «C’erano sempre vecchi cartoni pronti a essere rimodellati in minuscole case con mobili», racconta. «E sono da sempre una grande fan della trasmutazione2. Anche un piccolo gesto come ridare vita a un oggetto percepito come morto aveva la capacità di farmi sembrare il cambiamento qualcosa di accessibile, non solo un concetto astratto e sognante». Basta, infatti, osservare i suoi progetti, per comprendere che GCV è tutt’altro che un’artista (e persona) che si nutre di teorie e di principi sterili.
Nel 2023, con il progetto HyperAbject3, ideato con il partner Alexkiro4 all’interno del progetto There is NO away!5, ha fotografato rifiuti di plastica rinvenuti in discariche illegali attorno a Bucarest. Le immagini, mostrate attraverso un microscopio digitale in un evento immersivo conclusivo, trasformavano le cicatrici, la pelle, le rughe dei visitatori in rifiuti, portando a una potente identificazione emotiva da parte di chi partecipava. A rafforzarla, un video che combinava immagini raccolte e riprese satellitari delle discariche.
Nel 2024, con il collettivo Plastic Art Performance, ha dato il via a “Holobiont, movimento adattivo per la sopravvivenza interspecie”6, un progetto di danza collettiva che ha chiamato a raccolta un team internazionale di artisti e artiste per «smantellare l’antropocentrismo attraverso il collasso del sé biologico unitario». I performer indossavano, infatti, dei costumi pensati per coltivare diverse varietà di semi su garze biodegradabili, mostrando come il movimento venisse influenzato dagli organismi viventi sulla pelle. Per una decina di giorni GCV ha osservato silenziosamente al microscopio la trasformazione dei semi in micro piante con ingrandimenti fino a mille volte e realizzando diapositive che venivano di volta in volta integrate nello spettacolo. Ne è nato un appuntamento “live”, una singolare fusione tra danza e microscopia: un «dialogo tra i corpi dei danzatori, intrappolati nelle loro reti interconnesse, e le timide trasmutazioni di un umile seme, il locus di tutte le potenzialità e di tutta la vita».
Il terzo progetto è il più recente e nasce poco dopo. Black Delta ha risposto agli incendi del Parco Naturale Văcărești con una pratica di “ecologia affettiva”7 per «dare voce con diversi strumenti a un paesaggio ferito, stabilendo una sorta di pratica di ecologia affettiva». Il laboratorio aperto propone un’esplorazione libera e non gerarchica delle varie arti e dei tanti sensi, coinvolgendo i visitatori attraverso immagini olfattive, visive, acustiche, oltre che invitandoli a un movimento guidato e a una pausa presso una postazione di indagine al microscopio. «Parte del mio lavoro è stata la raccolta di tanti campioni di acqua e suolo da diverse aree del parco colpite e non colpite dall’incendio, per poi analizzarli comparativamente al microscopio», racconta. «Ne è nata anche una biblioteca di campioni consultabile durante l’evento partecipativo».
Gli strumenti del prendersi cura
Il microscopio è quasi sempre al centro delle creazioni di GCV che ammette di essere in perenne ritardo nell’adottare nuove tecnologie. Ma non è solo per questo. L’utilizzo di uno strumento attento al minuscolo è una esplicita scelta, rappresenta un’intenzione e anche una speranza, quella di «ispirare maggiore cura e delicatezza per tutto ciò che è piccolo e non viene visto ma è estremamente vivo, esiste ed è sia intorno che dentro di noi. Per continuare a condividere la sua bellezza e il suo ruolo vitale».
L’artista ricorda bene la prima volta che ha “incontrato” il microscopio, è stato nel laboratorio di biologia che sua madre ha curato per più di 20 anni, un vero cabinet de curiosités8 con felci giganti e lussureggianti, piante serpente, Monstera, uccelli del paradiso e varie tipologie di palme. «La mia giovane immaginazione evocava viaggi in foreste tropicali inesplorate, accanto a manichini anatomici a grandezza naturale, pannelli educativi sulle cellule biologiche e decine di materiali didattici, tra cui pezzi rari di tecnologia vintage come retro-proiettori, diapositive e lightbox, tutti circondati da scaffali alti fino al soffitto con animali impagliati e scheletri spaventosi intrappolati in formaldeide, racconta, come se fosse ancora lì. «Proprio su uno di questi scaffali troneggiavano orgogliosi due microscopi, ben avvolti in strati anti-polvere: i due tesori del Laboratorio Educativo della Scuola Pedagogica del mio quartiere. I primi microscopi della mia vita».
Nonostante le numerose innovazioni tecnologiche che ha poi incrociato e sperimentato crescendo, il microscopio è sempre rimasto il suo strumento preferito per fare arte, un «giocattolo immersivo che mi trasforma istantaneamente in quella bambina spensierata che per la prima volta ci ha guardato attraverso e ha dimenticato di respirare».
Le poche volte che lascia il suo microscopio a riposo, GCV si dedica alla fotografia, facendone un uso creativo e polifonico che risulta più innovativo di tante tecnologie dette “avanzate”. La usa per catturare tracce, come strumento intimo per documentare processi interiori, come mezzo per archiviare grandi testimonianze e minuscoli dettagli. Ha addirittura creato una biblioteca visiva delle texture di materia organica catturate in ogni luogo visitato e che tuttora arricchisce, trasformandolo in un’opera in continuum. Il suo sguardo vivo è sempre pronto a guardarsi attorno, anche con la tecnologia, ma l’unico modo in cui ne ammette l’abuso essere quello finalizzato a tracciare e immergersi in nuovi percorsi verso un futuro simbiotico. Vale anche per l’intelligenza artificiale da cui per ora si è tenuta lontana e, al momento, ha intenzione di restarci. La sua scelta ha pragmatiche ragioni ambientali e le illustra molto chiaramente, ma ammette che esistono varie opportunità in cui quella stessa tecnologia può dare benefici, se ben sfruttata. «Sebbene mi opponga fermamente all’accelerazione generale dell’adozione dell’AI per ragioni legate al suo consumo di elettricità e acqua, all’aumento delle emissioni di carbonio e di rifiuti elettronici, allo stesso tempo ne riconosco gli impatti positivi in alcuni campi, a partire dalla medicina» spiega.
