Cosa è la performance? Come si fa a far dialogare con la propria arte Oriente e Occidente? Lo abbiamo chiesto a Ratnabali Kant, una delle pioniere della performance art in India
«Se non puoi plasmare la tua vita nel modo che desideri, almeno provaci il più possibile»: una donna ripete queste parole alle persone che la stanno ascoltando, accanto ad una piramide di vasi di terracotta, nell’area libera dal parcheggio dell’auditorium Kamani, uno dei più prestigiosi di Nuova Delhi.
Il 28 marzo 1996 Ratnabali Kant ha già dieci anni di sperimentazione alle spalle: Death of Desire è una Ritual Installation Performance, un rituale per la realizzazione del desiderio. Oggi è considerata una delle pioniere della performance art in India. L’abbiamo contattata.
Ratnabali Kant è nata a Calcutta nel 1956. Ha conseguito sia la laurea triennale che la magistrale in “Scultura”, prima all’Università Visva Bharati di Santiniketan, nel Bengala, e poi all’Università Maharaja Sayaji Rao di Baroda, nell’India occidentale. Vincitrice di una borsa di dottorato del governo greco, ha trascorso i primi anni ’80 ad Atene, dove ha realizzato la sua prima performance “Rainbow of Desire” (1985). Tornata in India nel 1986, si è dedicata nei successivi vent’anni a esplorare l’universo della performance artistica. Nel 2006 Kant ha pubblicato Ephemeral Steps, Enduring Imprints: Installation Performance, 1985-2005 (Raza Foundation). Nel febbraio 2024 il Bihar Museum di Patna ha dedicato una retrospettiva alla sua ultradecennale carriera.
Cosa è per lei la performance?
La performance è l’atto di presentare qualcosa usando i gesti del corpo e la voce.
La performance art è una forma d’arte che si intreccia con l’arte visiva oppure un’opera in cui l’artista usa il proprio corpo per esprimere i propri pensieri e/o le proprie idee.
In che senso, come ha dichiarato, “La performance art è l’arte della resistenza ed è costruttiva nella sua natura”?
Sì, per me questa è l’arte della resistenza e della protesta, costruttiva sia visivamente che concettualmente, perché insieme alla performance costruisco anche una installazione.
Cosa l’ha spinta a eseguire la sua prima opera d’arte performativa, Rainbow of Desire?
Mentre ero impegnata nel mio lavoro di ricerca in Grecia, ho avuto modo di conoscere molti artisti greci famosi, tra cui la scultrice greca Natalia Melas, nipote dell’eroe nazionale Pavlos Melas1. Nei fine settimana, Natalia Melas invitava gli artisti più affermati nel proprio studio: in una di queste occasioni, nel settembre 1985, ho avuto l’opportunità di eseguire la mia prima performance artistica, una Body Art Performance, Rainbow of Desire.
Ho dipinto il mio viso e il mio corpo come un arcobaleno che simboleggiava la gioia e la speranza contro l’oscurità e le tribolazioni.
Dai miei studi come danzatrice di Kathakali2, una forma di danza classica della regione indiana del Kerala, ho preso l’idea del trucco realizzato in base agli stati d’animo e al carattere dei personaggi: gli artisti si colorano il viso e il corpo per trasformarsi. Questa opportunità è stata per me un passo avanti verso la realizzazione del mio desiderio di diventare un’artista: per questo, mi sono dipinta il viso come un arcobaleno, che simboleggia la vittoria e la gioia.
Quando le hanno scritto di tornare in India, sapeva che sarebbe stata la prima, a “unire performance e installazione”?
È stato il professore Somnath Hore3, mio insegnante e artista affermato, a scrivermi: “Torna in India e porta questa forma di arte ai giovani studenti”. All’epoca non pensavo che Installation Performance sarebbe stato il nome con cui mi sarei esibita e avrei sviluppato una forma d’arte. Quando ho iniziato la Body art Performance (1985), la performance art non era una pratica così popolare in Occidente. La mia intenzione era di svilupparla nel contesto indiano.
È d’accordo con la visione occidentale che vede l’India “in ritardo” sull’inizio della performance art rispetto all’Occidente?
Se lo si guarda in modo grossolano o con una mente prevenuta, forse è così. Molti artisti si occidentalizzano per diventare artisti globali, ma questo non è vero.
