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Design per l’adattamento

Con Elena Vai e Ilaria Morganti sul futuro dei territori

Teresa Fallavollita
una storia scritta da
Teresa Fallavollita
 
 
Design per l’adattamento

Il futuro non è più una promessa di progresso lineare, ma uno spazio di incertezza che richiede nuove forme di progettazione e convivenza. Le riflessioni della ricercatrice Elena Vai e della progettista culturale Ilaria Morganti, tra gli speaker del Creators Day 2025 a Bologna il 13 giugno, evidenziano come arte, cultura e partecipazione possano guidare pratiche di adattamento, rigenerazione e trasformazione sociale per abitare i luoghi in modo più consapevole e collettivo.

Alla fine del Novecento, il futuro aveva un volto riconoscibile e rassicurante: era ottimista, indirizzato al progresso, inciso in una traiettoria di crescita e innovazione. Le città si trasformavano secondo un disegno che immaginava benessere, connessioni globali, ottimistiche potenzialità. Il cambiamento era una promessa, non una minaccia. Ma poi nel 2008 questa narrazione si è spezzata. La crisi economica ha incrinato la fiducia nel futuro. Tra le prime conseguenze, quella di mettere in discussione l’ormai consolidato rapporto tra uomo, sviluppo e ambiente. È emerso un nuovo paradigma, più consapevole e inquieto, in cui l’antropocentrismo è diventato un tema di cui discutere, non una fede a cui credere.

Sarà proprio a partire da queste trasformazioni che Elena Vai, designer, giornalista e ricercatrice dell’Università di Bologna, e Ilaria Morganti, co-founder di Itinerari Paralleli, interverranno al Creators Day – l’evento gratuito (previa registrazione) organizzato da Delizia Media con incontri, talk, formazione, workshop e podcast, per esplorare le tendenze del futuro e connettere il mondo culturale a quello dei nuovi media e della creazione di contenuti. L’appuntamento è per il 13 giugno 2025, allo spazio Dumbo di Bologna, con il talk delle 14:20 dal titolo: “Creativa: come la cultura impatta sulle città”.

Da un Design Human-based a uno Planet-centered

«Ormai noi esseri umani siamo chiamati a pensare su come ognuno di noi possa incidere sul presente, dopo quanto fatto in passato. Uno dei principali punti da affrontare è il cambiamento climatico: non più trovare soluzioni per mitigare la trasformazione in atto, ma trovare pratiche per adattarsi».

Elena Vai, ricercatrice presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna e coordinatrice delle attività del Centro di Ricerca sulle Industrie Culturali e Creative (CRICC), con la sua ricca esperienza, vede nell’arte, e in particolare il design un ruolo privilegiato per la ricerca di queste pratiche.

Elena Vai è ricercatrice presso il Dipartimento di Architettura dell’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, dove collabora con l’Advanced Design Unit. Dal 2019 coordina le attività del Centro di Ricerca sulle Industrie Culturali e Creative (CRICC) e dal 2023 è membro dello Strategic Thematic Group “Design for Societal Transformation” diretto dal Research Institutes of Sweden (RISE), nell’ambito della EIT on Culture and Creativity. I suoi interessi di ricerca riguardano pratiche creative e advanced design, in riferimento allo sviluppo di ecosistemi culturali e creativi innovativi, con focus sui processi di riattivazione urbana, culturale e umana nella città contemporanea.

Ben più di mero “disegno industriale”, come comunemente definito fino alla fine degli anni ’80, «grazie alla sua visione anticipante, il design ha la capacità di prevedere quelli che sono i bisogni futuri dei singoli e della comunità, e di portarli all’interno del pensiero progettuale» afferma Vai.

Fondamentale, continua, è quindi la collaborazione che deve instaurarsi tra soggetti e comunità creative: «è necessario lavorare insieme ad artisti, fotografi, registi, danzatori perché, nella loro libertà creativa e con la loro speciale sensibilità, riescono ad anticipare i bisogni di cittadini e utenti».

