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L’economia che nasce dai rifiuti del mare

Come e perché il "Fishing for Litter" è un modello da conoscere

Riccardo Silvi
una storia scritta da
Riccardo Silvi
 
 
L’economia che nasce dai rifiuti del mare

Ogyre, benefit corporation e startup innovativa, è “content partner” di Mangrovia per l’habitat dell’acqua salata. Grazie alla collaborazione, raccontiamo in questo articolo un nuovo modello di sviluppo socioecologico legato al mare e alla sua salute

Marcelo da Silva Fonseca vive di pesca da 30 anni. Ogni giorno esce con la sua imbarcazione davanti alla baia di Guanabara, nell’area metropolitana di Rio de Janeiro (Brasile), accompagnato dal suo cane. Con l’alta marea, insieme alla sua squadra, raggiunge le foreste di mangrovie e inizia la sua raccolta. Di plastica.

«È triste uscire in barca e vedere tutti quei rifiuti. Poi però quando torno a terra con il mio carico, mi sento bene, perché sento di aver fatto qualcosa di buono. Per questo continuo». Marcelo da Silva Fonseca, è uno dei circa 60 pescatori del progetto Ogyre1 che ogni giorno escono in mare per raccogliere rifiuti e ricevere un compenso per il loro lavoro. Un’attività che fa parte della rete mondiale di “Fishing for Litter”.

Marcelo da Silva Fonseca, 59 anni, vive nella comunità di pescatori di Guanabara Bay da 12 anni. Gli piace giocare a carte e a domino. Ho iniziato a pescare da ragazzo, guardando gli altri pescatori. Negli anni ha visto diminuire il numero di pesci: prima pescava molte spigole, ma oggi non le trova quasi più.

Davanti a un cumulo di plastica in mare, soprattutto durante i periodi più piovosi, da Silva Fonseca e gli altri pescatori raccolgono i rifiuti sia a mano che con dei retini. Un lavoro prezioso: «La plastica sta rovinando tutto» racconta. «I pesci la mangiano a pezzi, si ammalano e muoiono. Noi pescatori troviamo sempre più plastica nelle reti e sempre meno pesci sani. Purtroppo, oggi i pesci incontrano comunque rifiuti nella loro vita, non fa molta differenza se li peschi o meno insieme alla plastica. Pulire il mare, invece, fa la differenza. I pesci che non incontrano plastica, quelli sì che sarebbero pesci che valgono molto».

Pulizia del mare, salute del pescato, valore del prodotto, miglioramento dell’ecosistema e del tenore di vita delle comunità locali. Sono gli elementi che descrivono la vita di da Silva Fonseca e dei suoi colleghi ma sono anche le componenti di un modello virtuoso e concreto di economia circolare.

Alcune immagini dei pescatori Ogyre in Brasile e in Indonesia, impegnati nell’attività di raccolta dei rifiuti. Tutti i diritti riservati. Immagini riprodotte con il consenso degli autori.

Il costo del mare pieno di plastica

I rifiuti di plastica in tutti gli oceani sono tra il 61% e l’87% del totale2: quelli pesanti affondano nell’oceano, dove rilasciano gradualmente microplastiche, quelli più leggeri galleggiano e si accumulano nelle note “isole di plastica”. In un ecosistema, tutto è collegato: il risultato della presenza della plastica in mare è il suo ingresso nella catena alimentare, dai pesci ai nostri piatti. 

La pesca è da sempre un’attività bioeconomica, sia causa che effetto dell’interazione tra biologia ed economia. I residui dell’attività di pescaggio sono, infatti, fra i primi agenti di inquinamento dei mari: reti da pesca, boe, componenti delle imbarcazioni (eliche, timoni, ancore) che si perdono tra le acque. Allo stesso tempo, le persone che pescano sono da sempre “sentinelle” del mare e le prime interessate al suo stato di salute.

I rifiuti marini causano infatti impatti negativi sulla pesca che si traducono in una riduzione dei ricavi o in un aumento dei costi.

La domanda chiave per comprendere come funziona il modello di economia circolare della pesca di rifiuti è: quanto vale un pesce con lo stomaco pieno di plastica?

In primo luogo, il valore di un prodotto parte dai costi della sua produzione: pescare in un mare di rifiuti costa molto sia in termini di manodopera sia di materiali spesi per riparare o sostituire attrezzature che si danneggiano o si perdono. La salute del mare incide quindi sulla quantità di prodotto disponibile: un mare sporco è un mare con poco pesce. Le microplastiche, infatti, quando entrano nella catena alimentare marina, possono alterare il sistema metabolico dei pesci in almeno due modi: inducono un falso senso di sazietà, che può portare alla morte per fame, oppure possono produrre disturbi ormonali a causa dell’assorbimento delle sostanze tossiche per gli organismi viventi, che riducono la capacità riproduttiva della fauna marina3.

