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Geofisica spirituale

Storia di una geofisica che ascolta la Terra

Marta Abbà
una storia scritta da
Marta Abbà
 
 
Geofisica spirituale

Martina Picciallo, geofisica e fotografa, unisce scienza e spiritualità in un progetto che interroga il nostro modo di osservare la Terra. Dalla terra vulcanica attiva dell’isola di Stromboli, nell’arcipelago delle isole Eolie, fino al vulcano Poás, in Costa Rica, “La Terra è un’anima desolata” è una ricerca visiva e concettuale che propone un nuovo approccio alla conoscenza: più integrato, più umano e capace di ascoltare oltre i dati.

Cosa accade quando chi studia la Terra decide di ascoltarla, oltre che misurarla? Da questa domanda nasce La Terra è un’anima desolata, un progetto visivo e concettuale a cui Martina Picciallo, geofisica e fotografa documentarista ma, soprattutto «essere umano che sente la Terra come condizione interiore». Ha lavorato tra il 2020 e il 2024, a partire dalla sua partecipazione come geofisica ai rilievi sul vulcano Poás, in una missione organizzata in collaborazione con la Columbia University e l’Osservatorio Vulcanologico e Sismologico del Costa Rica (OVSICORI), presso il Parco Nazionale del Poás.

Al centro, una riflessione profonda sul rapporto tra scienza e spiritualità: due dimensioni spesso tenute separate, che in questo lavoro si incontrano attraverso immagini, dati, corpi e silenzi. Non si tratta di un esercizio estetico né di una provocazione teorica: è un atto di resistenza interiore a un sapere che tutto osserva e nulla contempla. Un tentativo concreto di ripensare la postura scientifica e la sua relazione con ciò che studia: la Terra come oggetto di analisi, ma anche come presenza viva, dotata di senso, storia e fragilità.

 

Martina Picciallo è una scienziata geofisica, autrice impegnata nel progetto di scrittura editoriale e visivo “La Terra” e fotografa documentaristica membro e co-fondatrice di Gaze Collective. È specializzata nei long term con sguardo al sociale e al mondo spirituale, sacro e dei riti. Picciallo è anche operatrice umanitaria e collabora con diverse ong in progetti di scolarizzazione nei campi profughi in Europa e fuori Europa.

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Un documentario che esplora il paradosso della conoscenza

Nato dalla prospettiva di una persona che unisce cittadinanza, pratica scientifica e sguardo documentaristico, il progetto di Picciallo si muove in territori ibridi. Documenta la ricerca geofisica sul campo, mostrando ciò che è, ciò che non sarà mai e ciò che invece potrebbe e dovrebbe essere. Allo stesso tempo la mette in discussione, aprendo il dialogo attorno alla sua reale missione e alla maniera in cui è corretto portarla a compimento.

Oltre a immortalare i gesti degli scienziati, infatti, Picciallo volutamente sconfina in una dimensione lirica e poetica, svicolandosi dalla sua identità “ufficiale” di donna di scienza per interrogare tutti sul rapporto che si instaura con la Terra nell’attimo in cui la si misura. «Prendo distanza. Una distanza critica», spiega Picciallo. «Divento io stessa intersezione tra scienza e spiritualità, tra precisione e abbandono, tra analisi e poesia, sentendo l’urgenza di articolare un pensiero che mi abita da tempo».

«La scienza mi ha insegnato la precisione, il rispetto per la complessità. Ma è attraverso il pensiero critico e l’importanza del metodo classico che ho potuto attraversare le zone più vulnerabili e intime, forse sacre».

Non si tratta di opporre scienza e arte, innovazione e memoria, rigore e intuizione. Anzi: è proprio nell’incontro tra questi apparenti opposti che si apre lo spazio per ciò che Picciallo chiama “il paradosso di conoscenza”. L’essere capaci di studiare, ma incapaci di riflettere. «Capiamo sempre più ma comprendiamo forse sempre meno. Non è un errore della scienza, ma un suo limite costitutivo», spiega la scienziata. «Conoscere non significa solo spiegare, ma abitare, sentire e trasformarsi insieme a ciò che si osserva».

