L’oceano dentro
Organismi e storie dimenticate riemergono con l’iniziativa “Embodied Pacific”
Senza corpo, non c’è cognizione: noi esseri umani riusciamo a rappresentare e capire solo a partire da ciò che interagisce con i nostri cinque sensi. Grazie ai neuroni specchio, i movimenti degli altri esseri “risuonano” in noi, che possiamo simularli e sentirli nel nostro stesso corpo. Se più del 74% dei fondali marini e oceanici è ancora inesplorato1, come fare risuonare questi ecosistemi dentro di noi?
«Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: la maggior parte delle persone non pensa agli organismi microscopici in fondo all’oceano, tra cui il fitoplancton e lo zooplancton, che sono la base della catena alimentare e della regolazione dell’atmosfera da cui dipende la nostra vita»: Nan Renner, PhD in Scienze Cognitive, è direttrice delle partnership strategiche dell’Acquario Birch dello Scripps Institution of Oceanography di San Diego, in California, lungo la costa dell’Oceano Pacifico. Fondato nel 1903, è uno dei maggiori centri di ricerca scientifica al mondo sugli oceani e l’atmosfera.
Lisa Cartwright si occupa di studi sulla cultura visiva e di studi femministi sulla scienza e la tecnologia. È Professoressa di arti visive e direttrice della Practice Concentration nel dottorato in “Storia, Teoria e Critica dell’Arte” della UC San Diego. Ha conseguito un dottorato di ricerca in American Studies a Yale. Tra i suoi libri ricordiamo “Screening the Body: Tracing Medicine’s Visual Culture” (1995) e “Practices of Looking” (2001). È tra le persone fondatrici dell’International Association of Visual Culture e della rivista “Catalyst: Feminism, Theory, Technoscience”. Insieme a Nan Renner del Birch Aquarium di Scripps, sta conducendo un progetto pluriennale di ricerca e curatela sull’oceanografia per l’iniziativa Art + Science della Getty Foundation Pacific Standard Time 2024.
Visita il sito ufficiale di Embodied Pacific«Gli Scripps erano filantropi sia nelle arti che nelle scienze e questo ha portato nei decenni alla costruzione di una comunità transdisciplinare» spiega Lisa Cartwright. «Negli anni ’60, al momento della fondazione dell’Università della California San Diego, lo Scripps ne è subito entrato a far parte». Cartwright insegna al Dipartimento di Arti Visive dell’università e si occupa di studi femministi sulla scienza e la tecnologia. Se allo Scripps studiano le immagini restituite dalle sonde ipertecnologiche che esplorano l’oceano, il suo dipartimento le mette in relazione con la storia e le culture del luogo. «La città di San Diego è a dieci minuti dal confine con il Messico» racconta, «Questa terra è stata abitata per millenni dai nativi Kumeyaay, che costruivano canoe di canne di tulipano, cucinavano, pescavano e vivevano sulle scogliere sopra l’oceano. Con la colonizzazione, in tutte le Americhe, i popoli costieri sono stati allontanati dalle loro terre ancestrali e spinti verso l’interno».
Prima della pandemia, Cartwright ha coinvolto Renner per un progetto che facesse riemergere le relazioni tra arte, scienza e culture dell’oceano Pacifico: ne sono nati prima Navigating the Pacific: Oceanography Art and Science (2019-2022) e adesso Embodied Pacific, che ha coinvolto 30 artisti per una serie di mostre e appuntamenti in sei differenti luoghi della città, da settembre 2024 a marzo 2025, all’interno dell’iniziativa quinquennale PST ART della Getty Foundation. «A volte le persone studiano l’interazione tra esseri viventi, sia a livello micro che macro, in modo distaccato» spiega Cartwright. «L’approccio che invece vogliamo seguire parte dall’esperienza emotiva che le persone vivono insieme e che crea legami che possono formare davvero una comunità». Legami che passano dai corpi.