Si può creare una linea parallela anche collegandosi alla propria tradizione e al proprio ambiente: nel nostro Paese esiste tradizionalmente una sorta di pratica performativa in molti luoghi, dal rituale all’arte popolare.
Ho preso spunto da tutte queste pratiche, in modo da raggiungere il nostro pubblico e far sì che la nostra identità si rifletta nel nostro lavoro creativo.
In una recente intervista ha dichiarato: “Molti pensano che il revival significhi tornare indietro, ma in realtà si scoprono molte nuove strade”. Può spiegarci meglio?
Credo di averlo spiegato da qualche parte. Se devo entrare nel dettaglio ci vorrebbe molto tempo. Le faccio un esempio: un rituale come il ‘Dand’ (prostrazione), eseguito dai devoti vicino al tempio di Shiva, al tempio di Vaishno, a Tirupati, alla Chhath Puja.
In occasione del Maha Shiavaratri4, avevo visto dei devoti immergersi nella vasca nella città di Khajuraho e poi prostrarsi sul sentiero pietroso lasciando le loro impronte bagnate sul terreno e cantando il desiderio per il quale stavano compiendo questa penitenza.
Una visione molto toccante, che poteva essere catturata per una performance in una nuova prospettiva, in cui il corpo dell’artista, il pavimento e gli spettatori si attivano allo stesso tempo.
Ha dichiarato di ispirarsi al concetto tradizionale di estetica indiana in relazione all’interrelazione tra le arti. Ce lo spiega?
L’arte indiana è caratterizzata da un forte senso del disegno e dei simboli. Come esempi di interrelazione: a) la verità, il buon auspicio, la bellezza; b) un’astrazione contemplativa che suggerisce la complessità dei sentimenti umani; c) il melange o la combinazione di poesia, musica e architettura; d) la rappresentazione di cerimonie e rituali. Tutte queste caratteristiche si riflettono nel mio lavoro artistico creativo.
Il desiderio è un tema che ritorna nel suo percorso: dopo Rainbow of Desire, Death of Desire…
Della prima performance ho detto prima. In Death of Desire c’era invece il timore che entrare in questa forma d’arte potesse essere un disastro nella mia carriera artistica.
Mettere i vasi di terracotta “ghara” è pregare per la realizzazione, romperli è la paura del fallimento, che si confronta con la morte.
Nel video Vhs digitalizzato online si vede una bimba che la aiuta nella performance Death of Desire: come mai?
Nella performance Death of Desire, la bambina partecipante è l’autentico artista della visione e dell’immaginazione spontanea. La partecipazione di una bambina artista che disegna le linee del corpo come arte infantile è un atto pieno di significato. Non si è esibita come aiutante.
Nel 1991, all’India International Centre di Delhi, ha eseguito per la prima volta in India Facing Nightmare Alone, che ha definito una performing sculpture: in che senso?
Nel 1986 ho realizzato ed esposto una scultura di grandi dimensioni in vetroresina nera e stoffa rossa vermiglia lunga dieci metri, con il titolo Facing Nightmare Alone (Affrontare l’incubo da sola). La scultura è stata molto apprezzata da tutti i critici d’arte, dagli amanti dell’arte e dalla gente comune.
Così, quando nel 1991 ho avuto l’occasione di fare una performance, ho unito questa lunga scultura alla grande leggenda epica indiana, in modo che gli spettatori indiani potessero facilmente accettarla e apprezzarla. Questa scultura è ancora in ottime condizioni, ben conservata e custodita in un luogo molto prestigioso.
Anche un frammento della performance I Feel life to be Green si chiama Facing Nightmare Alone. Può descriverci i diversi frammenti?
I Feel Life to be Green può essere intesa come una performance teatrale, ma io l’ho chiamata Art Performance, perché è una lunga composizione di dieci sequenze che si colloca in una classe a sé stante.
Prevede l’uso di dipinti, sculture, pergamene, striscioni, proiezione di diapositive, costumi innovativi e comprende danza, teatro, musica, canti, recitazioni, slogan, dialoghi, azioni e diversi stili di coreografia.
È stata progettata nel 1993 e rappresentata prima nel luglio 1994, a Ranchi, al Max Mueller Bhavan di Calcutta e a Santiniketan, e poi nel settembre 1995 allo Sri Ram Centre for Performing Art di Delhi. Nel dicembre 1996, la rappresentazione è stata trasmessa in televisione su DD-III da CPC Doordarshan.