Anche nel design, negli ultimi anni, c’è la consapevolezza di dover guardare a un orizzonte più vasto. Uno spazio che non ha più l’uomo al centro. Si parla di passaggio dallo Human-centered design al Planet-centered design: l’obiettivo non è solo cercare un risultato di progettazione ottimale per gli umani, ma anche una soluzione che sia ottimale per l’equilibrio ecosistemico. La limitata cornice che riguardava esclusivamente il regno animale, infatti, si è ora allargata e, secondo Elena Vai, quella auspicabile è una visione collettiva in cui «i regni animali, vegetali e minerali collaborano insieme per trovare strategie di sopravvivenza».

 

Adattarsi ai cambiamenti

Concretamente, questa visione si riflette in uno specifico approccio: «Il claim», spiega la studiosa, «è “Design for adaptation”».

«Siamo chiamati a progettare in una visione totale di adattamento: la progettazione deve quindi essere leggera, mutevole, potente, trasformativa».

«Questo si ripercuote anche sui materiali, tendenzialmente riciclabili e riciclati, biologici. Sia la dimensione materiale che quella immateriale devono prendere in considerazione il nuovo paradigma». Progetti come il Po River Blue Fest1, che si è tenuto nel weekend del 16 e 17 maggio tra Bologna e Ravenna, sono un esempio di come enti del territorio e artisti possano collaborare per osservare ciò che accade nei luoghi e favorire l’interazione tra ricerca, produzione culturale e cittadinanza.

«Come Centro di Ricerca sulle Industrie Culturali e Creative dell’Università di Bologna – spiega Vai, che dal 2019 coordina le attività del Centro – siamo stati chiamati a sviluppare un festival dedicato al fiume Po e alle comunità per accrescere la consapevolezza e cercare così di identificare comportamenti di adattamento alle trasformazioni e alla crisi in atto». Il risultato è una serie di eventi dove contenuti scientifici e riflessioni accademiche si alternano ad attività ludiche e interattive per coinvolgere il pubblico e stimolare la partecipazione attiva.

«Abbiamo scelto», conclude la studiosa «di non mettere in scena i numeri della crisi ambientale, ma di invitare invece performer, registi e collettivi teatrali per dar vita a una visione positiva del futuro e di come potremmo adattarci».

«Il punto di forza del lavoro degli artisti sta nella loro libertà di poter creare contenuti non necessariamente produttivi. La sfera dell’arte e della cultura sono le uniche ad essere realmente libere di guardare il mondo e di disegnare le loro esistenze».

Tre esempi di cultura e arte come motori di trasformazione urbana e sociale: conferenza stampa alle Serre dei Giardini Margherita di Bologna; Summer School di SOU Bologna alle Popolarissime; teatro d’ombre di UnterWasser. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso di autori e autrici.

Riempire gli spazi

Non subire ma, anzi, attivare e accompagnare i processi di trasformazione in atto, in contesti urbani ed extraurbani, è anche l’obiettivo di Itinerari Paralleli, un’impresa sociale che accompagna le pubbliche amministrazioni, istituzioni private, comunità ed enti del territorio nell’ideazione, progettazione e realizzazione di contenuti culturali e azioni di innovazione sociale.

L’obiettivo è sempre lo stesso: ideare pratiche creative che possano aiutare le città, le aree interne e lo stesso patrimonio culturale di questi luoghi a rigenerarsi e a trasformarsi al passo coi tempi e provando a favorire la socialità. «L’idea alla base è quella di fare dello spazio pubblico uno spazio di incontro e relazione, utilizzando la cultura come veicolo di integrazione». A parlare è Ilaria Morganti, co-founder di Itinerari paralleli e impegnata nell’ambito del management culturale, che spiega anche: «Ci occupiamo di processi di innovazione territoriale a base culturale e sociale. Ossia lavoriamo sui territori insieme alle comunità, per immaginare soluzioni che rendano quei contesti più vivibili e interessanti per chi li abita».

Sono tanti gli ambiti e diverse le scale di riferimento dei vari progetti, ma il senso di fondo che li accomuna è la volontà di riappropriarsi di spazi abbandonati o sottratti alla cittadinanza grazie all’arte e alla cultura, gli strumenti di ingaggio per favorire l’inclusione sociale.