Da qui, il suo gesto diventa sia critica che cura: «Prendere le distanze da un certo sguardo tecnico-possessivo, è fondamentale».

«Dove la scienza rischia di diventare sorda per eccesso di ascolto tecnico, è necessario fare spazio al silenzio e all’immagine, al dubbio e alla lentezza per riconoscere che i tremori, prima di essere analizzati, vanno sentiti».

«In questo gesto c’è tutto il mio tentativo di restare umana».

Alcuni scatti del progetto fotografico “La Terra è un’anima desolata” di Martina Picciallo (https://gaze-collective.com/portfolio/la-terra-e-unanima-desolata-martina-picciallo/). Tutti i diritti riservati. Riprodotti con il consenso dell’autrice.

Quale relazione tra scienza e spiritualità

Affrontare la relazione tra scienza e spiritualità rappresenta da sempre una sfida: è un tema antico, stratificato, eppure mai esaurito. Chi si occupa della scienza della Terra gode però di una prospettiva privilegiata: esplora le profondità fisiche del pianeta, ma può, se lo desidera, accedere anche a quelle dell’animo. Picciallo lo fa e lo si vede nelle immagini che scatta e che esprimono, in un silenzio urlante, il desiderio di un nuovo approccio di ricerca che non si limiti a registrare dati, ma che sappia ascoltare ciò che vibra al di sotto. «Un monitoraggio profondo» lo definisce «non solo del nucleo fisico ma anche di quello umano».

«Oggi si studia la Terra solo attraverso dati, modelli numerici e osservazioni rigorose. Sappiamo leggere terremoti, misurare pressioni, anticipare eruzioni ma rischiamo di ridurre il nostro pianeta a un mero oggetto meccanico e di perdere la connessione profonda che abbiamo con esso» spiega Picciallo.

La questione è epistemologica: per cambiare visione, serve integrare scienza e spiritualità, ma come?

In questa direzione, Picciallo chiama in causa filosofi e poeti le cui risposte non sono mai univoche: Simone Weil che in La persona e il sacro1, insiste sull'”attenzione” come forma di preghiera e ascolto profondo del reale, qualità imprescindibile anche per lo scienziato che vuole davvero conoscere. Nietzsche che in La Gaia Scienza2 auspica una riconquista del valore poetico, e Fabrizio De Andrè che con i suoi “cinghiali laureati in matematica pura”3 parla della vera conoscenza come di un atto di umiltà, attenzione e apertura spirituale. Passando per la pazienza della “Terra decantata” da Szymborska4 e per le parole di Rilke5, Franco Loi6, Antonia Pozzi7, ascoltando Picciallo si arriva a poi Brecht8 che sintetizza tutto in una sola frase: «la Terra trema, non è solo il suolo, è il cuore dell’uomo».

Non è un tentativo di spiritualizzare la tecnica ma una chiamata a una conoscenza capace di interrogarsi. A uno sguardo che non possiede, ma si espone.

Misurare non è conoscere

«La Terra è un’anima desolata: intersezione tra scienza della terra e spiritualità» si inserisce in una lunga genealogia di riflessioni sul rapporto tra tecnica e conoscenza, ma si distingue per la sua forza visiva e per l’accessibilità con cui rende tangibile e accessibile un tema complesso. Non serve essere geologi, filosofi o credenti per percepire quanto la terra è mappata, scandagliata, modellizzata, con strumenti di vario tipo ma non è ascoltata.

Oggi il pianeta è osservato e analizzato con una quantità crescente di strumenti: droni, camere termiche, gravimetri, geofoni, rilevatori di gas, sistemi di monitoraggio vulcanico e sismico. Questo produce una grande quantità di dati, utili e necessari. Ma secondo Picciallo, il rischio è che si perda di vista il significato profondo di queste misurazioni.

«Studiamo costantemente tutto di lei: le sue faglie, le sue onde, le sue eruzioni, ma questa misura costante appare orfana di senso» commenta la scienziata, mettendo tutti in guardia da un «narcisismo scientifico» già galoppante, che «maschera dietro la presunta neutralità metodologica una sottile volontà di potenza e controllo».