Questo spettacolo prevedeva la formazione alla danza e al teatro dei giovani delle tribù dell’altopiano di Chota Nagpur e ha dato luogo alla prima rappresentazione a Ranchi. Sono state messe in scena la vita tribale e la vita urbana con l’adattamento contemporaneo di miti e leggende.
Molte sequenze commentano l’angoscia contemporanea della casa e del mondo: il crescente imbroglio del tradimento dell’uomo sull’uomo, l ’agghiacciante emergere della violenza organizzata, l’umiliazione e la vittimizzazione delle donne, la vuota vita moderna meccanizzata, l’umanità sconfitta, sconsolata e addolorata, la schiavitù e lo sfruttamento.
Le diverse dieci sequenze sono state presentate come una performance composita, che include le dinamiche del linguaggio del corpo associate alla monumentalità delle sculture viventi e di alcune opere di pittura. Le varietà di interazione tra arti performative e visive per me riflettono la sconcertante complessità delle relazioni umane, oggi sempre più segnate dalla violenza e dal tradimento.
Il tema di fondo, unificante, era la speranza di una vita verde alla fine delle lotte, delle sofferenze, dello sfruttamento e della violenza di oggi. Così ho chiamato l’intera performance I feel Life to be Green: la vita dovrebbe essere verde, senza agonia, senza violenza.
Le sue opere sono sempre multimediali: che rapporto ha avuto ed ha con la tecnologia?
Mescolare media diversi mi viene spontaneo e mi dà gioia, perché ho ricevuto una formazione e un’istruzione in varie forme d’arte: pittura, scultura, artigianato, teatro-danza, letteratura.
Quali sono stati i tre momenti migliori e i tre peggiori in questi cinque decenni di carriera?
Comincio dai tre migliori: innanzitutto ho avuto l’opportunità di soggiornare in Grecia e di incontrare personalità intellettuali e famose di quel Paese, grazie alla borsa di studio del governo greco.
Poi ho potuto creare una nuova arte, portando il mio corpo dalla forma d’arte classica a quella contemporanea. Andando in tutte le facoltà d’arte e mostrando la mia performance, sono riuscito a trasformarla in una pratica artistica importante, e ho creato così un movimento artistico in India.
Allo stesso tempo, le mie sculture hanno ricevuto molti apprezzamenti e sono state inserite in varie collezioni importanti.
I peggiori tre: dopo che tutti i miei sforzi hanno avuto successo, sono venuta a sapere che da diverse collezioni molte delle mie sculture sono state distrutte immergendole nell’acqua, alcune ridotte in cenere, altre sono scomparse dalle collezioni all’aperto.
Un altro shock è stato scoprire che, scrivendo informazioni sbagliate e quindi abusando del potere, alcuni storici stavano eliminando la mia esistenza: sono stata sopraffatta dalla disperazione.
Infine, molte piccole cose, che ho superato: nessuno ha potuto portarmi via la mia istruzione, la mia esperienza, la mia conoscenza.
E i tre luoghi a cui è più affezionata?
In realtà ho amore e attaccamento per quattro luoghi: il primo è Kolkata (Calcutta), dove sono cresciuta con la mia famiglia e ho frequentato la scuola; il secondo è Santiniketan, dove ho trascorso cinque anni per conseguire la laurea triennale, ho imparato molte cose e sono cresciuta da adolescente a donna.
Il terzo è M.S. University, Baroda, dove ho fatto un altro passo in avanti per diventare un’artista. Il quarto è il mio soggiorno in Grecia per la mia ricerca di dottorato, che è il mio paese dei sogni.
Nel 2005, in The last performance, in memoria del regista Safdar Hahsmi, ha invitato il pubblico Come, see the blood along the streets, scegliendo simbolicamente di rotolare sulla strada il proprio corpo-medium con vernice sanguigna… Qual è il messaggio che ha voluto lanciare?
Safdar Hahsmi era un regista teatrale, stava recitando in strada Halla Bol (Alza la voce), un’opera contro il governo, e per questo motivo è stato ucciso sul posto. Quella è stata la sua ultima performance.