C’è inoltre un altro elemento che incide direttamente sul valore del pescato in un contesto inquinato: la domanda. Più le persone sono consapevoli degli impatti delle microplastiche sulla catena alimentare, più la domanda tende a calare. Così come il valore del pesce.

Una problematica globale che richiede soluzioni e approcci interdisciplinari e poliedrici. Una è appunto la pesca dei rifiuti.

Il valore di pescare rifiuti

Conoscere il meccanismo di creazione del valore economico, sociale e ambientale della pesca dei rifiuti significa approcciarsi a un vero e proprio modello di economia circolare, che nasce circa 25 anni fa da un’intuizione e che presenta grandi opportunità per il futuro.

In particolar modo per le comunità costiere in via di sviluppo, dove la pesca rappresenta una delle principali fonti di reddito e occupazione e che devono fronteggiare la crescente crisi di pesce disponibile.

Il paradosso è che in alcuni contesti del sud globale, i pescatori riescono a guadagnare di più dalla pesca dei rifiuti che dalla pesca del pesce.

Il “Fishing for Litter” è nato, infatti, nel 2000 come programma dell’organizzazione ambientalista KIMO4 in collaborazione con l’Associazione olandese della pesca per ripulire dai rifiuti il mare. In meno di 30 anni il programma si è ampliato, avviando collaborazioni e progetti paralleli in tutto il mondo.

Il meccanismo è semplice, a conferma della bontà dell’intuizione: durante le loro attività di pesca, i pescatori catturano i rifiuti come “prodotto secondario” che, invece di finire nuovamente in mare, viene riposto in appositi sacchi resistenti e poi smaltito a terra attraverso una filiera che genera nuovo valore economico diretto e indiretto.

Infatti, i rifiuti riportati a terra possono essere rivenduti sul mercato delle materie recuperate dalle quali estrarre le componenti per produrre nuovi oggetti, un mercato oggi fortemente spinto dalla domanda sociale.

Se non rivenduti, i rifiuti vengono smaltiti regolarmente ma senza aggravio di costi o procedure sui pescatori. È stato, infatti, dimostrato5 che la percezione dei rifiuti marini come emergenza collettiva influenza le opinioni delle persone e le loro azioni: ciò permette la nascita di progetti di sostegno diretto ad azioni di “Fishing for Litter” o ad azioni di lobbying sociale per l’istituzione di programmi pubblici di sostegno alla pesca dei rifiuti.

Nel tempo, questo ha portato ad un cambio di paradigma nei programmi di “Fishing for Litter”: alla pesca del rifiuto come prodotto secondario, è subentrata la raccolta della plastica e degli altri agenti inquinanti marini come attività primaria di veri e propri “pescatori di rifiuti”.

La formula della pesca circolare di plastica

I pescatori raccolgono rifiuti insieme al pesce (o raccolgono solo rifiuti), li portano a riva dove vengono remunerati direttamente dal mercato oppure da progetti sociali o pubblici. Il mare si pulisce gradualmente e la fauna ittica cresce di più in quantità e in qualità. I pescatori possono quindi fare affidamento su un prodotto primario (il pesce) con un valore sul mercato percepito più alto e quindi più remunerato.

I ricercatori Linh Nguyen e Roy Brouwer, analizzando questo meccanismo, sono arrivati a teorizzare una vera e propria formula di economia circolare e sostenibile per le materie plastiche6 presentando «un modello di ottimizzazione economica dinamica in cui il settore della pesca massimizza la sua utilità nel tempo come custode dei nostri oceani e mari».

La formula con cui Nguyen e Brouwer dimostrano la correlazione fra gli investimenti nella pesca dei rifiuti e la maggiore raccolta di pesce dei pescatori.

Il modello Ogyre

«Creare un sistema economico attorno alla raccolta dei rifiuti in mare significa, prima di tutto, inventarlo da zero ed essere sempre pronti a metterlo in discussione. Il “Fishing for Litter” è un mercato dove non c’è una nuova tecnologia legata direttamente al sistema di pescaggio che modifica il modello esistente e lo rende in qualche modo scalabile. C’è solo la volontà condivisa di un mare pulito e la consapevolezza che si sta facendo qualcosa di buono».

Antonio Augeri è prima di tutto un uomo di mare, un surfista. Dal 2020 è anche il cofondatore, con Andrea Faldella, della startup Ogyre, attiva in tre continenti per il recupero e lo smaltimento di rifiuti recuperati dal mare. Dalla teoria alla pratica, dalla formula economica all’economia diretta: Ogyre in 4 anni ha mobilitato oltre 400 mila euro verso i paesi del Sud Globale.

Antonio Augeri, 35 anni, laureato in management, surfista e startupper. Nel 2016 ha co-fondato un brand di abbigliamento chiamato “Sort of Looser”, poi venduto nel 2019. Poi, seguendo la passione per il mare, ha aperto scuola di Surf, chiamata “Roofless/Blackwave” fino al 2020 quando ha avviato il progetto Ogyre.