Vibrazioni tra arte e scienza
Lo Scripps Ocean Atmosphere Research Simulator (SOARS) è operativo dal 2022. Dotato di una vasca per le onde e una galleria del vento di 36 metri, riesce a simulare le condizioni delle acque superficiali oceaniche dai tropici ai poli. Viene utilizzato per studiare le reazioni oceano-atmosfera, il cambiamento climatico, gli impatti sulla salute umana degli aerosol degli spruzzi marini. I suoi dati sono stati utilizzati dagli artisti Memo Akten e Katie Peyton Hofstadter per l’opera Embodied Simulation2: The Air-Sea Interface, che verrà esposta all’Acquario Birch dal prossimo ottobre.
‘Embodied Simulation’ by Memo Akten and Katie Peyton Hofstadter. Tribeca 2024 excerpt (1 min) from Memo Akten on Vimeo.
Nan Renner è direttrice senior delle partnership strategiche del Birch Aquarium all’interno dello Scripps Institution of Oceanography di San Diego (California) ed è Design Research Partner del centro di ricerca CREATE della UC San Diego focalizzato sull’equità educativa. Ha conseguito un dottorato in Scienze Cognitive alla University of California San Diego incentrato sulle conseguenze incarnate/multimodali/cognitive del design. Per Renner l’apprendimento è motore del cambiamento: applica questa visione da decenni nelle organizzazioni culturali (musei, acquari, università, incubatori) con cui lavora, in spazi intergenerazionali e transdisciplinari.
Vai al sito dello Scripps InstituteL’installazione audiovisiva multischermo è formata da video digitali realizzati con il supporto di algoritmi di Intelligenza Artificiale: filmati di persone che ballano sono stati combinati con immagini di elementi naturali come plancton, onde e coralli. I corpi umani sfumano nel movimento di queste altre forme naturali, cosicché sia più facile per chi guarda immedesimarsi nell’ecosistema oceanico. Embodied Pacific, appunto. «Abbiamo cercato di creare connessioni che sfidino quello che pensiamo di sapere sull’oceano, su come lo percepiamo, e che ci rivelano ciò che non abbiamo ancora visto e a cui forse non abbiamo nemmeno pensato» sottolinea Renner.
Il Soars non è l’unico strumento di esplorazione oceanica dello Scripps: lo Zooglider è un robot sottomarino arancione lungo due metri, attivo dal 2019. Agisce fino a 400 metri di profondità e serve ad osservare lo zooplancton, ovvero i microorganismi animali alla base della catena alimentare che sono trasportati dalle correnti oceaniche. Utili a capire come sta cambiando il clima, questi microorganismi sono spesso trasparenti, fragili e/o gelatinosi: i sensori di questo robot li rileva sia attraverso un sistema ottico specializzato, che registra le loro ombre quando passano in un tunnel di campionamento, sia attraverso un sistema acustico a doppia frequenza.
L’artista Claudine Arendt ha usato questi suoni e queste ombre per l’installazione Sound and Shadow, in cui ha riprodotto le forme dello zooplancton in 3D e le ha inserite in ceramiche di porcellana smaltata. «Vedo un’intersezione così ricca nel modo in cui percepiamo il mondo che ci circonda, in cui usiamo la pratica artistica e quelle scientifiche, compresi la tecnologia e i sensori, per aumentare i nostri sensi, per estendere realmente ciò che il nostro corpo è in grado di percepire e comprendere» sottolinea Renner. «E in questa integrazione transdisciplinare, espandiamo davvero le nostre prospettive e le nostre percezioni. Non si tratta solo di comprensione concettuale: si tratta di gioia e di amore per questo pianeta e per l’altro e di ciò che la co-creazione di conoscenza fa per lo spirito umano».
Navigare nel futuro
Lo Scripps Institution of Oceanography che l’UC San Diego si trovano a La Jolla, rinomata località costiera che i nativi Kumeyaay chiamavano “Matkoolahooee”, che significa “luogo delle grotte”, dalle sette grotte marine che ancora oggi si possono esplorare in kayak. «Molte persone che visitano o vivono nella contea di San Diego e nella regione al confine con il Messico, non conoscono la storia indigena di questo luogo» sottolinea Renner.
Abbiamo lavorato per mettere in evidenza le pratiche di cultura oceanica dei nostri partner indigeni, che affermano molto chiaramente: “Siamo ancora qui” e rivendicano il loro posto sulla costa.