Team Columbia University, Osservatorio Sismologico e Vulcanologico OVSICORI Costa Rica. Tutti i diritti riservati. Riprodotta con il consenso dell’autrice.

Non si tratta di smettere di misurare, ma di farlo in modo diverso. In un tempo in cui la crisi climatica rende urgente ogni strumento di comprensione, Picciallo propone quindi di affiancare alla lettura tecnica una lettura simbolica e incarnata, per evitare di «misurare tutto, tranne se stessi». Occorre valorizzare la corrispondenza poetica che esiste tra i fenomeni geologici e la dimensione interiore, tra i tremori sismici e quelli esistenziali, tra le faglie della terra e le fratture dell’io umano. In fondo, la vulnerabilità geologica della Terra e quella esistenziale umana «sono echi reciproci di una stessa condizione​​​​​​​​​​​​​​​».

La fotografia per il dialogo tra saperi

Il progetto di Martina Picciallo non si limita a suscitare emozioni. Ha anche un impatto concreto, sia in termini culturali che sociali, in scala globale e locale. È pensato per parlare a pubblici diversi: scienziati, filosofi, comunità locali, ma anche semplici osservatori interessati alla Terra e al modo in cui viene studiata. Per la comunità scientifica, offre lo spunto per ripensare il proprio approccio alla ricerca: più integrato, più consapevole dei suoi limiti, più aperto al dialogo con altri linguaggi. Per le comunità dei territori rappresentati, luoghi spesso segnati da rischio sismico o vulcanico, può generare una nuova consapevolezza del proprio ambiente, anche in chiave educativa o turistica.

Ciò che spera Picciallo è che le sue immagini possano «sensibilizzare gli abitanti di quel luogo rispetto al valore del proprio territorio, anche dal punto di vista turistico, rendendoli anche più consapevoli dell’effettivo rischio vulcanico in zone densamente popolate». Il potere della sua opera, però, è soprattutto nel riuscire a raggiungere anche i non esperti, i non pensatori, i non locali, grazie alla fotografia che apre spazi di consapevolezza, riconnessione, rigenerazione. Chiunque si lasci catturare dalla poetica visuale di La terra è un’anima desolata si troverà introdotto in un mondo interdisciplinare. Come afferma Picciallo: «Questa opera può influenzare l’immaginario collettivo, spingendo verso visioni più integrate dell’umano: né puramente razionali, né puramente mistiche, ma complesse, ibride, poetiche».

«Ho voluto così contribuire alla creazione di un linguaggio condiviso tra discipline che normalmente non dialogano per suscitare intuizioni nuove, capaci di cambiare il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo».

«La fotografia è ancorata alla realtà, ma evoca l’invisibile. In questo, diventa un mezzo potente per attivare dialoghi tra saperi».

 

  1. In riferimento a: Weil, S. (2014). La persona e il sacro. Adelphi Edizioni spa. (https://www.adelphi.it/libro/978884592736) ↩︎
  2. Nietzsche e il concetto di “La Gaia Scienza”: https://www.treccani.it/enciclopedia/la-gaia-scienza_%28Dizionario-di-filosofia%29/ ↩︎
  3. Così chiama il cantautore gli uomini senza ideali, senza sogni: https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=ARGpYk4weAU ↩︎
  4. Wislawa Szymborska e i suoi più potenti versi: Szymborska, W. (2009). La gioia di scrivere: tutte le poesie (1945-2009). https://www.adelphi.it/libro/9788845924002 ↩︎
  5. Rainer Maria Rilke e la sua vita: https://www.treccani.it/enciclopedia/rainer-maria-rilke/ ↩︎
  6. Franco Loi e i suoi versi: https://www.gironi.it/poesia/loi.php ↩︎
  7. La poetessa Antonia Pozzi nel suo sito ufficialmente a lei dedicato: http://www.antoniapozzi.it/ ↩︎
  8. Bertold Brecht canta alla Terra: La Chiave Di Sophia. (2024, January 11). “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. https://www.lachiavedisophia.com/sventurata-la-terra-bisogno-eroi/ ↩︎

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