«È un progetto che arriva al “Fishing for Litter” ma parte solo dalla volontà di fare qualcosa per il mare» racconta Augeri. «Ho girato il mondo alla ricerca di onde e dopo in Marocco, Sahara occidentale, ho deciso che era il momento di avviare una startup per la salvaguardia degli oceani. Ho incontrato Andrea ed è nato Ogyre».

All’inizio, il modello Ogyre si è focalizzato sulla commercializzazione di abbigliamento realizzato con filati recuperati dalla plastica raccolta, ma si è evoluto velocemente in una piattaforma che connette le persone, le organizzazioni e soprattutto le imprese ai pescatori coinvolti nel progetto, attraverso specifiche campagne di raccolta. «Lavoriamo con quelle imprese che hanno deciso di iniziare una transizione dei loro modelli economici» spiega Augeri. «Il confine con il greenwashing è molto sottile, per questo Ogyre cerca realtà che dimostrano realmente la volontà di cambiare il proprio modo di creare valore».

Il ciclo del rifiuto in Ogyre è trasparente e tracciato: una volta pescati, i rifiuti marini vengono pesati e caricati su una specifica piattaforma, per poi essere consegnati al gestore locale dei rifiuti per lo smaltimento e il riciclo. Non essendoci nel mondo una norma univoca di gestione e smaltimento dei rifiuti marini, le percentuali di riciclo variano a seconda dei posti in cui Ogyre opera. In Brasile si riesce a riciclare circa il 25% dei rifiuti, in Indonesia la percentuale è più bassa e varia a seconda dei periodi, oscillando tra il 2% e 3% fino a punte del 10%.

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La boutique degli impact credit

Come ogni modello di economia socioecologica7, l’impatto che Ogyre sta avendo non è solo in termini economici ma anche sociali, soprattutto nei contesti economici emergenti.

Mossi dalla redditività garantita dalla raccolta dei rifiuti, i pescatori diventano anche ambasciatori nelle loro comunità di una inedita sensibilità ambientale. «Qualche tempo fa la comunità di pescatori che lavora con noi in Indonesia ha festeggiato il ritorno dei granchi tra le mangrovie. Per noi è stato un feedback importantissimo» sottolinea Augeri. «Quando peschi un rifiuto e poi lo ributti in mare, te lo ritrovi prima o poi nelle reti».

Chi partecipa ai nostri programmi spezza questo circuito e matura una sensibilità nuova nella gestione del rifiuto.

Una nascente cultura ecologia confermata dal pescatore da Silva Fonseca: «Ci è voluto un po’ di tempo, ma ora la maggior parte delle persone capisce che raccogliere rifiuti è la cosa giusta. Soprattutto i bambini sono curiosi e fanno domande, e noi siamo felici di spiegare loro perché è importante mantenere il mare pulito».

Nel futuro di Ogyre c’è sempre l’acqua salata ma con nuove prospettive. «L’ultima volta che sono stato in Indonesia per incontrare i nostri pescatori, mi sono ritrovato faccia a faccia con il governo locale» racconta Andrea Faldella. «Erano venuti a ringraziarci per quanto stessimo facendo per quella comunità. È stato di grande stimolo per continuare a spingere e a crescere con il nostro progetto. Il sogno è quello di diventare una boutique di impact credit, che aiuta le imprese interessate al percorso di transizione ecologica».


  1. Il sito ufficiale: https://www.ogyre.com/it ↩︎
  2. Per consultare i dati, si veda Barboza, L. G. A., Cózar, A., Gimenez, B. C., Barros, T. L., Kershaw, P. J., & Guilhermino, L. (2019). Macroplastics pollution in the marine environment. In Elsevier eBooks (pp. 305–328). https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/B978012805052100019X ↩︎
  3. Per approfondire gli effetti delle microplastiche, si veda OSPAR (2009). Marine litter in the North-East Atlantic Region: Assessment and priorities for response. London, United Kingdom. https://qsr2010.ospar.org/media/assessments/p00386_Marine_Litter_in_the_North-East_Atlantic_with_addendum.pdf ↩︎
  4. Sul “Fishing for litter” e l’associazione KIMO, si veda il sito ufficiale dell’associazione: https://www.kimointernational.org/fishing-for-litter/ ↩︎
  5. Sulla percezione dei rifiuti marini, si veda Forleo, M., & Romagnoli, L. (2023). Fishing for litter for the reduction of marine plastic debris: What benefits and costs do Italians perceive? Marine Pollution Bulletin192, 115018. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0025326X23004502 ↩︎
  6. Per approfondire i loro studi, si veda Nguyen, L., & Brouwer, R. (2022). Fishing for Litter: Creating an Economic Market for Marine Plastics in a Sustainable Fisheries Model. Frontiers in Marine Science9, 722815. https://www.frontiersin.org/journals/marine-science/articles/10.3389/fmars.2022.722815/full#B3 ↩︎
  7. Per scoprire in che cosa consiste l’economia socioecologica, si veda https://mangrovia.info/come-il-carbonio-blu-guida-i-business-socio-ecologici/ ↩︎

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