Il collettivo Plastic Art
La fotografia è stata anche il modo per passare alla performance, dando vita a progetti foto-performativi assieme al collettivo Plastic Art Performance Collective9 e ad Alina Tofan, l’altra artista con cui lo ha creato, «progetti che ci hanno insegnato ad adattarci e a capire i modi in cui ciascuna vede il mondo, persino ad abitarli per un breve momento».

«Eravamo e siamo entrambe profondamente preoccupate dalla produzione infinita (non riciclabile) di plastica, dalla sua ubiquità e dai danni che ha causato agli ecosistemi sia globalmente che a casa nostra», spiega. «Abbiamo unito le forze per trasmettere in un’opera completa le preoccupazioni urgenti che avevamo accumulato per anni riguardo allo stato del pianeta e al nostro comportamento distruttivo, in un Nord Globale turbo-capitalista e, nello specifico, nell’angolo dell’Europa orientale».
Le due artiste hanno iniziato poco prima della pandemia a tracciare biografie affettive dei rifiuti plastici: narrazioni emotive e materiali che raccontano la presenza pervasiva della plastica nella vita umana, a partire dall’infanzia fino all’età adulta. Partendo dai ricordi di Tofan e poi invitando altre testimonianze plastiche dalla comunità, è stato realizzato nel 2020 un progetto di intervento culturale Plastic: Affective memory and Waste con una performance itinerante, un’installazione di realtà virtuale10 e un opuscolo. Un inizio fragoroso e multiforme che ha dato vita a una serie di altri progetti collegati e non, ma sempre con forti messaggi ambientalisti.
La ricerca continua, infatti, a espandersi ma il concetto di lavorare con materia scartata, che sia plastica, o siano tessuti, resta un costante ritorno per GCV, perché è forte il desiderio di «portare avanti idee o processi che attestano l’interconnessione degli esseri viventi o che affrontano le radici della attuale policrisi mi radica», spiega, «provocando, criticando e offrendo possibili soluzioni».
«Desidero che tutto ciò che creo rimanga nativo, fertile e utile, come specie vegetali naturalmente presenti nel cortile di casa».
- L’adaptation si riferisce agli aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali o economici in risposta a stimoli climatici reali o attesi e ai loro effetti. Indica cambiamenti nei processi, nelle pratiche e nelle strutture al fine di moderare i potenziali danni o trarre vantaggio dalle opportunità associate ai cambiamenti climatici. In termini semplici, i paesi e le comunità devono sviluppare soluzioni di adattamento e attuare azioni concrete per rispondere agli impatti attuali e futuri del cambiamento climatico. https://unfccc.int/topics/adaptation-and-resilience/the-big-picture/introduction ↩︎
- Trasmutazione è un termine che assume significati diversi a seconda del contesto, ma in generale indica un cambiamento radicale della natura, forma o sostanza di qualcosa. ↩︎
- Il termine “hyperabject” è una sintesi teorica tra Hyperobjects di Timothy Morton: oggetti così vasti (come il cambiamento climatico, la plastica, la radioattività) che sfuggono alla percezione umana tradizionale e sfidano i confini del tempo, dello spazio e dell’intelligibilità umana. La teoria dell’abietto di Julia Kristeva: ciò che è espulso, disgustoso, e destabilizza l’identità e l’ordine simbolico. Cfr. Frantzen, M. K., & Bjering, J. (2020). Ecology, Capitalism and Waste: From hyperobject to Hyperabject. https://philpapers.org/rec/FRAECA-4 ↩︎
- Profilo artistico di Alexkiro: https://youtube.com/@alexkiro1867?si=wRIvt3Gd3wNxvofT ↩︎
- La pagina ufficiale del progetto: https://thereisnoaway.net/ ↩︎
- Holobiont, in dettaglio:
https://www.plasticartperformance.com/holobiont-micros/
https://alexkiro.github.io/holobiont/?page=44 ↩︎ - Riguardo gli incendi nel Parco Naturale Văcărești: Gjergji, O. (2024, January 8). Romania, società civile ed UE per fronteggiare gli incendi. Osservatorio Balcani E Caucaso Transeuropa. https://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-societa-civile-ed-UE-per-fronteggiare-gli-incendi-229069 https://www.balcanicaucasoorg/aree/Romania/Romania-societa-civile-ed-UE-per-fronteggiare-gli-incendi-229069 ↩︎
- Cabinet de curiosités, cosa significa e perché si chiama così: Guillermet, J. (2023, May 30). Cabinet de curiosité : définition, histoire, objets singuliers…Voici comment le composer. https://deco.journaldesfemmes.fr/guide-amenagement-et-travaux/2691699-cabinet-de-curiosite-definition-histoire-objet/ ↩︎
- Plastic Art Performance Collective, sito ufficiale: https://www.plasticartperformance.com/ ↩︎
- Il lavoro in realtà virtuale di Alexandru Claudiu Maxim (parte di Plastic affective memory and waste – the plastic biography of Alina) può essere visto come video a 180 gradi. “Tofan’s memories”: https://youtu.be/qkzttLZaKHU?si=XRz4Ij5rkFMm7Ek1 ↩︎