Il punto principale della mia ultima performance è il sostegno alla libertà di espressione: “Se uccidi un talento, ne nasceranno cento da quattro lati”. The last performance è stata eseguita nel 2005, a Nuova Delhi, per i 20 anni della mia esplorazione di questa forma d’arte.
Come Safdar Hashmi e molti altri creativi che hanno lavorato per la gente e dato gioia a milioni di persone, ma che hanno sofferto molto per l’audace espressione del loro genio creativo, devo dire che anch’io ho dovuto lottare molto in questo viaggio.
La furia e la forza bruta, le orge di violenza e gli spargimenti di sangue non possono lavare via l’espressione creativa di un Artista, né mettere la museruola alla sua voce audace e creativa.
Dalle incombenti nuvole nere emergeranno ovunque e tutti i giorni cento arcobaleni, che rispecchiano il luccichio del genio creativo dell’artista.
Durante lo spettacolo ho pronunciato alcuni versi memorabili di una poesia5 di Pablo Neruda, a cui si riferiscono quelli che ha citato. L’ho chiamata The Last Performance perché sono stata la pioniera della Performance Art in India, e a quel punto molti hanno iniziato a fare performance.
Volevo introdurre e promuovere la Performance Art in India e ho raggiunto l’obiettivo con successo. Così ho pensato di smettere di esibirmi pubblicamente per qualche tempo.
Lei scolpisce ancora oggi: il passaggio da una performance prevalentemente in movimento a una scultura prevalentemente statica ha un significato particolare?
Sono principalmente scultrice, ho conseguito la laurea e il master in scultura. Rispettivamente all’Università Visva Bharati di Santiniketan, nel Bengala occidentale, e all’Università Maharaja Sayaji Rao di Baroda, sempre in India. Amo scolpire con le mani.
Riprenderebbe, magari sperimentando con mezzi digitali come avatar o realtà aumentata, qualche sua performance? E, se sì, quale?
Non mi piace lavorare con i media digitali, sento una limitazione in questa tecnica. Mi piace fare performance dal vivo.
Se una ragazza oggi nel 2024 volesse intraprendere una carriera simile alla sua, che consiglio le darebbe?
Una cosa che vorrei dire non solo alle ragazze o ai giovani studenti, ma a tutte le persone: non sono solo gli obiettivi che possono raggiungere.
La maggior parte delle persone diventa più piccola quando ha ambizioni che non può raggiungere. Se tengono gli occhi e la mente aperti, se cercano di vedere le cose in modo sensato e se vogliono fare qualcosa da soli, credo che sia la cosa migliore che possano fare.
Nessuno vuole essere come gli altri, ma deve saper usare ciò che ha, la sua fonte interiore, e quando il tempo e l’ambiente entrano nella sua creazione, diventa un artista contemporaneo.
La storia di cui parla questo articolo è stata individuata utilizzando un tool di intelligenza artificiale, Asimov, sviluppato da ASC 27 appositamente per Mangrovia. Il tool ci ha aiutato a scoprire la storia, ma il resto del contenuto che leggi e vedi è il risultato di processi creativi e sensibilità umane, e non è in alcun modo generato dall’intelligenza artificiale. Ecco perché usiamo l’intelligenza Artificiale in redazione!
- Pavlos Melas (1870-1904) è stato un generale a sostegno della liberazione della Macedonia dall’impero ottomano. A lui è dedicato l’ononimo comune alla periferia di Salonicco, nella Macedonia centrale. ↩︎
- Kathakali è una forma di teatro danza originaria della regione del Kerala, nell’India meridionale. Unisce in sé letteratura, musica, pittura, teatro e danza. https://www.treccani.it/enciclopedia/kathakali/ ↩︎
- Somnath Hore (1921-2006), scultore e stampatore indiano, fondatore del dipartimento di stampa del Politecnico di Delhi nel 1958. È stato un artista poliedrico che ha esplorato la sofferenza umana attraverso schizzi, stampe e sculture. Le sue opere hanno contribuito a focalizzare l’attenzione sugli effetti della Seconda Guerra Mondiale e della carestia del 1943 nel Bengala. ↩︎
- La Maha Shiavaratri , o “La grande notte di Shiva” è una festività induista. ↩︎
- In italiano, Spiego alcune cose, in inglese I shall explain a few things, qui il testo https://www.poetryireland.ie/publications/poetry-ireland-review/online-archive/view/i-shall-explain-a-few-things ↩︎