Al momento la cultura oceanica Kumeyaay è in fase di rinascita, grazie all’impegno di Stan Rodriguez, EdD, leader riconosciuto a livello internazionale nella rivalorizzazione della lingua e della cultura indigena. La collaborazione con Rodriguez ha dato nuova vita al progetto Embodied Pacific. «Transdisciplinarietà significa attraversare fallimenti che si trasformano in nuove idee e generano sempre qualcosa di gioioso: sono una grande ammiratrice di Jack Halberstam e del suo approccio sul fallimento queer3 e sulla gioia che deriva dagli errori e dalla serendipità della pratica» sorride Cartwright. «All’inizio il nostro progetto era stato concepito come perlopiù archivistico, in relazione al programma di ricerca ambientale dell’università, ma con la pandemia l’archivio è stato chiuso. Conoscere Stan ha significato entrare in contatto con la profonda cultura oceanica indigena: tutti gli studiosi scientifici e sociali si sono messi a costruire e progettare queste canoe con lui per tutta l’estate. Questo è solo un esempio di come un processo che sembrava partito di traverso, si sia trasformato in una gioiosa espansione di ciò che pensiamo sia la scienza».
Le barche Kumeyaay, ha kwaiyo, sono costruite con la lisca lacustre, un giunco di acqua dolce che cresce fino a tre-quattro metri di altezza: le canne vengono raccolte, essiccate, legate in fasci e intrecciate in canoe che vengono varate durante specifiche cerimonie comunitarie. I membri della comunità hanno partecipato a tutte le fasi del processo, che è terminato con il varo di diverse imbarcazioni presso la Kendall-Frosh Marsh Reserve, La Jolla Shores e Silver Strand, dove in un solo evento si sono contate fino a cinquanta imbarcazioni. Gli eventi comunitari si svolgono talvolta durante la “grunion run”, la pesca a mani nude sulla spiaggia delle particolari sardine tipiche della zona, è stata l’occasione per ascoltare, e registrare, storie e racconti preziosi della cultura di chi per millenni ha vissuto su quella costa.
«Avremo alcune di queste barche in mostra» spiega Renner. «Avremo un video multimediale realizzato dal regista indigeno Andrew Pittman che ne ripercorrerà la storia e organizzeremo alcuni eventi pubblici per invitare la comunità più ampia, nativa e non, a partecipare sia ad alcuni workshop di costruzione sia, quando le condizioni meteo-oceaniche lo permetteranno, al varo delle nuove barche realizzate». All’aperto, con vista sull’oceano, verrà posizionata una canoa come piattaforma per l’immaginazione, la narrazione e la condivisione della cultura indigena, insieme a una mappa storica delle comunità costiere Kumeyaay, basata sulle ricerche dello studioso Michael Connolly Miskwish. «C’è stata una storia di negazione, anche nella comunità accademica, del fatto che i Kumeyaay siano un popolo costiero e oceanico» spiega Renner. Inquadrando l’oceano con il proprio IPhone attraverso l’applicazione gratuita “Our Worlds”, ci si troverà circondati da una flotta di barche condotte da Kumeyaay in Realtà Aumentata.
Embodied tradition
Catherine Eng è una designer, sviluppatrice e regista pluripremiata. Le sue applicazioni sono state inserite nella Top 10 di Apple con oltre tre milioni di download cumulativi. È CTO e cofondatrice di Our Worlds e ha conseguito un BFA presso la Cooper Union School of Art. Ha vinto il Ricoh Theta Prize con tre compagni di squadra al Reality Virtually Hackathon del MIT nell’ottobre 2017, per un progetto di realtà virtuale di supporto al primo soccorso. Nel 2015 ha fondato Design Code Build, un’accademia di coding per le scuole. È convinta che gli insegnamenti più duraturi sui media digitali derivino da progetti adattati alle culture e agli interessi specifici di ogni comunità di studenti.