L’attenzione è ai cosiddetti spazi ibridi”, luoghi abbandonati o dalla natura non chiaramente definita, e quindi non vissuti, che potrebbero diventare invece luoghi di incontro della comunità:

«Parliamo», spiega Morganti, «di spazi di aggregazione aperti e liberi, che abilitano relazioni non sempre classiche: non c’è necessariamente qualcuno che li gestisce e che offre un servizio, mentre gli utenti sono chiamati al consumo. Le persone diventano esse stesse animatrici degli spazi».

Ilaria Morganti è co-funder di Itinerari Paralleli Impresa Sociale e si occupa di progetti di sviluppo territoriale a base culturale e di comunità. Impegnata tra mondo accademico e professionale, ha concentrato il suo lavoro sulla relazione tra valorizzazione territoriale, innovazione culturale e inclusione sociale.

È proprio il senso di appartenenza ai luoghi che diventa peculiarità degli spazi ibridi: sono le persone a prendersene cura, li animano e li trasformano, puntando su programmazioni culturali e artistiche destinate alla comunità.

Protagoniste non solo le realtà cittadine: «Al concetto di “rigenerazione urbana”», spiega la manager culturale, «preferisco quello di “valorizzazione territoriale”. Il bacino d’azione è di certo più ampio: non si ferma alle città ma riguarda le aree interne». Il contesto è quindi opposto: mentre negli spazi urbani le città si espandono, ci sono sempre più persone e la conflittualità sociale emerge in modo evidente, nelle aree rurali si parla di abbandono e mancanza di servizi e opportunità. Ma, nonostante le diverse premesse, le modalità di intervento restano le stesse: «Servono processi di valorizzazione su base culturale – Morganti ne è certa – per favorire la scelta controcorrente di rimanere sul territorio, riaccendere luoghi altrimenti abbandonati nel giro di poco tempo».

La cultura come “miccia” della trasformazione

Itinerari Paralleli ha accompagnato il processo di candidatura di Pordenone a Capitale italiana della cultura 2027 dal novembre di due anni fa fino all’audizione al Ministero di febbraio 2025. Anche in questo caso centrale è stata la collaborazione tra realtà di diversi settori, però con un focus sempre sulla dimensione culturale come “miccia” di un processo di trasformazione che coinvolge tutti, dal Terzo settore e le imprese fino ai cittadini e all’associazionismo, passando per le scuole: «Da un percorso plurale e partecipato, il risultato è stato un dossier collettivo, con più di 50 progetti che raccontano le idee, le visioni e i sogni dei 111 soggetti coinvolti tra cui organizzazioni culturali e sociali del territorio e nazionali, imprese e Comuni della provincia pordenonese. Particolarmente apprezzati, il modello di valorizzazione culturale innovativo e inclusivo, la volontà di rendere la cultura un motore di sviluppo sostenibile e l’attenzione al protagonismo giovanile».

Pordenone come Capitale italiana della cultura 2027. Tutti i diritti riservati. Riprodotte con il consenso di autori e autrici.

In un presente segnato da crisi ambientali e incertezze, il mondo dell’arte e della cultura si confermano leve per rileggere e reinterpretare in maniera diversa il territorio, rigenerare spazi e rinsaldare comunità. Dalle città alle aree interne, progettare con visione e sensibilità significa creare futuri abitabili e aperti alla collettività. La valorizzazione culturale dei luoghi non è solo un’azione estetica o conservativa, ma un processo attivo, partecipato e trasformativo, capace di generare nuove relazioni, senso di appartenenza e visioni di futuro condivise.

Il passaggio da uno sguardo antropocentrico a uno più ampio e sistemico, che considera l’equilibrio tra umano e ambiente, apre a prospettive dal potenziale interessante: gli esempi delle pratiche, dal Po River Blue Fest alla candidatura di Pordenone, dimostrano che un altro modo di abitare e pensare i luoghi – non consumistico, ma creativo, consapevole e inclusivo – è possibile. In questo, la cultura non è solo testimonianza, ma motore attivo di cambiamento.

 

  1. Il Po River Blue Fest si è sviluppato nell’ambito del progetto LIFE CLIMAX PO e coordinato dall’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, con la collaborazione tra il coordinamento scientifico dell’Università di Bologna e la Città Metropolitana di Bologna e con il supporto della Regione Emilia-Romagna e di Legambiente. (https://www.lifeclimaxpo.adbpo.it/po-river-blue-fest/) ↩︎

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