Alla cerimonia del varo delle nuove canoe Kumeyaay hanno partecipato anche Kilma S. Lattin e Catherine Eng, cofondatori dell’applicazione OurWorlds. «Sia io che il mio socio facciamo parte della comunità. Cosa si prova ad avere intorno a sé dieci canoe, salirci e trovarsi in mezzo all’oceano? Queste sono le esperienze che vogliamo essere in grado di far rivivere con la tecnologia» spiega Eng. «Partecipiamo agli eventi della nostra comunità e, nella misura in cui possiamo, registriamo per i posteri il carisma e la saggezza dei nostri racconti, per condividere la storia della nostra resilienza e della nostra cultura attuale e futura».
Le telecamere a 360 gradi di Eng e Lattin hanno ripreso tutti gli incontri di costruzione delle canoe e di realizzazione degli antichi cestini con iconografia indigena. A queste riprese si sono integrate quelle in green screen, quindi è stato realizzato il video volumetrico, in 3D, che può essere inserito in applicazioni o piattaforme grafiche per lo sviluppo di contenuti immersivi ad hoc, che verranno caricati in occasione delle mostre a partire da settembre. «Nella nostra lingua, la parola maay-haa, “creatore”, è composta dalle parole che significano “cielo” e “acqua”: ne deriva l’idea che tutto viene da acqua e cielo» spiega Eng. «L’idea che la cultura e la lingua derivino dal paesaggio, dalla terra è davvero centrale in quello che facciamo. Stiamo iniziando a lavorare con registi della comunità per aiutarli a produrre contenuti in realtà immersiva a basso costo. Chi ha una storia e vuole realizzarla non deve sostenere grandi spese: non vogliamo creare uno studio cinematografico per cui le persone debbano venire da noi, ma vogliamo portare noi lo studio alle persone e replicarlo ovunque andiamo».
Nell’applicazione, lanciata a novembre 2022, i contenuti vengono caricati sotto forma di oggetti in realtà aumentata e ologrammi di realtà estesa: scritte e video “in sovraimpressione”, cliccabili oppure panoramici, in cui potersi immergere anche con l’udito attraverso cuffie in cui il suono viene spazializzato. «Gli oggetti in realtà aumentata vengono georeferenziati, cioè posizionati nello spazio fisico attraverso il Gps» spiega Eng. «Se prendiamo ad esempio una canoa, è possibile vedere in digitale la texture dettagliata del materiale con cui è stata realizzata».
Oltre al formato video documentaristico, i contenuti possono essere elaborati con shader ed effetti speciali per evocare l’idea di atemporalità: «Non sappiamo che aspetto avessero le persone del passato ma sappiamo che c’era energia, intenzione e un senso di urgenza nel compiere alcuni movimenti» sottolinea Eng. «Questo tipo di visualizzazione li trasmette con efficacia e ci consente di portare queste pratiche dal passato al futuro». Un chiaro esempio ne è il video che segue, rappresentante il movimento dei costruttori di canoe per il progetto OurWorlds4.
«È un progetto» chiosa Catwright «che enfatizza l’estetica alternativa che può crescere in contrapposizione al realismo del digital twin». I gemelli digitali, ovvero le riproduzioni in tre dimensioni di oggetti e strutture fisiche a scopi prototipali o manutentivi, si limitano spesso a descrivere ciò che c’è, più che stimolare ciò che potrebbe essere. Ma l’immaginazione del futuro nasce a partire da ciò che capiamo perché sentiamo, immergendoci nella realtà con tutti e cinque i sensi accesi. E far riemergere storie, persone e organismi dimenticati dell’oceano Pacifico può aiutare a sentire, quindi capire, quanto le sue onde ci risuonano dentro.
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- Per sapere di più sull’argomento, si veda Souri, P. (2024, June 21). Seabed 2030 announces latest progress on World Hydrography Day — Seabed 2030, Seabed 2030. https://seabed2030.org/2024/06/21/seabed-2030-announces-latest-progress-on-world-hydrography-day/ ↩︎
- Per conoscere meglio il concetto di “Embodied simulation”, si veda Gallese V. (2005), Embodied simulation: From neurons to phenomenal experience, Phenomenology and the Cognitive Sciences, (4), pp. 23–48 ↩︎
- Per conoscere l’opera, si veda Halberstam, J. (2011). The Queer Art of Failure, Duke University Press. https://doi.org/10.2307/j.ctv11sn283 ↩︎
- Il sito ufficiale del progetto: https://ourworlds.io/about/ ↩︎